Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4900 del 01/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 01/03/2010, (ud. 20/01/2010, dep. 01/03/2010), n.4900

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G.B. VICO 1,

presso lo studio degli avvocati PROSPERI MANGILI LORENZO e CARLINO

ROBERTO, che lo rappresentano difendono, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati PATTERI

ANTONELLA, VALENTE NICOLA, RICCIO ALESSANDRO, giusta mandato in calce

al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 379/2008 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 02/04/2008 R.G.N. 850/07;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

20/01/2010 dal Consigliere Dott. GIANCARLO D’AGOSTINO;

udito l’Avvocato PROSPERI MANGILI LORENZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Vercelli, S.V. conveniva in giudizio l’INPS ed esponeva: di essere stato alle dipendenze di compagnia di navigazione aerea; di essere titolare di pensione a carico del Fondo di Previdenza per il Personale di Volo (cd. Fondo Volo) istituito presso l’INPS, a decorrere dal 1^ dicembre 1999; di aver chiesto la liquidazione in capitale di una quota di pensione determinata L. n. 859 del 1965, ex art. 34; che l’Istituto aveva proceduto alla liquidazione di tale quota applicando un coefficiente di moltiplicazione erroneo anzichè le tabelle contenute nel D.M. 20 febbraio 2003. Tanto premesso, chiedeva la condanna dell’INPS al ricalcolo della quota capitale applicando le tabelle di cui al citato D.M. 20 febbraio 2003.

L’INPS si costituiva ed eccepiva preliminarmente la decadenza dall’azione giudiziaria D.P.R. n. 639 del 1970, ex art. 47 e successive modificazioni.

Il Tribunale accoglieva l’eccezione di decadenza sostanziale proposta dall’INPS e respingeva la domanda.

L’appello del pensionato veniva respinto dalla Corte di Appello di Torino con sentenza depositata il 2 aprile 2008.

Per la cassazione di tale sentenza il sig. S. ha proposto ricorso con due motivi. L’INPS ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione del D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, art. 47, come modificato dal D.L. n. 384 del 1992, art. 4, convertito in L. n. 438 del 1992, e della L. n. 859 del 1965, art. 55, il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto applicabile nel caso di specie la decadenza prevista dal D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, erroneamente ritenendo che quest’ultima norma abbia abrogato la L. n. 859 del 1965, art. 55.

Sostiene invece il ricorrente che l’art. 47 cit. non può aver abrogato o modificato l’art. 55 cit., in primo luogo perchè il D.P.R. è una fonte normativa gerarchicamente inferiore alla legge;

in secondo luogo perchè l’art. 55, è norma speciale, che può essere abrogata solo da una norma di legge che ne preveda espressamente l’abrogazione.

Il motivo è infondato. La nuova formulazione del D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, trova la sua fonte in una norma di legge, e precisamente nel D.L. n. 384 del 1992, art. 4, convertito in L. n. 438 del 1992. Con quest’ultima norma il Legislatore ha inteso regolare in modo uniforme tutta la materia dei ricorsi amministrativi contro i provvedimenti dell’Inps e delle decadenze per l’esercizio dell’azione giudiziaria. Tale norma ha quindi implicitamente abrogato per incompatibilità ex art. 15 disp. gen., tutte le precedenti norme di legge di segno diverso.

Con il secondo motivo, denunciando violazione del D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, come modificato dal D.L. n. 103 del 1991, art. 6, convertito in L. n. 166 del 1991 e dal D.L. n. 384 del 1992, art. 4, convertito in L. n. 438 del 1992, il ricorrente, in via subordinata, censura la sentenza impugnata sotto vari profili e sostiene: a) che la decadenza in esame si applica alle controversie che concernono prestazioni pensionistiche corrisposte sotto forma di rendita periodica (art. 47, comma 2), o relative ad una prestazione temporanea (art. 47, comma 3), mentre non si applica alle controversie, come quella in esame, relative alla liquidazione in capitale di una quota della pensione; b) che la decadenza di cui al citato art. 47, opera soltanto quando la controversia verta sul diritto alla pensione e non anche quando la controversia concerna soltanto la esatta determinazione della pensione già riconosciuta;

