Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4924 del 25/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 25/02/2020, (ud. 12/09/2019, dep. 25/02/2020), n.4924

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20736-2018 proposto da:

M.A., M.C., M.G., in proprio e

nella qualità di eredi di M.U., F.R.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ANCO MARZIO 25, presso lo

studio dell’avvocato ANGELO REMEDIA, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato FRANCESCO FERRETTI DE VIRGILIS;

– ricorrenti –

contro

SOCIETA’ REALE MUTUA DI ASSICURAZIONI, in persona del Procuratore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE ASOLONE 8,

presso lo studio dell’avvocato MILENA LIUZZI, rappresentata e difesa

dall’avvocato FRANCESCO CASTRONOVO;

– controricorrente –

contro

FA.AN.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 10/2018 della CORTE D’APPELLO di LECCE SEZIONE

DISTACCATA di TARANTO, depositata il 05/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLA

PELLECCHIA.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Nel 2011, M.G., F.R., M.C. e M.A. nella qualità di eredi, quali genitori i primi due e quali germani gli altri, di M.U., deceduta a seguito del sinistro stradale occorso il 5/10/2010, a seguito dello scontro tra la sua autovettura e quella condotta da Fa.An., convenivano in giudizio la società Reale Mutua Assicurazioni e Fa.An., per sentirli condannare in solido al risarcimento di tutti i danni patiti, patrimoniali e non, iure proprio e iure hereditatis.

A sostegno della propria domanda, gli attori depositavano la perizia del Dott. Fi.Lu., nella cui ricostruzione emergeva che l’autovettura condotta da M.L., per cause ignote, oltrepassava la mezzeria tratteggiata occupando la corsia opposta di marcia percorsa da Fa.An., il quale non deviava la traiettoria, nè frenava o rallentava, pertanto giungeva all’urto in posizione longitudinale all’asse stradale.

Si costituiva in giudizio la Compagnia Reale Mutua, la quale eccepiva la nullità dell’atto di citazione per l’indeterminatezza dell’oggetto della domanda e nel merito ne affermava l’infondatezza.

Si costituiva anche Fa.An..

Il Tribunale di Taranto con sentenza n. 3986 del 22.12.2015, accoglieva la domanda attorca dichiarando la responsabilità concorrente di M.U. per il 60% e di Fa.An. per il 40 % nella causazione del sinistro e condannava in solido i convenuti al risarcimento dei danni subiti dagli attori e alle spese di giudizio.

2. La Compagnia Assicurativa proponeva appello avverso la predetta sentenza.

La Corte d’appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, con sentenza n. 10 del 5.01.2018, in totale riforma della sentenza impugnata, accoglieva, in tutte le sue parti, l’appello proposto dalla Compagnia Assicurativa e compensava le spese del giudizio.

Pertanto, veniva addebitata la responsabilità, in via esclusiva, a M.U. nella causazione del sinistro.

3. Avverso tale sentenza, M.G., M.A. e M.C. propongono ricorso per cassazione, sulla base di cinque motivi.

3.1. La Società Reale Mutua di Assicurazioni resiste con controricorso.

4. stata depositata in cancelleria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.,

e regolarmente notificata ai difensori delle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza, la proposta di inammissibilità del ricorso. Le parti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

5. A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, reputa il Collegio, con le seguenti precisazioni1 di condividere la proposta del relatore.

6.1. Con il primo motivo di ricorso, parte ricorrente denuncia la “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 (per aver erroneamente valutato le prove e fondato la decisione su una perizia errata e smentita da tutte le altre risultanze documentali)”.

La Corte territoriale avrebbe violato e/o falsamente applicato le disposizioni di legge indicate in epigrafe per aver apoditticamente fatte proprie le indagini e le conclusioni sulla ricostruzione della dinamica del sinistro) effettuata dall’Ing. Fi., consulente nominato dal P.M., ai fini dell’accertamento della responsabilità del Fa. per il reato di omicidio colposo, smentita da tutti gli altri consulenti.

6.2. Con il secondo motivo di ricorso, parte ricorrente si duole della “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., degli artt. 115,116 e 228 c.p.c. e dell’art. 2735 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 (per aver omesso di trattare e valutare un elemento probatorio essenziale)”.

La Corte avrebbe omesso di valutare la dichiarazione verbale spontanea rilasciata dal Fa. ai carabinieri intervenuti sul luogo del sinistro, dalla quale si evince che il Fa. si accorse dell’invasione di marcia ad opera della M..

6.3. Con il terzo motivo, parte ricorrente lamenta la “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2054 c.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 (per aver superato la presunzione legale di concorso di colpa attraverso una errata trattazione e valutazione di un elemento probatorio essenziale)”.

Lamenta che la Corte, nell’applicazione dell’art. 2054 c.c., comma 2, avrebbe dovuto verificare la possibilità del M. di evitare l’incidente attraverso una qualsivoglia manovra, anche in riferimento al dettame dell’art. 141 C.d.S., comma 2.

6.4. Con il quarto motivo, parte ricorrente denuncia la “Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e deciso per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”.

La Corte non avrebbe compreso correttamente la ctu in diversi punti, così confondendo lo spazio di scambio utile a deviare di 50 centimetri con 6,5 centimetri. Inoltre, avrebbe omesso completamente di considerare quanto emerso in sede di operazioni peritali, nelle quali si sarebbe provato la presenza di uno spazio sufficiente per consentire una qualsivoglia manovra di emergenza.

6.5. Con il quinto motivo, si duole della “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 (per aver erroneamente trattato e valutato le prove ed aver considerato infondata e non provata la circostanza dell’abbagliamento del Fa. causata dalla bassa posizione del sole nel tempo e luogo dell’evento danno)”.

7. I motivi di ricorso congiuntamente esaminabili sono inammissibili.

Appare necessario precisare preliminarmente che il motivo di ricorso per cassazione, con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio della motivazione, non può essere inteso a far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, non si può proporre con esso un preteso e migliore e più appagante all’ambito coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in caso contrario, questo motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e perciò, in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione.

Nel caso di specie i motivi di ricorso pur deducendo, apparentemente, una violazione di norme di legge mira, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito.

Per quanto riguarda poi la doglianza imperniata sulla violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., il ricorso non è in linea con le chiare indicazioni di Cass. 11892/16 e, in motivazione, di Cass. Sez. U. n. 16598/16.

Il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante.

In materia di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre.

Al contrario, le prove documentali e testimoniali, di cui si lamenta il mancato apprezzamento, sono state oggetto di una precisa e dettagliata valutazione da parte del Giudice di merito. Pertanto, la motivazione della Corte d’appello di Lecce – Sezione distaccata di Taranto – appare immune da vizi logico-giuridici.

Inoltre il quarto motivo evoca il vecchio paradigma dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

8. Pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.900,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sesta sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 12 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2020

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