Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4912 del 27/02/2017


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Cassazione civile, sez. I, 27/02/2017, (ud. 07/12/2016, dep.27/02/2017),  n. 4912

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – rel. Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11826-2012 proposto da:

UBS (ITALIA) S.P.A. (c.f./p.i. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CAIO MARIO 27, presso l’avvocato CHIARA SRUBEK TOMASSY (STUDIO

LEGALE SRUBEK TOMASSY CUFFARO), rappresentata e difesa dall’avvocato

DAVIDE GIORGIO CONTINI, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, P.LE ROBERTO

ARDIGO’, 30, presso l’avvocato BARBARA TANGARI, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ANDREA CUCCIA; giusta procura

speciale per Notaio FRANCESCA ROMANA GIORDANO di MILANO – Rep. n.

534 del 25.112016 e procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 953/2011 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 05/04/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/12/2016 dal Consigliere Dott. SCALDAFERRI ANDREA;

uditi, per la ricorrente, gli Avvocati CHIARA SRUBEK TOMASSY e

CRISTIANO CHIOFALO, entrambi con delega, che hanno chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato BARBARA TANGARI (con

procura Notaio) che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO ALBERTO che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo

con l’assorbimento dei restanti motivi.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 14 gennaio 2008, il Tribunale di Milano, in accoglimento delle domande proposte da P.G. nei confronti di UBS (Italia) s.p.a., dichiarava la nullità degli ordini in data 4.10.2000, 18.12.2000 e 5.3.2001 di acquisto di obbligazioni emesse dalla Repubblica Argentina, perchè non preceduti da contratto quadro redatto per iscritto a norma dell’art. 23 T.U.F., e condannava la convenuta alla restituzione delle somme versatele dall’attore (complessivi Euro 144.357,30) oltre agli interessi legali ed alle spese del giudizio. Osservava il tribunale che la convenuta si era limitata a produrre, con la comparsa di risposta, copia fotostatica del contratto quadro in data 26.9.2000 (e di altri nove documenti), della quale non poteva tenersi conto avendone l’attore disconosciuto la conformità all’originale; che doveva quindi ritenersi nullo il contratto quadro, in mancanza di prova della sua conclusione nella forma richiesta dalla legge, con conseguente nullità degli ordini di acquisto, anch’essi peraltro mancanti della forma scritta; che in tali statuizioni restavano assorbite le ulteriori questioni sollevate dall’attore circa l’inadempimento della convenuta agli obblighi propri dell’intermediario finanziario. Proposto gravame da UBS, resistito dal P., la Corte d’appello di Milano, con sentenza depositata il 5 aprile 2011, ha confermato le statuizioni di primo grado, anche in ordine alla efficacia del disconoscimento della copia fotostatica a norma dell’art. 2719 c.c. (in quanto sufficientemente chiaro e specifico), rilevando peraltro l’inammissibilità a norma dell’art. 345 c.p.c., perchè tardiva, della produzione da parte dell’appellante dell’originale del contratto quadro, una volta maturata nel giudizio di primo grado la decadenza di cui all’art. 184 c.p.c.. Nè, ha argomentato la Corte distrettuale, ricorre nella specie l’ipotesi di deroga, prevista dall’art. 345 c.p.c., alla regola del divieto di nuove prove in appello, deroga costituita (in difetto, come nella specie, di allegazione della imputabilità della mancata produzione tempestiva) dalla indispensabilità dei nuovi documenti prodotti ai fini della decisione della causa.

Avverso la sentenza UBS ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati anche con memoria, cui resiste P.G. con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso denuncia la falsa applicazione dell’art. 2719 c.c. e l’insufficiente motivazione circa l’idoneità del disconoscimento espresso dal P. ai sensi della stessa norma. Lamenta la società ricorrente che tale disconoscimento non sia stato ritenuto inammissibile, o comunque inefficace, nonostante avesse riguardato genericamente e indiscriminatamente tutti i documenti prodotti dalla ricorrente in copia fotostatica, ad eccezione della procura notarile, senza specificare sotto quale profilo la copia prodotta del contratto quadro (così come degli altri documenti, alcuni dei quali integranti riproduzioni meccaniche rispetto alle quali non è ipotizzabile un originale) non fosse conforme all’originale, nè allegare o dimostrare alcun fatto positivo idoneo a provare tale difformità.

