Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4913 del 15/02/2022

Cassazione civile sez. III, 15/02/2022, (ud. 13/12/2021, dep. 15/02/2022), n.4913

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26560/2019 proposto da:

Azienda Socio Sanitaria Territoriale (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in Roma Via Trionfale N. 5637, presso lo studio

dell’avvocato Vinci Paolo, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

F.S., e M.Z.B., in proprio e quali

esercenti la potestà genitoriale sui figli minori F.D.,

F.M., e Fl.De., elettivamente domiciliati in Roma Via

Padre Perilli 54, presso lo studio dell’avvocato De Julio Simonetta,

che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato Impelluso Marco

Carmelo Maria;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 745/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 19/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/12/2021 da Dott. SCODITTI ENRICO;

udito l’Avvocato;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

NARDECCHIA Giovanni Battista.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. F.S. e M.Z.B., entrambi in proprio e quali esercenti la potestà genitoriale sui figli minori F.D., F.M. e Fl.De., convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Milano l’Azienda Ospedaliera (OMISSIS) chiedendo il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale in relazione alle gravi lesioni patite dal minore D. al momento della nascita a causa della condotta dei sanitari. Si costituì la parte convenuta chiedendo il rigetto della domanda.

2. Il Tribunale adito, previa CTU, accolse la domanda, condannando la convenuta al pagamento di quanto segue: Euro 114.000,00 ciascuno in favore di F.S. e M.Z.B., in proprio; Euro 719.896,00 in favore di F.S. e M.Z.B., in qualità di genitori esercenti la potestà su F.D.; Euro 57.000,00 in favore di F.S. e M.Z.B., in qualità di genitori esercenti la potestà su Fl.De. e M., per ciascuno dei due figli; Euro 6.000,00 annui, a titolo di rendita vitalizia ai sensi dell’art. 2057 c.c., da versarsi in via anticipata, per tutta la durata della vita del beneficiario, in favore di F.S. e M.Z.B., in qualità di genitori esercenti la potestà su F.D.; Euro 17.475,00 annui, a titolo di rendita vitalizia ai sensi dell’art. 2057 c.c., da versarsi in via anticipata, dalla data di compimento del 25 anno di età fino al raggiungimento dell’età pensionabile (65 anni), in favore di F.S. e M.Z.B., in qualità di genitori esercenti la potestà su F.D.; condannò inoltre la convenuta, a garanzia delle due rendite vitalizie, a stipulare una polizza sulla vita, a premio unico, a vita intera ed in forma di rendita a beneficio di F.D..

3. Avverso detta sentenza propose appello l’Azienda Socio Sanitaria Territoriale (OMISSIS). Si costituì la parte appellata chiedendo il rigetto dell’appello e proponendo appello incidentale.

4. Con sentenza di data la 19 febbraio 2019 Corte d’appello di Milano rigettò entrambi gli appelli. Osservò la corte territoriale che la struttura sanitaria non aveva provato, come era suo onere, l’esatto adempimento della prestazione perché, come risultante dalla CTU, svolta in modo approfondito e con argomenti esenti da vizi, e inoltre contrastando in modo persuasivo le osservazioni dei consulenti di parte, in relazione alla gravidanza gemellare con unica placenta e due sacchi amniotici si era optato per la via più rischiosa del parto naturale, nonostante la prematurità del parto, la monocorialità della gravidanza gemellare e la posizione obliqua del secondo gemello, e nonostante la struttura sanitaria non fosse di secondo livello (con personale non in possesso quindi delle abilità richieste per il cambiamento di posizione del secondo gemello), invece di procedere con il parto cesareo, imperativo in casi del genere, pur in mancanza di chiare linee guida che escludessero il parto naturale (il parto cesareo era stato praticato soltanto dopo la nascita in modo naturale del primo gemello, non essendo riusciti i sanitari a procedere con le medesime modalità per il secondo in posizione obliqua). Aggiunse che sempre in base alla CTU la patologia neurologica non era riconducibile ad una condizione preesistente alla nascita di natura genetica, sicché in base al “più probabile che non” era da imputare ad un evento intervenuto al momento della nascita.

Osservò ancora che i danni permanenti riportati alla nascita erano tali da determinare nel danneggiato una compromissione più incisiva della vita personale e relazionale rispetto a quella considerata dal grado di invalidità accertato, soprattutto per la crescita della consapevolezza nel tempo dell’ingiustizia del danno subito a causa del confronto con il gemello, sicché ricorreva il presupposto della personalizzazione del danno, peraltro contenuta in una percentuale relativamente modesta (rispetto al massimo applicabile del 25%), siccome inferiore al 10% della somma astrattamente liquidabile secondo le tabelle milanesi del 2014, per un danno permanente pari al 55%. Aggiunse, quanto alle spese mediche future, che, benché le relative esigenze potevano in via teorica essere coperte dal SSN o con insegnanti di sostegno a scuola, come rilevato dai consulenti tecnici, gli stessi consulenti avevano rilevato che sul piano squisitamente assistenziale molto sarebbe gravato sulla famiglia, stante l’insufficienza sovente dei servizi. Precisò tuttavia sul punto che, nonostante la genericità di tali valutazioni, indubbia era la configurabilità del danno preteso, attese le problematiche del minore che avrebbero implicato la necessità di esborsi per garantirgli adeguate cure fisioterapiche e assistenza declinata in varie forme (scolastica, domiciliare, ecc.).

