Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4902 del 28/02/2011

Cassazione civile sez. III, 28/02/2011, (ud. 11/01/2011, dep. 28/02/2011), n.4902

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMATUCCI Alfonso – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – rel. Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 1197-2009 proposto da:

B.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, presso CANCECELLERIA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’Avvocato ZUCCONI VITTORIO con studio in 40124 BOLOGNA,

Via del Cestello 4, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

L.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA FEDERICO CESI, 72, presso lo studio dell’avvocato BERNARDO

DE STASIO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

MAZZONI GIANLUIGI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

e contro

STUDIO CASALECCHIO DI RENO SRL;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1306/2008 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

Sezione Seconda Civile, emessa il 6/03/2008, depositata il

05/08/2008; R.G.N. 265/2002.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/01/2011 dal Consigliere Dott. GIOVANNI CARLEO;

udito l’Avvocato ZUCCONI VITTORIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato in data 2-8 ottobre 1998, B. F. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Bologna L.M. e lo Studio Casalecchio di Reno s.r.l. esponendo che il giorno (OMISSIS), mentre attraversava la via (OMISSIS), era stato investito dall’autovettura di proprietà dello Studio Casalecchio di Reno s.r.l., condotta da L.M., ed aveva riportato lesioni. Ciò premesso, chiedeva affermarsi la responsabilità esclusiva o, in subordine, concorrente del L. e chiedeva la condanna solidale dei convenuti al risarcimento dei danni che aveva subito. In esito al giudizio, in cui si erano costituiti entrambi i convenuti, il Tribunale di Bologna rigettava la domanda proposta dal B. ed, in accoglimento della riconvenzionale, lo condannava a pagare allo Studio Casalecchio di Reno la somma di L. 2.664.046 per i danni causati alla vettura, oltre le spese di giudizio. Proponeva appello il B. con un unico motivo articolato in più profili lamentando “la motivazione lacunosa e contraddittoria in relazione alla condotta di guida del convenuto ed alla inevitabilità dell’evento”, il “mancato accertamento della distrazione del conducente” e la “velocità dell’autovettura investitrice”, evidenziando infine il contenuto confessorio delle dichiarazioni rese dal convenuto in sede di interrogatorio formale.

In esito al giudizio di secondo grado, in cui avevano resistito gli appellati, la Corte di Appello di Bologna con sentenza depositata il 5 agosto 2008 rigettava l’impugnazione proposta e condannava l’appellante alla rifusione delle spese processuali. Avverso detta sentenza, il B. ha proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi. Si è costituito il L. con controricorso. Il ricorrente ha infine depositato memoria difensiva ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

In via preliminare, deve esaminarsi una prima eccezione, formulata dal controricorrente, fondata su una pretesa nullità della procura alle liti, posta a margine del ricorso, in quanto la stessa non consentirebbe una chiara ed inequivocabile identificazione del provvedimento impugnato, essendo quest’ultimo indicato come “sentenza della Corte di Appello di Bologna n. 1306/2008 …” senza l’ulteriore indicazione della data del provvedimento e di quella del suo deposito.

L’eccezione è infondata. Ed invero, ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, è essenziale, da un lato che la procura sia rilasciata in epoca anteriore alla notificazione del ricorso e dall’altro che essa investa il difensore espressamente del potere di proporre ricorso per cassazione e sia rilasciata in epoca successiva alla sentenza oggetto dell’impugnazione. In ipotesi di procura rilasciata a margine del ricorso tali requisiti debbono reputarsi rispettivamente dimostrati, quanto al primo, dall’essere stata la procura trascritta nella copia notificata del ricorso e, quanto agli altri due, dalla menzione che nell’atto, a margine del quale la procura figura apposta, si fa della sentenza gravata.

