Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4898 del 01/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 01/03/2010, (ud. 14/01/2010, dep. 01/03/2010), n.4898

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – rel. Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

ALESSANDRO, VALENTE NICOLA, PREDEN SERGIO, giusta mandato in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CARLO POMA

2, presso lo studio dell’avvocato ASSENNATO GIUSEPPE SANTE, che lo

rappresenta e difende, giusta mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 721/2005 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 16/10/2006 R.G.N. 79/03;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

14/01/2010 dal Consigliere Dott. GABRIELLA COLETTI DE CESARE;

udito l’Avvocato ASSENNATO GIUSEPPE SANTE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per dichiarazione di

inammissibilità in subordine rigetto.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Bologna affermava il diritto di M.G. di ottenere dall’INPS la maggiorazione contributiva prevista dalla L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, e successive modifiche come effetto della esposizione all’amianto subita dal lavoratore nel periodo compreso tra il 1987 e il 1998. Il ricorrente aveva riferito di aver lavorato alle dipendenze della Firema Trasporti s.p.a. e di aver già ricevuto una certificazione dall’INAIL comprovante la sua esposizione all’asbesto nel periodo compreso tra il 10 agosto 1981 e il 31 dicembre 1986. Sosteneva, tuttavia, che l’esposizione si era protratta ancora oltre e, segnatamente, dal 1 gennaio 1987 fino al 7 febbraio 1998, così da raggiungere e superare il termine decennale minimo imposto dalla normativa di settore per accedere al beneficio previdenziale.

Impugnata dall’INPS, la decisione è stata confermata dalla Corte d’appello di Bologna, la quale, nel condividere le osservazioni svolte dall’Istituto appellante, secondo il quale l’attribuibilità della richiesta maggiorazione contributiva postula la verifica nella specie, ritenuta non necessaria dal primo giudice – della sussistenza, per oltre un decennio, di una esposizione all’amianto superiore, in intensità, ai valori limiti indicati nel D.Lgs. n. 277 del 1991, ha, a tal fine, dato rilievo, sulla base della consulenza tecnica di ufficio esperita in secondo grado, ai periodi lavorativi maggiormente esponenti e ai rispettivi livelli di rischio (dall’ausiliare indicati come compresi tra lo 0,2 e le 2,5 ff/cc) per trame, quindi, in via di presunzione, il convincimento che la esposizione “qualificata” all’amianto sussisteva per tutto il periodo lavorativo considerato dal giudice di primo grado (dunque, fino al 1998).

Per la cassazione di questa sentenza l’Inps ha proposto ricorso affidato ad un unico motivo.

L’assicurato ha resistito con controricorso, illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente va esaminata l’eccezione di inammissibilità – improcedibilità del ricorso, formulata dall’odierno resistente nella memoria depositata ex art. 378 c.p.c. e fondata sul rilievo della mancata osservanza, da parte del ricorrente, dell’obbligo previsto dall’art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 4, per non aver depositato, unitamente al ricorso, la relazione del consulente tecnico di ufficio nominato in appello, con riferimento al contenuto della quale è denunciato un vizio di omessa e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata, dichiaratamente adesiva alle conclusioni dell’ausiliare tecnico.

2. L’eccezione non è fondata.

3. La disposizione dell’art. 369 cod. proc. civ., nel testo modificato con il D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 7, prescrive, al comma 2, n. 4 che, insieme con il ricorso, devono essere depositati, a pena di improcedibilità, “gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”. Tuttavia la stessa disposizione di legge prescrive, tuttora, nel comma 3, che il ricorrente deve chiedere alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata la trasmissione del fascicolo di ufficio e deve depositare (anche) tale richiesta insieme col ricorso.

La conservazione, per il ricorrente, di un onere siffatto nonostante le innovazioni apportate alla norma processuale con la riforma del 2006, fa ritenere al Collegio che le due previsioni in esame vadano tra loro coordinate, nel senso che gli atti processuali, i documenti etc. dei quali il legislatore ha imposto il deposito unitamente al ricorso a pena di improcedibilità siano quelli che non fanno parte del fascicolo d’ufficio del giudizio nel quale è stata pronunciata la sentenza impugnata e l’onere della richiesta del quale continua a far gravare sul ricorrente, imponendogli di depositarla unitamente al ricorso. Orbene, nel fascicolo di ufficio, formato dal cancelliere ai sensi dell’art. 168 c.p.c., deve essere inserita, tra gli atti di istruzione che ne divengono parte integrante, la relazione scritta del consulente tecnico di ufficio, la quale, infatti, ai sensi dell’art. 195 c.p.c., deve essere depositata in cancelleria nel termine fissato dal giudice che ha disposto la nomina dell’ausiliare tecnico e la redazione di una relazione scritta delle indagini da questo compiute.

