Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4897 del 27/02/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 27/02/2017, (ud. 06/12/2016, dep.27/02/2017),  n. 4897

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25733-2010 proposto da:

M.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE GIUSEPPE MAZZINI 113, presso lo studio dell’avvocato NICOLA

PAGNOTTA, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati

FRANCESCO ROCCO DI TORREPADULA, ANGELO SICA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in

persona del Presidente legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

Avvocati MAURO RICCI, CLEMENTINA PULLI, SERGIO PREDEN, ANTONELLA

PATTERI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 281/2010 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 18/05/2010 R.G.N. 354/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/12/2016 dal Consigliere Dott. ADRIANA DORONZO;

udito l’Avvocato ROCCO DI PADULA FRANCESCO;

udito l’Avvocato PREDEN SERGIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Bologna, con sentenza pubblicata il 18 maggio 2010, ha accolto l’impugnazione proposta dall’Inps contro la sentenza resa dal Tribunale di Ravenna e, per l’effetto, ha rigettato la domanda proposta da M.G., già dirigente presso aziende industriali e iscritto all’Inpdai, avente ad oggetto il riconoscimento del suo diritto alla riliquidazione del trattamento pensionistico (pensione di anzianità) con decorrenza 1/9/2003, indebitamente decurtato dall’Inps perchè calcolato con applicazione del criterio del pro-rata. Contro la sentenza, il M. propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, illustrati con memoria depositata per l’udienza del 28/9/2016, poi rinviata a nuovo ruolo al 6 dicembre 2016. L’Inps resiste con controricorso e deposita memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo è fondato sulla falsa applicazione della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 42, comma 3, nonchè sulla violazione del D.P.R. n. 488 del 1968, art. 5, comma 1, e successive modifiche.

2. Il secondo motivo concerne la denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, di motivazione apparente o omessa motivazione. Il M. rileva che si è in presenza di una motivazione apparente, oppure omessa, giacchè la Corte territoriale si è limitata a trascrivere principi giurisprudenziali e a richiamare fonti normative estranei alla questione sottoposta al suo giudizio.

3. Il terzo motivo ha ad oggetto nuovamente l’omessa o apparente motivazione sul rigetto della domanda subordinata proposta dal ricorrente fin dal ricorso introduttivo, e reiterata nella memoria difensiva d’appello, con cui egli aveva chiesto che, in caso di rigetto della sua domanda, il calcolo compiuto dall’Inps fosse riformulato sulla base della retribuzione media pensionabile determinata sulle retribuzioni effettive degli ultimi 5 e 10 anni, coperte da contribuzione in parte presso l’Inps e in parte presso l’Inpdai, andando a ritroso dalla data di decorrenza della pensione (1/10/2003), e nel rispetto della clausola di salvaguardia di cui al D.Lgs. n. 181 del 1997, art. 3, comma 4.

4. I primi due motivi, che si affrontano congiuntamente, sono infondati.

L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 42, (Confluenza dell’INPDAI nell’INPS), così dispone: “1. Con effetto dalla data di entrata in vigore della presente legge, l’Istituto nazionale di previdenza per i dirigenti di aziende industriali (INPDAI), costituito con L. 27 dicembre 1953, n. 967, è soppresso e tutte le strutture e le funzioni sono trasferite all’INPS, che succede nei relativi rapporti attivi e passivi. Con effetto dalla medesima data sono iscritti all’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti dei lavoratori dipendenti i titolari di posizioni assicurative e i titolari di trattamenti pensionistici diretti e ai superstiti presso il predetto soppresso Istituto. La suddetta iscrizione è effettuata con evidenza contabile separata nell’ambito del Fondo pensioni lavoratori dipendenti.

2. Il bilancio consuntivo per l’esercizio 2002 dell’ente soppresso di cui al comma 1 è deliberato dal Comitato di cui al comma 4. Tutte le attività e le passività, quali risultano dal predetto bilancio consuntivo, affluiscono all’evidenza contabile di cui al comma 1, per quanto riguarda le prestazioni pensionistiche, e alle gestioni individuate dal predetto Comitato per quanto riguarda le prestazioni non pensionistiche.