Nella specie, l’indicazione della sentenza impugnata, contenuta nella procura apposta a margine del ricorso, come “emessa dalla Corte di Appello e contrassegnata dal n. 1306/08”, soddisfa ampiamente il requisito richiesto, alla luce del rilievo che sia la data del provvedimento (6 marzo 2008) che quella del suo deposito (5 agosto 2008) risultano espressamente indicati, in relazione alla sentenza n. 1306/08 della Corte di Appello di Bologna, nella parte terminale del ricorso (cfr pag. 25) là dove il ricorrente richiede conclusivamente la cassazione della sentenza gravata, e ciò senza considerare che inoltre nessuna disposizione di legge postula a pena di nullità la menzione di tali dati nella procura apposta a margine, essendo sufficiente che i dati mancanti possano comunque desumersi dal ricorso cui la procura accede.

Ugualmente infondata è l’eccezione di inammissibilità del ricorso, fondata sulla pretesa violazione del principio di autosufficienza del ricorso stesso vuoi per essersi il ricorrente limitato a riportare virgolettati brani della sentenza impugnata senza indicare le pagine, in cui fossero contenuti i brani, e senza riprodurre integralmente il provvedimento impugnato, vuoi per non aver riprodotto integralmente i verbali di udienza in cui erano contenuti le dichiarazioni dei testi e la dichiarazione “confessoria” del L. nonchè il rapporto integrale della Polstrada e la planimetria cui si appellava.

A riguardo, torna opportuno chiarire che se in ragione del principio di cosiddetta “autosufficienza” il ricorrente ha l’onere di indicare puntualmente ciascuna delle risultanze alle quali fa riferimento negli atti difensivi prodotti nel giudizio di legittimità e di specificarne il contenuto mediante la loro sintetica ma esauriente esposizione, non essendo sufficiente all’uopo il semplice richiamo ai documenti prodotti, è altrettanto vero che, solo quando sia necessario, egli ha l’onere di procedere all’integrale trascrizione, nel ricorso, delle risultanze richiamate. Ed invero, l’onere imposto al ricorrente deve ritenersi comunque soddisfatto ogni qualvolta, come nel caso di specie, sia consentita la valutazione della fondatezza delle doglianze esposte senza necessità di una riproduzione integrale del contenuto del provvedimento impugnato, il cui deposito insieme col ricorso è comunque richiesto dall’art. 369 c.p.c. a pena di improcedibilità.

Esaurite le questioni preliminari di cui sopra e passando all’esame della prima doglianza, svolta dal ricorrente, deve osservarsi che la stessa si articola essenzialmente attraverso due profili: il primo, fondato sulla violazione e falsa applicazione degli artt. 2730 e 2733 c.c. e art. 228 c.c.; il secondo, fondato sulla motivazione omessa, insufficiente o contraddittoria sul punto della valutazione della confessione resa dal convenuto L..

Ed invero, la Corte di merito – cosi scrive il ricorrente – nel ritenere che “la dichiarazione resa dal l’appellato in sede di interrogatorio (libero) non ha la portata confessoria attribuitale dall’appellante” avrebbe commesso un palese errore di diritto in quanto una confessione giudiziale è configurabile anche in sede di interrogatorio non formale quando risulti dal verbale che sia stata resa autonomamente ed il verbale rechi la sottoscrizione della parte.

Del resto, la Corte non avrebbe spiegato le ragioni per le quali ha ritenuto la stessa priva di valore probatorio.

La censura, pur fondata su una premessa corretta, non merita però di essere condivisa. Ed invero, se è esatto che una confessione giudiziale spontanea è configurabile anche in sede di interrogatorio non formale, qualora risulti dal verbale che la dichiarazione della parte non sia stata provocata da una domanda del giudice ma sia stata resa autonomamente ed il verbale rechi la sottoscrizione della parte, non può però trascurarsi che la confessione intanto ha valore di prova legale in quanto presenti carattere di univocità e di incontrovertibilità, non potendo consistere in una dichiarazione solo apparentemente ammissiva di fatti sfavorevoli.

Infatti, la dichiarazione intanto può essere qualificata come confessione in quanto consti di un elemento soggettivo, consistente nella consapevolezza e volontà di riconoscere la verità di un fatto a sè sfavorevole e favorevole all’altra parte e di un elemento oggettivo, configurabile quando, dall’ammissione non controversa di un fatto, derivi un concreto pregiudizio all’interesse del dichiarante e un vantaggio corrispondente per il destinatario della dichiarazione.

