Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4914 del 15/02/2022

Cassazione civile sez. III, 15/02/2022, (ud. 13/12/2021, dep. 15/02/2022), n.4914

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4846/2019 proposto da:

D.G.M.P., e G.G., nella qualità di genitori

naturali ed eredi di G.L., (deceduto), rappresentati e difesi

dall’avvocato Giovanni Fina, e domiciliati presso lo studio

dell’avv. Amina L’Abbate, in Roma via dei Gracchi;

– ricorrente –

contro

Ministero Della Salute in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato ex lege in Roma Via Dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale Dello Stato da cui è difeso per legge;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1100/2018 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 15/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/12/2021 da Dott. PELLECCHIA ANTONELLA;

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2002, D.G.M.P. e G.G., in proprio e in qualità di genitori esercenti la potestà sul figlio minore G.L., convennero in giudizio, dinanzi al Tribunale di Lecce, il Ministero della Salute, affinché venisse accertata la riconducibilità della gravissima patologia neurologica da cui era affetto il figlio ai vaccini somministratigli e conseguentemente, la responsabilità del Ministero convenuto, con condanna al risarcimento dei danni non patrimoniali subiti dagli stessi deducenti, nonché dei danni patrimoniali e non subiti dal minore.

A fondamento della domanda, gli attori dedussero che G.L., nato nel (OMISSIS), in data (OMISSIS) era stato sottoposto a vaccinazione contro la poliomelite e l’epatite B, e in data (OMISSIS) contro il tetano, la difterite e la pertosse, con un prodotto poi ritirato dal commercio. Sostennero inoltre che la responsabilità del Ministero fosse sia di natura contrattuale, per inadempimento all’obbligo di controllo dei farmaci in commercio e in uso sul territorio nonché di fornire al cittadino una corretta prestazione sanitaria, sia di natura extracontrattuale, in ragione della palese violazione del principio del neminem laedere.

Si costituì in giudizio il Ministero della Salute, eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva e l’inammissibilità della domanda, avendo G.L., nelle more del giudizio, ottenuto l’indennizzo previsto dalla L. n. 210 del 1992, art. 2 commi 1 e 2. Eccepì inoltre la prescrizione dell’azione e, nel merito, contestò la fondatezza della pretesa risarcitoria, sia nell’an che nel quantzun.

Istruita la causa mediante C.t.u., con sentenza n. 1772/2013 il Tribunale di Lecce, qualificata la responsabilità del Ministero in termini di responsabilità extracontrattuale e disattese le eccezioni preliminari del convenuto, rigettò nel merito la domanda attorea, stante il difetto di prova del nesso causale tra la pratica vaccinale a cui G.L. era stato sottoposto e la patologia da cui lo stesso era affetto (sindrome di West) e non potendosi far discendere la sussistenza del nesso causale dal riconoscimento dell’indennizzo ex L. n. 210 del 1992.

2. La decisione è stata confermata dalla Corte d’appello di Lecce con la sentenza n. 1100/2018, depositata il 15 novembre 2018.

La Corte territoriale ha ritenuto che le censure mosse dagli appellanti alla sentenza della Corte territoriale non contenessero elementi decisivi al fine di contrastare quanto affermato dal c.t.u., né evidenziassero contraddizioni idonee a giustificare la richiesta rinnovazione della consulenza di ufficio, sostanziandosi, viceversa, in un mero dissenso diagnostico rispetto alle conclusioni del consulente d’ufficio.

In particolare, i giudici di secondo grado hanno osservato che il c.t.u. aveva puntualmente replicato alle osservazioni dei consulenti di parte attrice, evidenziando: la non riconducibilità della sindrome di West alle reazioni avverse registrate a seguito della somministrazione di vaccino antipertosse cellule intere (poi ritirato dal commercio); la non rilevanza della condizione di benessere del neonato prima della somministrazione vaccinale; l’assenza, nel caso specifico, della vicinanza temporale registrata nella letteratura (sette giorni) tra somministrazione del vaccino trivalente a cellule intere e le manifestazioni avverse.

