Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4923 del 25/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 25/02/2020, (ud. 12/09/2019, dep. 25/02/2020), n.4923

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14223-2018 proposto da:

L.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato ELENA LACANNA;

– ricorrente –

contro

HDI ASSICURAZIONI SPA, in persona del Procuratore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GOLAMETTO 2, presso lo studio

dell’avvocato MAURIZIO ROMAGNOLI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7083/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 08/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLA

PELLECCHIA.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Nel 2004, L.S. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma, la Soc. HDI Assicurazioni S.p.a. per sentirla condannare al risarcimento dei danni subiti, in seguito al furto della propria autovettura, avvenuto in data 23/07/2003, assicurata contro il furto presso la suddetta Società.

Si costituiva in giudizio la compagnia assicurativa, opponendosi alla domanda, contestando finanche l’esistenza del furto.

Con sentenza n. 11400/2012, il Tribunale adito, in accoglimento parziale della domanda attrice, faceva rientrare la fattispecie de qua nell’ambito di operatività dell’art. 1909 c.c., comma 2, e condannava la HDI Ass.ni S.p.a. al pagamento a favore dell’attore della somma di Euro 17.714,44, oltre interessi e spese di lite.

2. La FIDI Ass.ni S.p.a. proponeva appello avverso la predetta sentenza.

Con sentenza n. 7083 del 8/11/2017, la Corte d’appello di Roma accoglieva l’appello e condannava L.S. alla restituzione dell’importo di Euro 21.414,44, versato in esecuzione della sentenza impugnata.

La Corte riteneva che L. non avesse dimostrato il valore del veicolo, ai sensi dell’art. 1909 c.c., comma 2, limitandosi a richiedere una prova per testi sull’entità dei danni, diversi da quelli riprodotti fotograficamente.

3. L.S. propone ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi. HDI Assicurazioni S.p.a. resiste con controricorso.

4. E’ stata depositata in cancelleria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., e regolarmente notificata ai difensori delle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza, la proposta di inammissibilità del ricorso. Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

5. A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, reputa il Collegio, con le seguenti precisazioni di non condividere la proposta del relatore, nel senso della inammissibilità del ricorso e ritiene che, tuttavia, esso debba rigettarsi.

6.1. Con il primo motivo di ricorso, articolato in più censure, parte ricorrente lamenta la “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.

Il provvedimento impugnato sarebbe affetto da nullità per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per motivazione apparente, non essendo chiaro il percorso logico seguito dalla Corte nell’applicare l’art. 1909 c.c., comma 1. Invero, la Corte non avrebbe spiegato se vi fosse o meno la sussistenza del dolo, elemento discriminate per l’applicazione del suindicato art., comma 1 o 2.

Il motivo è infondato.

La motivazione sussiste è non è affatto apparente. La sentenza, con la parte finale della motivazione, là dove dice “di conseguenza, in mancanza di prova dell’effettivo valore del veicolo, la richiesta di indennizzo va rigettata, con la condanna alla restituzione dell’importo di Euro 21.414,44, versato in esecuzione della sentenza impugnata, oltre interessi legali dalla data del pagamento” (Cfr. pag. 4) ha voluto applicare l’art. 1909 c.c., comma 2, escludendo per difetto di prova la conseguenza prevista da esso.

La seconda censura, invece, viola l’art. 366, n. 6, oltre a sollecitare una rivalutazione di risultanze probatorie estraneo all’art. 360 c.p.c., nuovo n. 5, così come interpretato da Cass. S.U. 8053-8054/2014.

L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Inoltre deve essere interpretato, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

6.2. Con il secondo motivo, parte ricorrente denuncia la “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 116 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.

Sostiene che il convincimento del giudice non si sia basato su di un quadro probatorio organico e unitario. La Corte non avrebbe esaminato le contestazioni della parte attrice/appellata relative alle fotocopie della foto della D., nonostante fossero già state dichiarate dal Tribunale di “incerta provenienza”. Inoltre, si sarebbe violato il dovere di considerare i fatti non contestati, relativo alle fatture di acquisto e di riparazione del veicolo dell’attore/appellato, in quanto nessuna delle parti avrebbe messo in dubbio la veridicità delle stesse.

