Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4911 del 02/03/2018


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Civile Ord. Sez. 3 Num. 4911 Anno 2018
Presidente: VIVALDI ROBERTA
Relatore: POSITANO GABRIELE

ORDINANZA

sul ricorso 2262-2015 proposto da:
DELLA MULTISERVICE COMPANY SRL , in persona del
legale rappresentante pro tempore Sig.ra GIUSEPPA
BARRALE, DI MAGGIO GIUSEPPE, elettivamente
domiciliati in ROMA, VIA GIACOMO BONI 15, presso lo
studio dell’avvocato ELENA SAMBATARO, rappresentati e
difesi dall’avvocato SALVATORE MILITELLO giusta
procura in calce al ricorso;
– ricorrenti contro

CINA’ ROSALIA, CINA’ STEFANO, GENERALI ITALIA SPA
00885351007;
– intimati –

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Data pubblicazione: 02/03/2018

avverso la sentenza n. 3108/2014 del TRIBUNALE di
PALERMO, depositata il 05/06/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 07/07/2017 dal Consigliere Dott.

GABRIELE POSITANO;

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Rilevato che

con atto di citazione del 21 settembre 2010 Multiservice Company Sri e
Giuseppe Di Maggio evocavano in giudizio, davanti al Giudice di Pace di
Palermo, Rosalia e Stefano Cinà, oltre alla compagnia di assicurazioni Generali
S.p.A. per sentir condannare quest’ultima al risarcimento dei danni subiti in
occasione del sinistro del 13 luglio 2010 in occasione del quale l’auto Opel
Meriva di Di Maggio era stata investita da Stefano Cinà, che, alla guida della

autovettura di proprietà di Rosalia Cinà aveva omesso di arrestare la marcia
dell’autovettura in ossequio alla segnaletica stradale di Stop. Giuseppe Di
Maggio aveva poi ceduto il credito alla società Multiservice Company che
inutilmente aveva chiesto il risarcimento dei danni all’assicuratore. Il giudice di
pace di Palermo dichiarava improponibile la domanda;
il Tribunale palermitano, investito dell’impugnazione proposta dagli attori in
prime cure, rigettava la domanda, ritenendo che, al di là delle questioni postesi
in ordine alla validità della cessione, il tipo di intervento spiegato dal cedente
già in primo grado imponesse l’esame nel merito della richiesta risarcitoria, e
che questa fosse, nel merito, infondata;
avverso la sentenza del giudice siciliano Giuseppe Di Maggio e Multiservice
Company propongono ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
Considerato che

con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 143
D.Lgs. 209/2005;
con il secondo motivo, si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art.
232 c.p.c. e 12 DPR 254/2006;
i motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, in quanto
strettamente connessi, sono destituiti di fondamento, poiché superati
dall’impianto motivazionale della sentenza impugnata con la quale il Tribunale,
con apprezzamento di fatto scevro da vizi logico-giuridici, afferma che le prove
offerte dalla parte appellante non hanno dimostrato l’accadimento del fatto
storico sotteso alla pretesa azionata, cioè l’effettivo verificarsi dell’incidente, ,

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3

specificando che il materiale probatorio incoerente e incompleto non consente
di ritenere provata la verificazione del sinistro come descritto in citazione;
si rivelano, pertanto, inconferenti i richiami a tutte le norme evocate nei
motivi di ricorso – avendo, nella specie, il Tribunale fatto corretto uso e
condivisibile governo delle acquisizioni probatorie in atti, in particolare
escludendo in radice, sul piano della causalità materiale, la relazione tra i danni

conseguentemente valutando in termini di non attendibilità la denuncia a firma
congiunta in atti. Il giudice territoriale, nel pieno rispetto del generale principio
di diritto processuale che impone, nella motivazione, il rispetto di criteri logici
di giustificazione razionale del raggiunto convincimento e dell’adottata
decisione, offre chiara e puntuale valutazione, condivisibilmente argomentata,
della valenza e dell’efficacia probatoria attribuita agli elementi acquisiti al
processo, ritenendo la ricostruzione del fatto, così come operata in sede di
motivazione, dotata di un più elevato grado di conferma logica e di credibilità
razionale rispetto ad altre, possibili e pur prospettate ipotesi fattuali
alternative;
i motivi di censura, pertanto, pur formalmente riferiti al una reiterata
violazione di legge, si risolvono, nella sostanza, in una (ormai del tutto
inammissibile) richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze come
definitivamente accertati in sede di merito. Parte ricorrente, difatti, lungi dal
prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di
cui all’art. 360 n. 3 c.p.c. mediante una specifica indicazione delle affermazioni
in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le

e il (presunto) evento che li avrebbe asseritamente generati, e

norme regolatrici della fattispecie astratta applicabile alla vicenda processuale,
si volge piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze
procedimentali così come accertare e ricostruite dalla Corte territoriale,
muovendo all’impugnata sentenza censure del tutto irricevibili, volta che la
valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle – fra esse ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di
fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a
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fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di
prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a
scapito di altre (pur astrattamente sostenibili), non incontra altro limite che
quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere in alcun
modo tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale,
ovvero vincolato a confutare qualsiasi deduzione difensiva;

c.p.c. non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito
della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo – sotto il profilo
logico-formale e della conformità a diritto – delle valutazioni compiute dal
giudice d’appello, al quale soltanto spetta l’individuazione delle fonti del proprio
convincimento valutando le prove (e la relativa significazione), controllandone
la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle
funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (salvo i casi di prove cd.
legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile);
parte ricorrente, nella specie, pur denunciando, formalmente, ipotetiche
violazioni di legge che vizierebbero la sentenza di secondo grado, (perché in
contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità)
sollecita a questa Corte una nuova inammissibile valutazione di risultanze di
fatto (ormai definitivamente cristallizzate sul piano processuale) sì come
emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così strutturando il
giudizio di cassazione in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel
quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai consolidatosi, di fatti
storici e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di questa
o di quella ricostruzione probatoria, quanto ancora le opzioni espresse dal
giudice di appello non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la
sostituzione con altre più consone ai propri desiderata – quasi che nuove
istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora
legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità;
nulla per le spese non avendo parte resistete svolto attività difensiva in
questa sede.

costituisce poi principio di diritto ormai consolidato quello per cui l’art. 360

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito
dall’art. 1 comma 17 della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei
presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari alla somma già dovuta, a norma del comma 1

Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione della Corte /
Suprema di Cassazione in data 7 luglio 2
Il Pres

bis del predetto art. 13.

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