Passando al motivo di appello relativo al danno alla capacità lavorativa specifica, osservò la corte che, come affermato dalla CTU, la capacità lavorativa del minore era grandemente ridotta, essendo prospettabili solo impieghi occupazionali nelle fasce protette o con il collocamento obbligatorio, ed essendo da escludere la possibilità di intraprendere lavori analoghi a quelli dei genitori, per cui il danno si sarebbe prodotto secondo una ragionevole e fondata attendibilità sulla base di una serie di indici, tra cui la posizione economico-sociale della famiglia di appartenenza (Cass. n. 15187 del 2004; n. 19357 del 2007). Aggiunse, con riferimento infine al danno da lesione del rapporto parentale, che la peculiarità del caso, particolarmente penoso per i due genitori, risiedeva nella necessità di dover affrontare fin dai primi giorni di vita del bambino un carico di incombenze legate al suo accudimento e alle sue disabilità, che di certo aveva prodotto un impatto negativo sulla vita familiare in termini di deterioramento della serenità e compromissione dei rapporti verso i figli sani e che congrui erano gli importi (Euro 100.000 ed Euro 50.000) con riferimento ai parametri delle tabelle milanesi rispettivamente per la morte di un figlio (da Euro 163.990,00 a Euro 327.990,00) e di un fratello (da Euro 23.740,00 a Euro 142.420,00), parametri adeguatamente adattati al caso (qui ricorrente) della perdurante esistenza in vita di soggetto con menomazioni superiori al 50%.

5. Ha proposto ricorso per cassazione l’Azienda Socio Sanitaria Territoriale (OMISSIS) sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso la parte intimata. Il Pubblico Ministero ha presentato le conclusioni scritte. E’ stata depositata memoria di parte.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 1218 c.c. e art. 115 c.p.c., nonché omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5 c.p.c.. Osserva la parte ricorrente che il giudice di appello, condividendo le considerazioni del primo giudice, ha recepito acriticamente le conclusioni della CTU, frutto di personale e congetturale opinione influenzata dall’esame ex post della vicenda, la quale CTU ha comunque sottolineato che l’emergenza era stata gestita con tempestività. Aggiunge che vi sono fatti decisivi, il cui esame è stato omesso, che non confermano la sussistenza di una sicura sofferenza intrapartum, perlomeno esclusiva (in ogni caso costituiva una situazione già a rischio la nascita di un gemello prematuro). Osserva ancora che gli attori non hanno assolto l’onere della prova del nesso di causalità.

1.1 Il motivo è inammissibile. La censura in termini di vizio motivazionale è inammissibile ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., essendo la sentenza d’appello fondata in tema di nesso di causalità sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, della decisione di primo grado, come affermato dalla stessa parte ricorrente. Il resto del motivo resta nell’orbita della critica della valutazione che il giudice di merito ha svolto della risultanze processuali. Al riguardo va rammentato che la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n. 13395 del 2018). La valutazione delle risultanze istruttorie resta profilo attinente al giudizio di fatto, come tale non sindacabile in sede di legittimità.

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 2697,1223,1226,1218 e 2056 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che il giudice di appello ha sollevato la parte attrice dai suoi oneri probatori, laddove invece la personalizzazione in aumento del danno non patrimoniale richiede l’allegazione e dimostrazione di specifiche circostanze peculiari al caso concreto. Aggiunge che non risulta provata la necessità sia di spese mediche che di spese future, alla luce della legislazione regionale e di quella nazionale in tema di SSN e che privo di prova è rimasto anche il pregiudizio alla capacità lavorativa specifica, avendo la stessa CTU affermato che la detta capacità del minore non è del tutto coartata. Osserva inoltre che anche con riferimento alla lesione del rapporto parentale non risultano allegate specifiche circostanze e che risulta erroneamente liquidata una somma superiore al minimo della forbice prevista dalle tabelle milanesi.

2.1. Il motivo è inammissibile. Il contenuto delle censure attiene anche in questo caso alla valutazione della prova, la quale costituisce attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni per quanto riguarda il giudizio di fatto non sono sindacabili in cassazione. Peraltro il motivo è anche eccentrico rispetto alla ratio decidendi, avendo il giudice di merito affermato quanto alla personalizzazione che la compromissione della vita relazionale per il minore risulta più incisiva rispetto a quella considerata dal grado di invalidità accertato, soprattutto per la crescita della consapevolezza nel tempo dell’ingiustizia del danno subito a causa del confronto con il gemello. E’ appena il caso di aggiungere che il danno non patrimoniale, consistente nella sofferenza morale patita dal prossimo congiunto di persona lesa in modo non lieve dall’altrui illecito, può essere dimostrato con ricorso alla prova presuntiva, che deve essere cercata anche d’ufficio, se la parte abbia dedotto e provato i fatti noti dai quali il giudice, sulla base di un ragionamento logico-deduttivo, può trarre le conseguenze per risalire al fatto ignoto (Cass. n. 17058 del 2017).

Non è infine ravvisabile un errore di diritto nel liquidare il danno in una misura superiore al minimo della tabella, posto che l’aggravamento dell’onere motivazionale concerne il superamento dei limiti, massimo e minimo, della tabella.

3. Con il terzo motivo si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che il giudice ha liquidato il danno mediante lo strumento della rendita vitalizia in mancanza della domanda della parte.

3.1. Il motivo è infondato. La rendita vitalizia contemplata dall’art. 2057 c.c., non attiene ai fatti costitutivi della domanda ma, come testualmente prevede la norma, al criterio di liquidazione del danno dedotto in giudizio, sicché non viene in rilievo la problematica della corrispondenza di chiesto e pronunciato. Non a caso è stato affermato che, quando il danno è liquidato ai sensi dell’art. 2057, il giudice valuta “d’ufficio” le particolari condizioni della parte danneggiata e la natura del danno (Cass. n. 24451 del 2005). Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene rigettato, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Dispone che in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle persone fisiche riportati nella sentenza.

Così deciso in Roma, il 13 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2022

 

 

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