c) che il termine di decadenza prende a decorrere soltanto nel caso in cui l’Istituto, nell’atto con cui comunica il provvedimento adottato sulla domanda di prestazione, indichi quali sono i rimedi esperibili contro di esso (art. 47, comma 5); d) che l’Istituto che eccepisce l’intervenuta decadenza, è tenuto ad indicare il giorno da cui decorre il termine, nonchè a provare che nel provvedimento che ha definito la domanda amministrativa siano stati indicati i rimedi amministrativi e giudiziari come richiesto dall’art. 47, comma 5.

Il motivo è fondato nei limiti delle seguenti considerazioni.

Le Sezioni Unite della Cassazione, con sentenza n. 12720 del 2009, componendo un contrasto di giurisprudenza, hanno affermato il seguente principio di diritto: “La decadenza di cui al D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, art. 47 – come interpretato dal D.L. 29 marzo 1991, n. 103, art. 6, convertito con modificazioni nella L. 1 giugno 1991, n. 166 – non può trovare applicazione in tutti quei casi in cui la domanda giudiziale sia rivolta ad ottenere non già il riconoscimento del diritto alla prestazione previdenziale in sè considerata, ma solo l’adeguamento di detta prestazione già riconosciuta in un importo inferiore a quello dovuto, come avviene nei casi in cui l’Istituto previdenziale sia incorso in errori di calcolo o in errate interpretazioni della normativa legale o ne abbia disconosciuto una componente, nei quali casi la pretesa non soggiace ad altro limite che non sia quello della ordinaria prescrizione decennale”. Le Sezioni Unite hanno ribadito la unitarietà del termine di decadenza e la non configurabilità di una doppia decadenza sostanziale – per il riconoscimento della prestazione e per la successiva richiesta di adeguamento della prestazione già riconosciuta – in quanto l’art. 47, così come interpretato autenticamente dal D.L. n. 103 del 1991, art. 6, prevede un solo termine decadenziale per ogni singola prestazione, sicchè il termine non può che essere unico per il carattere unitario della prestazione rivendicata, dal momento che le somme domandate con riferimento alla prestazione originariamente chiesta non hanno una propria autonomia, non configurandosi come diritto in sè. Le Sezioni Unite hanno quindi concluso che il D.L. n. 103 del 1991, art. 6, non può trovare applicazione nelle fattispecie in cui – come nel caso di specie – si richieda il ricalcolo di una prestazione pensionistica già in precedenza riconosciuta e di cui si domanda la rideterminazione, ma trova applicazione solo nella diversa ipotesi di mancato o omesso riconoscimento del diritto alla prestazione.

Tale principio, che il Collegio condivide, trova applicazione anche nel caso in cui, come quello in esame, la domanda concerne la riliquidazione di una quota della pensione di cui si è chiesta la corresponsione in forma capitale.

Con la coeva sentenza n. 12718 del 2009 le Sezioni Unite hanno altresì affermato che il carattere pubblicistico e l’indisponibilità della decadenza, nonchè la correlata impossibilità delle parti del rapporto previdenziale (sia parte privata che istituto previdenziale) di incidere con il loro comportamento, anche omissivo, sul decorso del termine decadenziale, comporta, da un lato, che il silenzio dell’amministrazione non può incidere sul decorso del termine decadenziale; dall’altro lato che anche la mancata indicazione dei rimedi avverso il provvedimento dell’amministrazione, previsti dal D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, comma 5, non può che essere del pari irrilevante. Il secondo motivo di ricorso, pertanto, deve essere accolto limitatamente ai primi due profili di censura.

La sentenza impugnata di conseguenza deve essere cassata e la causa rinviata per l’esame del merito ad altro giudice, che si designa in un diverso collegio della stessa Corte di Appello di Torino, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di Cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso e rigetta il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di Cassazione, alla Corte di Appello di Torino in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 20 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2010

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