Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4913 del 27/02/2017

Cassazione civile, sez. I, 27/02/2017, (ud. 07/12/2016, dep.27/02/2017),  n. 4913

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Angello Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

C.L., rappr. e dif. dall’avv. Gian Pio Papa, elett. dom. in

(OMISSIS), presso lo studio dello stesso in via Monti Lepini n. 58,

come da procura in calce all’atto;

– ricorrente –

contro

INTESA SAN PAOLO s.p.a., in persona del procuratore speciale, rappr.

e dif. dall’avv. Martella Dario, elett. dom. presso lo studio di

questi in Roma, Largo di Torre Argentina n. 11, come da procura in

calce all’atto;

– controricorrente –

per la revocazione della ordinanza Cass. 18.9.2015, n. 18341;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

giorno 7 dicembre 2016 dal Consigliere relatore Dott. Ferro Massimo;

udito il P.M. in persona del sostituto procuratore generale Dott.

Cardino Alberto che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

IL PROCESSO

C.L. impugna per revocazione la ordinanza 18341 di questa Corte, depositata il 18.9.2015, con cui venne rigettato il suo ricorso avverso la sentenza n. 2324/2013 App. Napoli 7.6.2013 che a sua volta aveva rigettato il gravame dal medesimo proposto contro Trib. Napoli 17.5.2011, pronuncia denegativa della domanda di risarcimento danni avanzata nei confronti di Intesa San Paolo s.p.a..

Rilevò la Corte che la domanda risarcitoria, prospettata sulla base della violazione dell’art. 66 L. cambiaria, era stata respinta, nonostante la asserita mancata restituzione da parte della banca dei titoli messi allo sconto ed insoluti, in quanto la posizione del ricorrente era risultata priva, oltre quella di fidejussore, altresì della qualità di obbligato cambiario. Ne conseguiva che la banca aveva ottenuto legittimamente i decreti ingiuntivi contro C., fidejussore di due società che, nell’ambito di rapporti di conto corrente affidato con castelletto di sconto cambiali, avevano ceduto all’istituto i citati effetti: non v’era infatti pericolo che il fidejussore escusso rimanesse esposto ad una seconda richiesta (sulla base degli stessi titoli), nè egli aveva diritto di agire in regresso verso i firmatari dei titoli.

Anche per la ordinanza ora impugnata la violazione dell’art. 1945 c.c. e art. 66 l.cambiaria era infondata, non appartenendo alle eccezioni del debitore – fidejussore quelle dell’inosservanza della norma speciale ed avendo per altro verso il ricorrente agito con autonoma azione risarcitoria verso la banca, punti della motivazione non censurati. Era invece inammissibile il dedotto vizio di motivazione, per i limiti assunti dal nuovo disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, privo della indicazione del fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti ed oggetto di omesso esame. Infine, osservava la ordinanza n. 18341 che nemmeno la circostanza dell’avvenuta offerta in restituzione, agli opponenti ai decreti ingiuntivi, dei titoli – circostanza espressamente enunciata dalla corte d’appello siccome avvenuta – era stata censurata.

Con il ricorso, la ordinanza n. 18341 viene impugnata per revocazione ed ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, perchè pronunciata dal Collegio in assenza del fascicolo d’ufficio, benchè esso fosse stato richiesto dalla parte e però non acquisito agli atti, conseguendone un errore di fatto, preclusivo dell’esame dei motivi già oggetto di esame nei precedenti atti difensivi.

Al ricorso resiste con controricorso la banca, che ha anche depositato memoria.

Diritto

I FATTI RILEVANTI DELLA CAUSA E LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso è inammissibile, in quanto con esso, deducendosi un limite organizzativo del processo, per come svoltosi in assenza dell’acquisizione del fascicolo d’ufficio, non appare sia stato invero rappresentato alcun errore di fatto. Rileva invero il Collegio che già la prospettazione del vizio appare del tutto generica, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, non avendo il ricorrente indicato in modo specifico in quali termini la dedotta omessa acquisizione del fascicolo d’ufficio, considerando i motivi del primo ricorso per cassazione (ed in particolare le violazioni di legge), avrebbe determinato la statuizione finale di rigetto del ricorso stesso. Va invero ripetuto che “ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, il nesso causale tra errore di fatto e decisione, nel cui accertamento si sostanzia la valutazione di essenzialità e decisività dell’errore revocatorio, non è un nesso di causalità storica, ma di carattere logico-giuridico, nel senso che non si tratta di stabilire se il giudice autore del provvedimento da revocare si sarebbe, in concreto, determinato in maniera diversa ove non avesse commesso l’errore di fatto, bensì di stabilire se la decisione della causa sarebbe dovuta essere diversa, in mancanza di quell’errore, per necessità logico-giuridica.” (Cass. 6038/2016). Va poi osservato che la parte nemmeno ha allegato un fatto, di portata decisiva ed oggetto di percezione alterata da parte del Collegio, da cui sarebbe potuta scaturire una pronuncia coerente con gli originari motivi di ricorso, invero decisi – nel senso della infondatezza delle violazioni di legge e di inammissibilità del vizio di motivazione – anche dandosi atto della non contestazione ad opera di C. di fatti rilevanti (la offerta di riconsegna dei titoli da parte della banca e nel corso dei giudizi di opposizione ai decreti ingiuntivi) e delle qualificazioni giuridiche del suo agire (la natura risarcitoria dell’azione esperita, il difetto di legittimazione alle azioni ex art. 66 l.camb. perchè mero fidejussore). Non può pertanto dirsi che l’ordinanza 18341/2015 sia fondata su di una specifica circostanza supposta esistente la cui verità era, invece, positivamente esclusa (Cass. 13435/2016). E parimenti occorre ribadire che “l’errore di fatto previsto dall’art. 395 c.p.c., n. 4, idoneo a costituire motivo di revocazione della sentenza della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c., consiste in una svista su dati di fatto produttiva dell’affermazione o negazione di elementi decisivi per risolvere la questione” (Cass. s.u. 4413/2016, Cass. 22530/2016).

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con condanna alle spese secondo le regole della soccombenza e liquidazione come da dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento di legittimità, liquidate in Euro 8.200 (di cui curo 200 per esborsi), oltre al 15% a forfait sui compensi ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13).

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 7 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 febbraio 2017

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