4. Applicando il suddetto principio nel caso concreto, non può non rilevare il Collegio che l’Istituto previdenziale ricorrente ha provveduto a richiedere la trasmissione del fascicolo di ufficio del giudizio d’appello conclusosi con la sentenza impugnata; e, d’altro canto, per lo scrutinio delle censure alla stessa rivolte non è necessario acquisire la relazione del nominato CTU, avendo l’INPS provveduto a trascriverne i passaggi rispetto ai quali denuncia la insufficienza e la illogicità della motivazione, senza che l’odierna parte resistente abbia mosso alcuna contestazione in ordine alla conformità di tale trascrizione all’effettivo contenuto delle osservazioni e delle conclusioni dell’ausiliare tecnico.

5. Può, dunque, procedersi all’esame del motivo di ricorso dell’INPS, il quale censura la sentenza della Corte di Bologna per insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a un fatto decisivo, rappresentato dal superamento della soglia legale di esposizione all’amianto negli anni compresi fra il 1993 e il 1998. Si lamenta che il giudice di appello ha ritenuto superato il livello legale di esposizione “nell’intero arco di vita lavorativa considerato” (dunque, nel periodo gennaio 1987 – febbraio 1998 oggetto di contestazione in primo grado) con affermazione che contraddice i dati obiettivi emergenti dall’elaborato peritale ed è espressa in via meramente presuntiva traendo J argomento dal rilevato (dal consulente tecnico) superamento del livello di tollerabilità con riferimento esclusivo agli anni 1987 – 1993.

6. Il ricorso è fondato.

7. In effetti, dalla relazione del consulente tecnico di ufficio, che la Corte di merito afferma di condividere e far propria, emerge, nella parte in cui l’ausiliare tecnico esprime il suo giudizio conclusivo circa il rischio morbigeno indotto dalle lavorazioni svolte dal M., che, nel periodo lavorativo 1993-1998 l’esposizione a polveri amiantifere era stata prevalentemente ambientale e indiretta e oscillava tra valori compresi tra ” i 0,02 e 0,05 ff/cc”. Di questo dato obiettivo non fa menzione la sentenza impugnata, che, per sua stessa ammissione, segue un percorso induttivo per giustificare il convincimento secondo cui l’esposizione aveva sempre superato i livelli legali; ritenendo, infatti, il giudice di appello che il comprovato superamento, in determinati anni lavorativi di maggiore esposizione, dei valori “limite” legislativamente prescritti, costituisca indicatore presuntivo del superamento di quegli stessi valori anche in anni diversi, senza necessità di verificare la esistenza, in concreto, di elementi utili a scandagliare la misura effettiva o, quantomeno, altamente probabilistica di tale superamento.

8. Ma tale conclusione non è conforme all’insegnamento della giurisprudenza di questa Corte la quale, se, da un lato, ritiene sufficiente, ai fini dell’attribuzione del beneficio della rivalutazione contributiva previsto dalla L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, e succ. modif., che sia dimostrato il superamento dei valori limite di esposizione secondo criteri di “elevata probabilità” (vedi Cass. sent. n. 19456 del 2007, n. 16119 del 2005) esige, tuttavia, che tale dimostrazione sia fornita avuto riguardo ad ogni anno utile compreso nel periodo ultradecennale in accertamento e non, invece, in relazione al periodo globale in relazione al quale è chiesta la rivalutazione, in proposito osservando che il parametro annuale costituisce un ragionevole riferimento tecnico per determinare il valore medio di esposizione e che, in ogni caso, il beneficio in questione è riconosciuto dalla legge per periodi di lavoro correlati all’anno (vedi Cass. n. 4650 del 2009).

9. Sussistendo il denunciato vizio di motivazione il ricorso va accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa ad altro giudice di merito, non ricorrendo i presupposti per la decisione della domanda da parte di questa Corte.

10. Al giudice di rinvio, indicato come in dispositivo, è rimessa anche la regolazione delle spese del giudizio di Cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese alla Corte d’appello di Firenze.

Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2010

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