Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4924 del 27/02/2017


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Cassazione civile, sez. II, 27/02/2017, (ud. 12/07/2016, dep.27/02/2017),  n. 4924

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 7414/12) proposto da:

MERCEDES-BENZ ITALIA s.p.a. (già DaimlerChrysler Italia s.p.a.), in

persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e

difesa, in forza di procura speciale in calce al ricorso,

dall’Avv.to Alessandro Spinella del foro di Roma ed elettivamente

domiciliata presso il suo studio in Roma, via Ajaccio n. 14;

– ricorrente –

contro

G.F., rappresentato e difeso dagli Avv.ti Prof. Giuseppe

Greco e Patrizia Rapone del foro di Roma, in virtù di procura

speciale apposta a margine del controricorso, ed elettivamente

domiciliato presso il loro studio in Roma, via Santa Caterina da

Siena n. 46;

– controricorrente –

e contro

FALLIMENTO (OMISSIS) s.p.a., in persona del curatore pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 574 depositata

il 10 febbraio 2011;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 12

luglio 2016 dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;

uditi gli Avv.ti Antonio Colavincenzo (con delega dell’Avv.to

Alessandro Spinella), per parte ricorrente, e Patrizia Rapone, per

parte resistente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per il rigetto

del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 19 novembre 2001 G.F. evocava, dinanzi al Tribunale di Roma, la (OMISSIS) s.p.a. e la DAIMLER-CHRYSLER ITALIA s.p.a., queste ultime, rispettivamente, quali venditrice e produttrice/importatrice della vettura DaimlerChrysler modello JEEP Cherokee acquistata dall’attore, chiedendo che, ciascuna per il proprio titolo, fosse condannata – previa risoluzione del contratto di vendita ai sensi dell’art. 1492 c.c. – a risarcirgli i danni derivanti dall’improvviso distacco della ruota posteriore destra mentre percorreva, il giorno 29.9.2000, il viadotto Giubileo 2000 in Roma, determinando l’invasione dell’opposta corsia di transito, sulla quale sopraggiungeva la vettura Renault Kangoo, condotta dal proprietario F.L., che subiva oltre alla distruzione del mezzo, anche lesioni personali per le quali avanzava domanda risarcitoria nei suoi confronti.

Instaurato il contraddittorio, nella resistenza della società venditrice, la quale negava che l’incidente fosse stato causato da un difetto strutturale del semiasse posteriore destro e comunque si era limitata a porre in vendita una vettura nuova costruita dalla Chrysler, per cui svolgeva domanda di garanzia nei confronti dell’altra convenuta, la quale nel costituirsi negava ogni responsabilità nell’occorso, non solo per difetto di prova dei difetti strutturali lamentati, ma anche per non avere intrattenuto alcun rapporto diretto con l’attore, il giudice adito, espletata istruttoria, consistita in c.t.u. e prove testimoniali, respingeva la domanda sul presupposto della carenza di prova circa l’esistenza di un difetto strutturale della vettura.

In virtù di rituale appello interposto dal G., la Corte di appello di Roma, nella resistenza del fallimento della (OMISSIS) e della MercedesBenz Italia – a seguito di trasformazione dell’originaria convenuta – in parziale accoglimento del gravame e in parziale riforma della decisione di prime cure, condannava il fallimento, nel rispetto delle regole del concorso dei creditori, a pagare all’appellante la somma di Euro 26.442,50, oltre accessori; in accoglimento della domanda di rivalsa proposta dal medesimo fallimento, condannava la MercedesBenz Italia a rimborsare al predetto la somma che lo stesso in concreto avrebbe versato all’appellante.

A sostegno della decisione adottata la corte territoriale evidenziava che dalla c.t.u. era emerso che il semiasse posteriore destro della Jeep Cherokee presentava della anomalie strutturali, determinate dal mancato rispetto delle specifiche costruttive, quanto alla composizione dell’acciaio ed alla profondità effettiva di tempera, nonchè al profilo di durezza, che avevano influenzato le modalità di cedimento, quanto meno come concausa nell’occorso.

Ne conseguiva la responsabilità contrattuale della venditrice per avere alienato una vettura priva delle caratteristiche di affidabilità alla guida “normale”, per cui doveva essere restituita la somma corrisposta a titolo di prezzo, detratto l’importo di Euro 2.324,06 ricavato dal G. per la vendita a terzi dell’auto incidentata. Di converso nulla veniva riconosciuto a titolo di risarcimento dei danni, specificati dall’attore solo in appello, incorrendo nel divieto di introdurre domande nuove in sede di impugnazione.

Non trovava accoglimento la domanda del G. nei confronti della società costruttrice, in difetto di prova dell’esistenza di un pregiudizio risarcibile.

Di converso sussistevano i presupposti per l’accoglimento della domanda di garanzia svolta dal fallimento.

Avverso la indicata sentenza della Corte di appello capitolina ha proposto ricorso per cassazione la Mercedes-Benz Italia s.p.a., sulla base di un unico motivo, cui ha replicato con controricorso il G., non svolte difese dall’intimato fallimento.

