Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4899 del 28/02/2011

Cassazione civile sez. III, 28/02/2011, (ud. 16/12/2010, dep. 28/02/2011), n.4899

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. UCCELLA Fulvio – rel. Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 29193/2006 proposto da:

T.B. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

LARGO DELLA GANCIA 5, presso lo studio dell’avvocato RUECA GUALTIERO,

rappresentato e difeso dagli avvocati PODDI Roberto, PODDI MARILENA

giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

CONSORZIO PESCATORI DI GORO S.C.A.R.L. (OMISSIS) in persona del

Presidente e legale rappresentante Sig. G.M.,

elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 18,

presso lo studio dell’avvocato GREZ GIAN MARCO, rappresentato e

difeso dall’avvocato ANSELMI Roberto giusta delega in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1213/2005 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA

Sezione Seconda Civile, emessa il 29/4/2004, depositata il

02/11/2005, R.G.N. 557 E 564 dell’anno 2002 (riunite);

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

16/12/2010 dal Consigliere Dott. FULVIO UCCELLA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Ferrara con sentenza del 10 luglio 2001 accoglieva la domanda di T.B. nei confronti del Consorzio pescatori di Goro-soc.cooperativa r.l., volta ad ottenere il risarcimento dei danni causati da inadempimento del contratto, di cui chiedeva la risoluzione, con il quale nei primi mesi del 1987 gli era stato concesso, a suo dire, a titolo di comodato, vita natural durante, l’uso di un impianto di acquacultura per l’allevamento di vongole veraci.

Avverso questa decisione proponeva appello il consorzio e la Corte di appello di Bologna con sentenza del 24 novembre 2005 riformava integralmente la sentenza di primo grado.

Contro siffatta sentenza propone ricorso per cassazione il T. affidandosi a quattro motivi.

Resiste con controricorso il Consorzio.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

La questione centrale del presente ricorso consiste nel valutare la correttezza o meno della qualificazione del contratto intercorso tra il ricorrente e il Consorzio pescatori come contratto di comodato o come contratto cui, solo analogicamente, può applicarsi la disciplina del comodato, a tempo indeterminato.

Va premesso che il ricorso non necessita dei quesiti ex art. 366 bis c.p.c., essendo diretto avverso sentenza emessa prima del 2 marzo 2006.

1. – In punto di fatto nei primi mesi del 1987 al T., quale socio del Consorzio venne concesso l’uso, a titolo di comodato”, così si legge nella scrittura riprodotta nel ricorso, di un impianto di acquacultura per l’allevamento di vongole veraci, vita natural durante.

Alla fine del 1987 il Consorzio revocò la concessione in uso gratuito, concedendo indistintamente a tutti i soci lo sfruttamento del vivaio, per cui a dire del T., vi era una inadempienza, per la quale chiedeva il risarcimento dei danni subiti, oltre la restituzione da parte del Consorzio della somma di L. 300.000, da lui versate a seguito di una sanzione inflittagli dal Consorzio stesso per il di lui rifiuto a lasciare controllare il pescato.

2.-Nel contratto stipulato si afferma che “oggetto del comodato sono gli impianti di acquacultura, in particolare i vivai di allevamento di vongole veraci” e tutti i prodotti ittici risultanti dalla gestione dei beni in oggetto debbono essere obbligatoriamente conferiti al comodante. La durata della concessione in uso a titolo gratuito è limitata e l’uso esclusivo è del comodatario vita natural durante” (p. 10 sentenza impugnata), ed, inoltre, vengono indicati i soggetti cui il comodatario può dare in lascito l’uso.

Il giudice di appello ha escluso, ritenendolo errato, il richiamo alla figura giuridica del comodato “perchè il Consorzio non consegnò al T., come agli altri richiedenti, alcuna cosa mobile o immobile” (p. 9 sentenza impugnata), ma concesse al socio, pienamente, lo sfruttamento di quanto esso consorzio aveva ottenuto in concessione dalla Capitaneria di porto di Ravenna.

Al socio venne concessa la stessa facoltà ricevuta dalla P.A. nell’ambito di una regolamentazione di rapporti, che prevedeva anche l’obbligatorio conferimento del prodotto al Consorzio stesso, per cui il giudice a quo ha ritenuto che, solo per analogia, sono state richiamate le norme in tema di comodato.