Tali repliche, secondo la Corte salentina, non erano state adeguatamente confutate nell’atto di appello.

Alla luce delle ragioni sopra esposte, i giudici di secondo grado hanno altresì ritenuto che, nella vicenda in esame, non sussistessero elementi di fatto integranti indizi gravi, precisi e concordanti tali da consentire di ritenere provato in via presuntiva il nesso causale.

Infine, con riguardo alla questione della rilevanza probatoria delle determinazioni della commissione medico-ospedaliera che aveva riconosciuto l’indennizzo ex L. n. 210 del 1992, la Corte d’appello ha evidenziato che i verbali della stessa commissione costituiscono, nel giudizio risarcitorio, elementi indiziari soggetti al libero apprezzamento del giudice, il quale può disattendere le valutazioni contenute nei suddetti verbali motivando le ragioni della scelta. Nel caso di specie, secondo la Corte, il parere espresso nel verbale non appariva sufficiente a fondare un giudizio di responsabilità secondo la regola probatoria richiesta in materia di responsabilità civile.

3. Avverso tale sentenza propongono ricorso per cassazione, sulla base di due motivi, i signori D.G.M.P. e G.G., in proprio e quali eredi di G.L., defunto nelle more del giudizio di appello, illustrati da memoria.

3.1. Resiste con controricorso il Ministero della Salute.

3.2. Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.1. Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano “violazione e falsa applicazione degli artt. 2043,2727,2728,2729 c.c.; violazione dell’art. 4 della direttiva 85/374 CEE e dei principi di cui alla sentenza della Corte Europea di Giustizia della causa c-621/15; travisamento di atti processuali e della c.t.u. in primo grado. Omesso esame di fatti decisivi. Il tutto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), 4) e 5)”.

La sentenza impugnata non fornirebbe – a loro dire – certezze scientifiche tali da escludere la sussistenza del nesso causale dedotto in giudizio secondo i parametri tracciati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia. Il c.t.u., infatti, non riferisce alcuna causa nota cui ricondurre la patologia di G.L.. Peraltro, in sede di giudizio di merito, erano stati prodotti in giudizio numerosi articoli scientifici attestanti l’insorgenza della sindrome di West a distanza anche di settimane dal trattamento vaccinale in esame, e lo stesso c.t.u. aveva confermato che il vaccino era stato ritirato dal mercato in quanto dannoso. La decisione di merito, nel negare anche in astratto, da un punto di vista medico-scientifico, la potenziale causalità efficiente del trattamento rispetto alla malattia, sarebbe inconciliabile con le affermazioni della commissione medico ospedaliera (e quindi dello stesso Ministero) che aveva riconosciuto, quantomeno in astratto, tale correlazione.

Nel caso di specie, sussisterebbero, pertanto, tutti gli elementi presuntivi idonei, secondo i criteri dettati dalla giurisprudenza Europea, a ritenere sussistente il nesso causale, e in particolare sarebbero state provate le eccellenti condizioni di salute pregresse del danneggiato, il ristrettissimo lasso di tempo intercorso tra la somministrazione del prodotto e la prima manifestazione della malattia, l’assenza di precedenti personali e familiari specifici, il ritiro del prodotto dal commercio in epoca coeva o di poco successiva ai fatti di causa in ragione degli accertati effetti negativi da esso causati, il riconoscimento, anche in sede amministrativa, di una pluralità dei casi in cui la malattia sarebbe insorta ben oltre il lasso di sette giorni indicato dal c.t.u..

4.2. Con il secondo motivo, recante l’intestazione “violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3)”, il difensore dei ricorrenti chiede la riforma del regime delle spese processuali di primo e di secondo grado, nonché il pagamento delle spese di lite direttamente in proprio favore, dichiarandosi distrattario.