In prossimità della pubblica udienza entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di valida procura speciale, prospettata nel controricorso con riferimento ai soggetti conferenti la medesima procura, avvocati Enrico Scoppola e Giuseppina Alessandroni.

E’ da premettere che le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato, con la sentenza 16 novembre 2009, n. 24179, che in tema di rappresentanza processuale, il potere rappresentativo, con la correlativa facoltà di nomina dei difensori e conferimento di procura alla lite, può essere riconosciuto soltanto a colui che sia investito di potere rappresentativo di natura sostanziale in ordine al rapporto dedotto in giudizio, con la conseguenza che il difetto di poteri siffatti si pone come causa di esclusione anche della legitimatio ad processum del rappresentante; tale accertamento, trattandosi di presupposto attinente alla regolare costituzione del rapporto processuale, può essere compiuto in ogni stato e grado del giudizio e quindi anche in sede di legittimità, con il solo limite del giudicato sul punto, e con possibilità di diretta valutazione degli atti attributivi del potere del potere rappresentativo. Tale principio è in linea con l’ulteriore affermazione – contenuta nella sentenza 18 febbraio 2009, n. 3822, delle medesime Sezioni Unite, ancorchè non oggetto di massimazione da parte del competente Ufficio – secondo cui, “qualora il soggetto che in veste di parte formale proponga il ricorso per cassazione nella affermata qualità di procuratore speciale della parte in senso sostanziale ed in detta qualità di rappresentante volontario rilasci il mandato per il giudizio di cassazione, ma non produca nè con il ricorso nè successivamente, ai sensi dell’art. 372 c.p.c., i documenti che giustifichino quella qualità, il ricorso per cassazione deve essere dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 77 c.p.c., in quanto la Suprema Corte non è posta in condizione di poter valutare la sussistenza ed i limiti del potere rappresentativo ed in particolare la facoltà di proporre ricorso per Cassazione”.

Tali principi, ai quali il Collegio intende dare continuità con la pronuncia odierna, vanno applicati anche in relazione alla vicenda in esame.

Nella specie, il difensore della Mercedes – Benz Italia ha prodotto, unitamente alla memoria ex art. 378 c.p.c., copia delle procure notarili con le quali i rappresentanti legali della DaimlerChrysler Italia hanno nominato e costituito gli avvocati S.E. e A.G., nelle rispettive qualità di direttore e di responsabile contrattualistica e contenzioso giudiziale nell’ambito della direzione corporate legal affairs della DaimlerChrysler Italia Holding s.p.a., la responsabilità ed il compito di sovraintendere al funzionamento e al buon andamento delle attività loro rimesse, compreso quello di rappresentare la società dinanzi all’autorità giudiziaria. Inoltre, dagli atti allegati al fascicolo d’ufficio di appello risulta che dette procure speciali sono state utilizzate già nel giudizio introdotto avanti alla corte distrettuale, nel corso del quale nulla è stato eccepito dal G., laddove è stato, altresì, chiarito che la sostituzione della Mercedes-Benz Italia alla DaimlerChrysler Italia integrava soltanto un mero mutamento della denominazione sociale.

Dunque, non avendo l’appellante affatto sollevato nel giudizio di secondo grado eccezione di difetto di rappresentanza processuale in capo ai procuratori speciali ( S. e A.) della Mercedes-Benz Italia (già Daimler-Chrysler Italia) s.p.a., risultando la relativa questione prospettata soltanto con il controricorso è da ritenere inammissibile per tardività, giacchè la qualità di rappresentante sostanziale in capo al procuratore speciale della persona giuridica che abbia sottoscritto la procura alle liti doveva essere oggetto di specifica e tempestiva contestazione, in forza della quale soltanto incombe all’anzidetto rappresentante di dare prova dei poteri rappresentativi spesi in ordine al rapporto dedotto in giudizio, ove il potere rappresentativo abbia origine da un atto della persona giuridica non soggetto a pubblicità legale (Cass., sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20596; Cass. 28 settembre 2011 n. 19824; Cass. 30 settembre 2014 n. 20563).

Ciò, peraltro, senza tener conto che i poteri sostanziali espressamente conferiti dalla Mercedes-Benz Italia allo S. ed all’ A., quali “responsabili del buon andamento delle attività rimesse”, per la rappresentanza in giudizio della società, anche per il rilascio di procura alle liti, risultavano chiaramente in base alle procure per atti dei notai O.C. e O.G. dell'(OMISSIS) in atti, rilasciate ben prima dell’introduzione del presente giudizio.