Nel caso di specie, come scrivono i giudici di seconde cure, la dichiarazione del L. di non aver visto il pedone prima dell’impatto non ha la portata confessoria nei termini di cui innanzi e la ragione di tale valutazione viene adeguatamente spiegata dalla Corte di merito quando chiarisce come mai solo le testi escusse in giudizio avessero potuto notare il B. mentre percorreva a passo normale lo stretto marciapiede al lato destro della strada mentre non lo aveva invece visto anche il L.. Ciò infatti era spiegabile con il rilievo che le testi procedevano dietro l’odierno controricorrente e quindi, venendo da più lontano, ebbero il tempo sufficiente, diversamente da lui, per avvedersi che il pedone aveva iniziato l’attraversamento della strada “con manovra improvvisa e velocissima e senza ispezionare la sede stradale”.

Passando all’esame della seconda doglianza, articolata sotto il profilo della contraddittoria motivazione (in subordine, omessa e insufficiente), deve osservarsi che, ad avviso del ricorrente, la Corte di appello, nel ritenere in motivazione, sulla base delle deposizioni delle testi escusse, repentino e velocissimo l’attraversamento della strada da parte del pedone, avrebbe maturato un convincimento confliggente con il contenuto di altra parte della sentenza, quella riguardante l’esposizione del fatto, in cui, secondo le stesse testi, ” il pedone camminava lungo il marciapiede a passo normale ed iniziò l’attraversamento, sempre a passo normale, senza preventivamente accertarsi sul sopraggiungere di veicoli”.

Inoltre – le considerazioni che seguono sostanziano il terzo motivo di impugnazione, articolato anch’esso sotto il profilo dell’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione la Corte di merito, desumendo erroneamente un attraversamento della, strada, improvviso e velocissimo da parte del pedone, avrebbe trascurato la confessione resa dal L. e quindi la mancata effettuazione, da parte sua, di ogni minima manovra atta ad evitare l’impatto o a limitarne gli effetti dannosi.

I motivi in questione possono essere trattati congiuntamente, proponendo profili di censura sostanzialmente connessi. A riguardo, deve osservarsi che entrambe le doglianze sono inammissibili per un duplice ordine di considerazioni. Ed invero, in primo luogo, deve tenersi presente che, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, applicabile alle sentenze pubblicate dal 2 marzo 2006, ove sia denunciato un vizio motivazionale ai sensi dell’art. 360 c.p.c. n. 5, così come è avvenuto nel caso di specie, la censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, oltre a richiedere sia l’indicazione del fatto controverso, riguardo al quale si assuma l’omissione, la contraddittorietà o l’insufficienza della motivazione sia l’indicazione delle ragioni per cui la motivazione sarebbe inidonea a sorreggere la decisione (Cass. ord. n. 16002/2007, n. 4309/2008 e n. 4311/2008). Ciò considerato, deve evidenziarsi che, nel ricorso in esame, il ricorrente ha esaurito il necessario momento di sintesi nella sola indicazione del fatto controverso senza indicare altresì le ragioni di sussistenza del vizio motivazionale. Ora, posto che la norma di cui all’art. 366 bis citato non può essere interpretata nel senso che il momento di sintesi possa desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo di ricorso, poichè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione, il ricorso in esame, privo dei requisiti richiesti, deve essere dichiarato inammissibile, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c..

L’inammissibilità deriva inoltre dal rilievo che, nel dedurre il vizio motivazionale, il ricorrente sollecita in realtà una nuova, diversa interpretazione delle risultanze probatorie rispetto a quella data dal giudice di merito e mira, nella sostanza delle cose, ad una rinnovata valutazione delle risultanze processuali che è preclusa in sede di legittimità in quanto la valutazione degli elementi di prova e l’apprezzamento dei fatti attengono al libero convincimento del giudice di merito. Ed invero, il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio” posto che una simile revisione, in realtà, si risolverebbe sostanzialmente in una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali che liquida in Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2011

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