5.1. Il primo motivo di ricorso è in parte infondato e in parte inammissibile sotto plurimi profili.

In primo luogo, i ricorrenti sollevano un coacervo di censure ricondotte sia alla violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sia a vizi di motivazione, ai sensi del medesimo art. 360, nn. 4 e 5, senza il rispetto del canone della specificità del motivo e non scindendo le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio.

Inoltre, con riferimento all’asserita violazione di legge, parte ricorrente non indica sotto quale profilo sarebbero state violate, dalla sentenza impugnata, le norme indicate nell’intestazione, in spregio alla prescrizione di specificità dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che esige che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, debba essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle disposizioni asseritamente violate, ma anche con specifiche argomentazioni intese a dimostrare in quale modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbano ritenersi in contrasto con le disposizioni regolatrici della fattispecie astratta o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (cfr., Cass., Sez. VI, ord. nn. 187/2014; 635/2015; Cass. nn. 19959/2014; 18421/2009).

Quanto alle censure con cui si lamenta il travisamento di elementi istruttori, occorre ribadire che tale vizio può dar luogo esclusivamente a revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 4, mentre l’unico vizio del giudizio di fatto deducibile in cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, consiste nell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio, salva la preclusione nel caso, come quello in esame, di doppia conforme in fatto ex art. 348-ter c.p.c. (Cass. civ., Sez. lavoro, n. 24395/2020).

Tanto premesso, le doglianze contenute nel motivo si risolvono, comunque, in una inammissibile richiesta di rivalutazione del merito della causa.

La Corte d’appello, infatti, ha escluso la sussistenza del nesso causale dopo aver preso in considerazione tutti gli elementi di fatto che vengono ora riproposti nel ricorso, quali il breve intervallo temporale tra il vaccino e le prime manifestazioni della patologia, la pregressa situazione di benessere del neonato, le ragioni della sostituzione del prodotto, la rilevanza del provvedimento di concessione dell’indennizzo, i principi affermati dalla giurisprudenza Europea in tema di responsabilità da prodotto difettoso.

Al riguardo, i giudici di secondo grado, richiamando le argomentazioni formulate dal c.t.u., anche in replica alle osservazioni dei consulenti di parte attrice, hanno ritenuto – con apprezzamento scevro da vizi logico-giuridici e pertanto insindacabile in sede di legittimità – che gli elementi fattuali invocati dai ricorrenti fossero inidonei a fondare la prova presuntiva dell’esistenza di un nesso di causalità tra il vaccino somministrato al G. e la malattia da quest’ultimo sofferta.

In particolare, il giudice del merito ha applicato correttamente i principi con i quali ha escluso la sussistenza della plausibilità biologica dell’ipotesi di un nesso di derivazione causale tra vaccinazioni e malattia, attenendosi ai principi costantemente affermati da questa Corte, secondo cui la prova a carico del danneggiato ha ad oggetto, a secondo dei casi (l’effettuazione della terapia trasfusionale o la somministrazione vaccinale), il nesso di causalità materiale tra la condotta ed evento, da valutarsi secondo un criterio di ragionevole probabilità scientifica.

Nella specie, la relazione del consulente tecnico, motivatamente recepita dal giudice di merito, ha tenuto conto sia dello stato della letteratura scientifica in materia sia delle caratteristiche del caso concreto.

Vi è stata quindi una valutazione di convergenza tra la determinazione quantitativo-statistica delle frequenze di classe di eventi (cd. probabilità quantitativa) e gli elementi di conferma disponibile nel caso concreto (cd. probabilità logica) sicché l’eziologia ipotizzata da parte ricorrente è rimasta allo stadio di mera possibilità teorica.

5.2. Al rigetto del primo motivo consegue l’assorbimento del secondo, con cui i ricorrenti si limitavano a chiedere, quale conseguenza dell’accoglimento del primo motivo e della cassazione della sentenza, la riforma del capo della pronuncia relativo alle spese legali.

6. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

PQM

Dà atto la Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento, in favore del Ministero della Salute, controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 3.200 con spese eventualmente prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2022

 

 

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