1.1. Tali doglianze sono prive di fondamento.

L’onere, stabilito dall’art. 2719 c.c., di disconoscere “espressamente” la copia fotostatica di una scrittura implica che il disconoscimento sia fatto in modo formale e specifico, con una dichiarazione che, in relazione ad uno o più determinati documenti prodotti in copia, contenga una non equivoca negazione della loro conformità all’originale (cfr. ex multis: Cass. n. 20166/2013; n. 23174/2006; n. 16232/2004), non anche la precisazione degli aspetti per i quali si assume tale difformità, precisazione non necessaria per rendere il disconoscimento inequivoco e non generico, in tali due requisiti risolvendosi la prescrizione normativa rappresentata dall’avverbio “espressamente” (contra, ma senza uno specifico approfondimento ermeneutico sul punto: Cass. n. 7775/2014; n. 7105/2016).

Ciò posto, nel caso di specie il disconoscimento è stato rettamente ritenuto dalla corte distrettuale non generico e inequivoco: il P., stando al testo riportato nello stesso ricorso (pag. 17), fece specifico riferimento ai documenti, numericamente individuati, prodotti dalla banca con esplicita esclusione di uno di essi, e ne contestò espressamente la conformità all’originale, in tal modo assolvendo all’onere posto a suo carico dall’art. 2719 c.c., anche se per alcuni (diversi dal c.d. contratto quadro) dei documenti in questione tale disconoscimento non potesse operare, stante la loro natura informatica.

2. Il secondo motivo denuncia la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., art. 2729 c.c. e art. 115 c.p.c., nonchè insufficiente motivazione circa la mancanza di prova, anche per presunzioni, della conformità della copia all’originale del contratto quadro. Sostiene la ricorrente che la corte milanese non avrebbe esaminato una serie di elementi di prova, derivanti fra l’altro dalla condotta anche processuale del P., che, se esaminati, avrebbero condotto a ritenere provata la conformità all’originale della copia in atti del contratto quadro.

2.1. Anche tali doglianze sono prive di fondamento, perchè non tengono conto del disposto normativo (D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23) che impone la forma scritta, a pena di nullità deducibile solo dal cliente, ai contratti relativi ai servizi di investimento, e in particolare (secondo l’interpretazione consolidata cfr. Cass. n. 384/2012; n. 28432/2011) al c.d. contratto – quadro.

Trattandosi cioè di atto per il quale la legge prescrive la forma scritta ad substantiam, al disconoscimento ex art. 2719 c.c. della copia prodotta in giudizio dalla odierna ricorrente consegue -secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza di questa Corte – che grava su quest’ultima l’onere di produrre in giudizio l’originale onde provarne l’esistenza ed il contenuto, potendo servirsi della prova per testimoni o per presunzioni soltanto nella ipotesi qui non ricorrente- in cui abbia dedotto e previamente dimostrato la perdita incolpevole del documento originale (cfr. ex multis: Cass. n. 21114/2013; n. 7283/2013; n. 212/1985).

3. Fondato è invece il terzo motivo, con il quale si denuncia la falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. (oltre che la insufficiente motivazione) con riguardo alla ritenuta inammissibilità della produzione in appello degli originali dei documenti prodotti in copia in primo grado.

Come questa Corte di legittimità ha già avuto modo di affermare in casi analoghi (Sez. 1^, n. 1366/2016; cfr. anche Sez. L n. 2267/2010; n. 4080/2009), gli originali di documenti già acquisiti in copia agli atti del giudizio di primo grado non possono considerarsi nuovi mezzi di prova, tenendo anche conto (in relazione alla ratio evidenziata da Cass. S.U. n. 8203/05) che la loro produzione in appello non ha reso necessaria alcuna ulteriore attività istruttoria in tale giudizio. Ne deriva che la loro produzione in giudizio in grado di appello non doveva ritenersi preclusa dal divieto di nuovi mezzi di prova posto dall’art. 345 c.p.c..

4. La sentenza impugnata è dunque cassata in relazione al motivo accolto (assorbito il quarto motivo afferente alla indispensabilità della stessa produzione documentale in appello), e la causa deve essere rinviata alla Corte milanese che, in diversa composizione, procederà ad un nuovo esame, regolando anche le spese di questo giudizio.

PQM

La Corte accoglie il terzo motivo, assorbito il quarto; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Milano, anche per il regolamento delle spese di questo giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della sezione prima civile della Corte di Cassazione, il 7 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 febbraio 2017

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