Nell’interpretazione letterale della scrittura intercorsa tra il T. e il Consorzio (di cui tratta il primo motivo) il giudice dell’appello sembra privilegiare la prima frase di essa” la durata della concessione a titolo gratuito è limitata”, ma dato “il non agevole” attribuire un preciso significato alle espressioni usate dalle parti nel qualificare il contratto, interpreta lo stesso nel senso che la “concessione è fatta a titolo personale, in ragione della qualità di socio onde, a parte la possibile successione di famigliari, la morte farebbe cessare il rapporto” (p. 10 sentenza impugnata).

In sintesi, il giudice a quo ha escluso ogni sfruttamento permanente dell’area.

Come appare evidente, e contrariamente a quanto assume il ricorrente, il giudice ha indagato ai sensi dell’art. 1362 c.c., quale sia stata la volontà delle parti consacrata nella scrittura, esaminandone letteralmente le espressioni e giungendo ad affermare che si trattava di un semplice uso concesso da potersi ritenere, ai fini dell’inquadramento giuridico, come un comodato gratuito a tempo indeterminato.

La decisione è corretta ed immune sia da errori di diritto che da vizi di motivazione.

Infatti, è questione di merito, sottratta al sindacato di questo Corte, la qualificazione che il giudice da al contratto, se la motivazione risulta appagante sotto ogni profilo, come lo è quella di cui alla sentenza impugnata.

Ciò sarebbe sufficiente a rigettare il ricorso, ma va ulteriormente posto in rilievo che la disciplina del comodato è applicata in via analogica, risultando dai documenti prodotti che il T., in quanto socio, ottenne l’uso esclusivo degli impianti, configurandosi un contratto a termine vita natural durante di cui è certo l’an ed incerto il quando (v. Cass. n. 8548/08, in motivazione).

Peraltro, il ricorrente nel contestare la decisione, nella parte in cui il giudice dell’appello avrebbe erroneamente identificato l’oggetto del contratto solo nell’utilizzo dello specchio d’acqua, riconosce che non si tratta di errore di diritto, ma ritiene che si versi in ipotesi di omissione sostanziale della motivazione, di error in judicando, che” non ha prodotto l’ingiustizia della sentenza, in quanto non ha determinato una statuizione erronea e ingiusta nel dispositivo, per cui è configurabile solo come errore nella motivazione in diritto, che porta alla correttezza della motivazione”.

Questo passaggio argomentativo appare contraddittorio una volta che ci si è doluto – così come si evince dal motivo – proprio del fatto che il giudice dell’appello non ha riconosciuto la esistenza di alcun contratto di comodato, ma ha posto in rilievo una certa ambiguità del testo ed ha optato, dopo attenta disamina, per una applicazione solo in via analogica della disciplina sul comodato.

Nè collide con la statuizione impugnata, come invece assume il ricorrente, la considerazione che fa il giudice dell’appello in ordine alla durata del contratto a tempo indeterminato, una volta, appunto, ritenuto che si trattava solo di un uso esclusivo per la maturazione delle vongole ed andava escluso che vi fosse un comodato.

Conseguentemente, ed in modo corretto, è stata esclusa ogni rilevanza alla clausola di otto anni fissata in via teorica (e di cui, in sostanza, tratta il secondo motivo).

Resta così assorbita una parte del terzo motivo, allorchè tratta del punto di partenza, per così dire, della motivazione.

2.-Ciò detto, il terzo motivo, nel resto, e con il quale, in estrema sintesi, il ricorrente si duole che il giudice dell’appello gli abbia negato il diritto al risarcimento dei danni (doglianza che, sotto altro profilo, è trattata nel quarto motivo) a seguito della revoca, da lui ritenuta illegittima, dell’utilizzo dello specchio d’acqua, va disatteso.

Il giudice del merito ha posto in rilievo che, sebbene la revoca fosse intervenuta alla fine del 1987, ovvero prima che trascorressero i 15 mesi utili per la maturazione delle vongole, il Consorzio, rendendosi conto di ciò, aveva provveduto a riservare una maggiore raccolta ai soci già concessionari di area e, in mancanza di idonea documentazione, ha statuito anche sulla base di una fattura (la n. 47 del 1989) che il T. avesse continuato a raccogliere le vongole da lui seminate, per cui oltre questo periodo ha ritenuto valido il recesso del Consorzio (p. 12 sentenza impugnata).

Quindi, nessuna violazione delle norme nè alcun vizio di motivazione, così come denunciati, sono rinvenibili.

In realtà, la revoca non ebbe alcun effetto sull’uso; non era illegittima e, quindi, va disatteso il quarto motivo circa il negato risarcimento.

Conclusivamente il ricorso va respinto, ma sussistono giusti motivi, attesa la peculiarità della vicenda, per compensare integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2011

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