Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4916 del 27/02/2017


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Cassazione civile, sez. I, 27/02/2017, (ud. 11/01/2017, dep.27/02/2017),  n. 4916

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22326/2012 proposto da:

M.N., (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in Roma,

Via Fabio Massimo 107, presso l’avvocato Lobuono Tajani Roberto

Luca, che lo rappresenta e difende, giusta procura Notaio dott.

G.C. di (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

Birra Peroni S.r.l., (già S.p.a.), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

Degli Scipioni, n. 267, presso l’avvocato Ciardo Daniela che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Zanni Nicola, giusta

procura in calce al controricorso;

e contro

Sobebi S.a.s. di B.R. & C., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

S. Tommaso d’Aquino n. 16/b, presso l’avvocato Bardini Alessandro,

rappresentata e difesa dall’avvocato Cerabino Michele, giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

Curatela del Fallimento M.N.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 415/2012 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 05/04/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/01/2017 dal cons. TERRUSI FRANCESCO;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato PAOLO PETROSINO, con delega

orale avv. Lobuono Tajani, che ha chiesto l’accoglimento del

ricorso;

udito, per la controricorrente Birra Peroni S.p.a., gli Avvocati

Daniela Ciardo e Nicola Zanni che hanno chiesto l’inammissibilità

del ricorso;

udito, per la controricorrente Sobebi S.a.s., l’Avvocato Nicola

Zanni, con delega orale dell’avv. Cerabino, che ha chiesto il

rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale SALVATO

LUIGI che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La corte d’appello di Bari, con sentenza depositata il 6-4-2012, ha dichiarato inammissibile, per tardività, l’appello di M.N. avverso la sentenza con la quale il tribunale aveva rigettato l’opposizione da lui proposta nei riguardi della sentenza dichiarativa di fallimento del 20-3-2006. Ha motivato la decisione mettendo in evidenza che la sentenza di primo grado era stata depositata il 3-2-2009, mentre l’appello era stato notificato il 22 e il 23-3-2010, oltre quindi il termine di cui all’art. 327 c.p.c. nel testo pro tempore applicabile. Invero alla fattispecie non era applicabile, secondo la corte d’appello, nè la sospensione feriale di cui alla L. n. 742 del 1969, nè la sospensione prevista dalla L. n. 44 del 1999, art. 20, per le vittime di richieste estorsive o di usura.

M. ha proposto ricorso per cassazione deducendo due motivi.

Si sono costituiti con controricorso i creditori istanti Sobebi s.a.s. e Birra Peroni s.r.l. (già s.p.a.)., la quale ultima ha depositato una memoria.

Non ha svolto difese la curatela del fallimento.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo mezzo il ricorrente denunzia il vizio di motivazione della sentenza (art. 360 c.p.c., n. 5) e, anche in relazione a supposti profili di incostituzionalità, la violazione o falsa applicazione delle norme di diritto a proposito della ritenuta tardività dell’appello. Censura la statuizione sotto entrambi i profili, sia per aver ritenuto non operante nella controversia l’ordinaria sospensione feriale, sia per aver escluso l’operatività delle disposizioni di favore di cui alla legislazione antiusura. Sostiene che la corte del merito avrebbe comunque dovuto esprimersi sulla richiesta di risarcimento dei danni, applicando a codesta una delle due ipotesi di sospensione dei termini processuali.

2. Il motivo è infondato da ogni punto di vista.

La sospensione dei termini processuali durante il periodo feriale, prevista dalla L. n. 742 del 1969, non si applica (ai sensi del successivo art. 3 citata Legge, in relazione all’art. 92 dell’ordinamento giudiziario, approvato con R.D. n. 12 del 1941) alle “cause inerenti alla dichiarazione e revoca fallimento”. E nessuna distinzione va operata, a tal riguardo, tra le varie fasi o i diversi gradi del giudizio (v. per tutte Cass. n. 12625-10; n. 622-16).

Quanto alla normativa di favore di cui alla L. n. 44 del 1999, art. 20, questa Corte ha già chiarito che il procedimento per dichiarazione di fallimento non ne è soggetto (v. Cass. n. 8432-12 e n. 10172-16).

Difatti la sospensione è prevista dall’art. 20, comma 4 Legge cit., in favore delle vittime di richieste estorsive e dell’usura, in relazione ai procedimenti esecutivi, mentre la procedura finalizzata alla dichiarazione di fallimento non ha natura esecutiva ma cognitiva, in quanto, prima della dichiarazione di fallimento, non può dirsi iniziata l’esecuzione collettiva esattamente come, prima del pignoramento, non può ritenersi cominciata l’esecuzione individuale.

3. Il ricorrente richiama la sospensione generalizzata dei termini “comportanti decadenze da qualsiasi diritto, azione ed eccezione” (art. 20, comma 3).

E’ però evidente che la disposizione invocata, nel testuale riferimento alla “medesima durata di cui al comma 1”, non ha una portata applicativa generalizzata per ogni termine implicante decadenza, riferito cioè a ogni processo. Essa attiene, per quanto di interesse processuale, ai termini comportanti decadenze dal diritto di azione rispetto agli atti aventi efficacia esecutiva esemplificativamente mentovati nel comma 1. Il che è del resto logico, in quanto, altrimenti, vana sarebbe la precisazione contenuta nel quarto comma a proposito dei termini relativi ai (soli) processi esecutivi mobiliari e immobiliari. Questi difatti, a seguire l’esegesi massimalistica sostenuta dal ricorrente, rientrerebbero essi pure nel terzo comma.

4. Altrettanto infondato è sostenere che la sospensione dei termini processuali, quali ex lege n. 742 del 1969, quali ex lege n. 44 del 1999, avrebbe dovuto essere ritenuta in rapporto alla pretesa risarcitoria.

E’ risolutivo osservare che quella pretesa, in base a quanto evidenziato nell’impugnata sentenza, era stata avanzata in consequenzialità alla domanda di revoca del fallimento, come cioè fattispecie di responsabilità processuale aggravata, sicchè, sul piano della disciplina attinente al processo, ne seguiva necessariamente la sorte.

5. Il secondo motivo, teso a denunziare il vizio di motivazione della sentenza e la violazione o falsa applicazione di norme di diritto a proposito della eccepita inesistenza dello stato di insolvenza, è inammissibile, atteso il consolidamento della statuizione di merito relativa all’inammissibilità dell’appello.

Spese processuali alla soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali, che liquida, per ciascuna parte, in Euro 10.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella percentuale di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione prima civile, il 11 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 febbraio 2017

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