Il motivo è inammissibile perchè non evoca gli artt. 115 e 116 c.p.c., secondo i criteri indicati da Cass. N. 11892 del 2016 e ribaditi in motivazione da Cass sez. Un. 16598 del 2016 oltre a parlare di fatti non contestati in modo assolutamente generico, così impingendo in violazione del principio di specificità (Cass., Sez. Un., n. 7074 del 2017, che ribadisce consolidato principio di cui a cass. n. 4741 del 2005. Inoltre, viola l’art. 366 n. 6.

Si rammenta, infatti, in tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione.

Il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante.

In materia di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (Cass. 11892 del 2016, ripresa da Cass., Sez. Un. 16598 del 2016).

In conclusione il motivo si risolve in una sollecitazione alla rivalutazione della quaestio facti.

6.3. Con il terzo motivo, parte ricorrente si duole della “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

Il Giudice d’appello avrebbe fondato il suo giudizio su presunzioni prive del carattere di gravità, precisione e concordanza, in violazione dell’art. 2729 c.c. Nello specifico, si ritiene che le uniche presunzioni poste a base del convincimento del giudice siano fotocopie di fotografie in bianco e nero, senza data e senza alcuna attestazione di conformità.

Il terzo motivo non deduce la violazione delle norme sulle presunzioni nel modo indicato da Cass., Sez. Un., n. 1785 del 2018 secondo cui la deduzione del vizio di falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., suppone un’attività argomentativa che si deve estrinsecare nella puntuale indicazione, enunciazione e spiegazione che il ragionamento presuntivo compiuto dal giudice di merito – assunto, però, come tale e, quindi, in facto per come è stato enunciato – risulti irrispettoso del paradigma della gravità, o di quello della precisione o di quello della concordanza. Occorre, dunque, una preliminare attività di individuazione del ragionamento asseritamente irrispettoso di uno o di tutti tali paradigmi compiuto dal giudice di merito e, quindi, è su di esso che la critica di c.d. falsa applicazione si deve innestare ed essa postula l’evidenziare in modo chiaro che quel ragionamento è stato erroneamente sussunto sotto uno o sotto tutti quei paradigmi. Di contro la critica al ragionamento presuntivo svolto dal giudice di merito sfugge al concetto di falsa applicazione quando invece si concreta o in un’attività diretta ad evidenziare soltanto che le circostanze fattuali in relazione alle quali il ragionamento presuntivo è stato enunciato dal giudice di merito, avrebbero dovuto essere ricostruite in altro modo (sicchè il giudice di merito è partito in definitiva da un presupposto fattuale erroneo nell’applicare il ragionamento presuntivo), o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica semplicemente diversa da quella che si dice applicata dal giudice di merito, senza spiegare e dimostrare perchè quella da costui applicata abbia esorbitato dai paradigmi dell’art. 2729, (e ciò tanto se questa prospettazione sia basata sulle stesse circostanze fattuali su cui si è basato il giudice di merito, quanto se basata altresì su altre circostanze fattuali). In questi casi la critica si risolve in realtà in un diverso apprezzamento della ricostruzione della quaestio facti, e, in definitiva, nella prospettazione di una diversa ricostruzione della stessa quaestio e ci si pone su un terreno che non è quello dell’art. 360 c.p., n. 3 (falsa applicazione dell’art. 2729, c.c.), ma è quello che sollecita un controllo sulla motivazione del giudice relativa alla ricostruzione della quaestio fiuti.

Ebbene, la illustrazione del motivo non prospetta la falsa applicazione dell’art. 2729 nei termini su indicati, ma si risolve talora solo nella prospettazione di pretese inferenze probabilistiche diverse sulla base della evocazione di emergenze istruttorie e talora nella prospettazione di una diversa ricostruzione delle quaestiones facti. Ne segue che il motivo non presenta le caratteristiche della denuncia di un vizio di falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., comma 1, e nemmeno, pur riconvertito alla stregua di Cass., Sez. Un., n. 17931 del 2013, quelle di un motivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, 5.

7. Pertanto, la Corte rigetta il ricorso. In considerazione degli alterni esiti del giudizio di merito e della complessità dello stesso reputa la Corte di dover compensare le spese.

PQM

la Corte rigetta il ricorso. Spese compensate. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sesta sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 12 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2020

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