Affermata l’ammissibilità del ricorso, con l’unico motivo la società ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1490 c.c., artt. 116, 40 e 41 c.p.c., oltre a vizio di motivazione, per avere la corte territoriale accertato l’esistenza di un grave difetto strutturale del veicolo in questione sebbene la circostanza non trovi riscontro nelle conclusioni del c.t.u., il quale aveva riferito di una non completa rispondenza della composizione dell’acciaio del semiasse, caratteristica che comportava “una maggiore durezza” dello stesso, “un miglioramento del comportamento all’intaglio”, “un aumento della resistenza a fatica”. Aggiunge la ricorrente che perciò – diversamente da quanto ritenuto dalla corte di merito – elemento essenziale per l’accertamento risulterebbe la determinazione del momento in cui si era verificato il distacco della ruota posteriore destra, se prima o dopo il duplice urto ovvero a seguito e per effetto dell’urto.

La censura mossa non è meritevole di accoglimento.

E’ innanzitutto opportuno ricordare che, secondo il consolidato orientamento di questa corte, la valutazione delle risultanze probatorie, involgendo apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, non è deducibile in sede di legittimità, se non nei limiti dell’omissione, insufficienza o contraddittorietà di motivazione (cfr., ex multis, Cass. 24 maggio 2013 n 12988; Cass. 24 luglio 2007 n. 16346; Cass. 26 febbraio 2007 n 4391; Cass. 5 ottobre 2006 n 21412; Cass. 28 gennaio 2004 n 1554; Cass. 14 novembre 2002 n 16034; Cass. 29 aprile 1999 n 4347; Cass. 14 aprile 1994 n 3498; Cass. 9 febbraio 1982 n 766). Nello specifico, la giurisprudenza di legittimità ha innanzitutto evidenziato che il vizio di motivazione contraddittoria della sentenza impugnata può consistere solo in una evidente illogicità delle argomentazioni adoperate, ossia nell’attribuzione agli elementi di giudizio di un significato fuori dal senso comune, od ancora nella mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte, quindi ancora nell’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti e nell’insanabile contrasto degli stessi, tali da non permettere la piena comprensione della ratio decidendi del provvedimento impugnato (cfr., ex plurimis, Cass. 22 dicembre 2010 n 25984). La medesima giurisprudenza, quindi, ha ripetutamele precisato che il vizio di insufficiente motivazione è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della sentenza impugnata, dell’iter logico che ha indotto il giudice a quo, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento (cfr., Cass., SS.UU., 25 ottobre 2013 n 24148). Ne discende logicamente che non è possibile far valere, tramite il ricorso per cassazione, vizi motivazionali consistenti nella mera non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al convincimento delle parti, ed, in particolare, nella prospettazione di un asserito migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti. Infatti, tali aspetti del giudizio, il cui appressamento rientra nel pieno potere discrezionale di valutazione degli elementi di prova, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento, rilevanti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Del resto, ove si ammettesse il sindacato di legittimità di codesta corte sulla rispondenza delle valutazioni probatorie del giudice a quo alle ricostruzioni di parte, il motivo di ricorso di cui alla citata norma si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione degli apprezzamenti e dei convincimenti discrezionali del giudice del merito (cfr., Cass. 17 aprile 2004 n 7341; Cass. 5 maggio 2003 n 6753; Cass. 9 marzo 2001 n 3519).

Alla luce di tale indirizzo, non sembra che nel caso di specie la corte capitolina abbia utilizzato argomentazioni palesemente illogiche o intrinsecamente incoerenti, ovvero abbia omesso l’esame di elementi decisivi per una diversa definizione della controversia. La società ricorrente, infatti, insistendo nel sostenere che le conclusioni del c.t.u. non conducevano all’esito del giudizio come censurato e che il veicolo non era affetto da vizi o difetti di fabbricazione, individuando quale elemento determinante per l’accertamento il momento del distacco della ruota, sembra in realtà essa stessa fraintendere il significato delle espressioni adoperate dal giudice a quo. Dalla costante giurisprudenza di questa corte, infatti, si può desumere che in tema di compravendita, l’obbligazione (di dare) posta a carico del venditore è di risultato, in quanto l’interesse perseguito dall’acquirente è soddisfatto con la consegna di un bene in grado di realizzare le utilità alle quali, secondo quanto pattuito, la prestazione sia preordinata. Ne consegue che all’acquirente (creditore) sarà sufficiente allegare l’inesatto adempimento ovvero denunciare la presenza di vizi o di difetti che rendano la cosa inidonea all’uso alla quale è destinata o che ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore, essendo a carico del venditore (debitore), in virtù del principio della riferibilità o vicinanza della prova, l’onere di dimostrare, anche attraverso presunzioni, di avere consegnato una cosa che sia conforme alle caratteristiche del tipo ordinariamente prodotto ovvero la regolarità del processo di fabbricazione o di realizzazione del bene. Ed è questa dimostrazione che, come la Corte di merito ha ritenuto, è mancata con rilievi del tutto logici e persuasivi.

In conclusione, sembra che la ricorrente, sostenendo l’esistenza di una pretesa differenza nelle conclusioni del c.t.u., abbia in realtà inteso denunziare un vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione al solo fine di ottenere da questa corte il riesame delle risultanze peritali, inammissibile per i motivi sopra esposti.

Il ricorso va dunque respinto.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono il principio della soccombenza.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso;

condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie e agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 12 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 febbraio 2017

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