3. Il regime pensionistico dei dirigenti di aziende industriali è uniformato, nel rispetto del principio del pro-rata, a quello degli iscritti al Fondo pensioni lavoratori dipendenti con effetto dal 1 gennaio 2003. In particolare, per i lavoratori assicurati presso il soppresso INPDAI, l’importo della pensione è determinato dalla somma: a) delle quote di pensione corrispondenti alle anzianità contributive acquisite fino al 31 dicembre 2002, applicando, nel calcolo della retribuzione pensionabile, il massimale annuo di cui al D.Lgs. 24 aprile 1997, n. 181, art. 3, comma 7; b) della quota di pensione corrispondente alle anzianità contributive acquisite a decorrere dal 1 gennaio 2003, applicando, per il calcolo della retribuzione pensionabile, le norme vigenti nel Fondo pensioni lavoratori dipendenti. Con la medesima decorrenza si applicano, per il calcolo della pensione, le aliquote di rendimento e le fasce di retribuzione secondo le norme in vigore nell’assicurazione generale obbligatoria per i lavoratori dipendenti. Per quanto riguarda le prestazioni non pensionistiche, continuano ad applicarsi le regole previste dalla normativa vigente presso il soppresso Istituto”.

4.1. La questione sottoposta al vaglio della Corte è tutta incentrata sull’esatta interpretazione di questa norma, in particolare del comma 3, assumendosi da parte del ricorrente che il principio della pro-rata opererebbe solo nel caso in cui il lavoratore fosse ancora iscritto all’Inpdai al momento della sua soppressione, laddove nel diverso caso in cui il lavoratore fosse già iscritto all’AGO (come nel caso di specie, in cui è pacifico che il M. dal 1 luglio 1998 fino al 30 settembre 2003, data di cessazione dell’attività lavorativa, era già iscritto all’Inps), la pensione deve essere liquidata secondo le regole generali e non anche secondo il criterio del pro-rata, previa automatica unificazione presso il regime AGO della pregressa contribuzione esistente presso l’Inpdai.

4.2. La tesi interpretativa sostenuta dal ricorrente è infondata.

La premessa da cui il ricorrente muove, secondo cui il criterio del pro-rata è applicabile solo a coloro che sono in costanza di rapporto di lavoro in qualità di dirigenti con le aziende del settore industria, e quindi assicurati presso l’Inpdai alla data del 31/12/2002, non è sostenuta da alcuna ragione letterale o teleologica. Sotto l’aspetto letterale, il riferimento ai “lavoratori assicurati presso il soppresso Inpdai” non esclude, ma piuttosto include tutti i titolari di una posizione assicurativa presso il suddetto Istituto: tale posizione non viene meno per il sol fatto che il soggetto abbia perso la qualifica di dirigente presso un’azienda industriale e non sia più in costanza di rapporto di lavoro, ma permane anche se l’attività lavorativa è cessata ed in assenza di ulteriore contribuzione, fino all’eventuale trasferimento dei contributi in altra gestione attraverso la domanda di ricongiunzione o fino al conseguimento della prestazione assicurata, ove ne sussistano i presupposti.

L’espressione “lavoratori assicurati presso il soppresso Inpdai” non può pertanto essere intesa come limitata ai soggetti che alla data del 31/12/2002 erano ancora in attività di servizio come dirigenti presso aziende industriali, ma deve intendersi riferita a tutti i dirigenti per i quali alla data del 31/12/2002 sussisteva una posizione assicurativa non ancora definita.

4.3. Sotto l’aspetto teleologico, deve rilevarsi che, in assenza di una domanda di ricongiunzione, espressamente prevista per i dirigenti iscritti all’Inpdai dal D.P.R. 8 gennaio 1976, n. 58, art. 22 – a norma del quale il dirigente, dimissionario o licenziato o che comunque abbia perduto la qualifica senza aver maturato il diritto a pensione, può richiedere all’Inpdai di provvedere, per i corrispondenti periodi di contribuzione comunque riconosciuti presso l’istituto medesimo, “alla costituzione della posizione assicurativa nell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti, mediante versamento dei contributi determinati secondo le norme della predetta assicurazione (…(…)…)” – l’interessato non può vedersi riconoscere gli effetti tipici della ricongiunzione medesima, la quale suppone, oltre alla domanda dell’interessato, l’effettivo trasferimento dei contributi dalla gestione previdenziale sostitutiva (nel caso, l’Inpdai), con le maggiorazioni previste per legge, nella gestione generale AGO. E’ solo infatti per effetto della detta ricongiunzione che i periodi di contribuzione esistenti presso le altre gestioni, esclusive, speciali o sostitutive, dei lavoratori dipendenti possono essere utilizzati nel fondo dei lavoratori dipendenti gestito dall’Inps, come se i contributi fossero stati sempre versati in quest’ultima gestione e con il diritto ad un’unica pensione liquidata in base ai requisiti previsti dal regime generale. Ora, è pacifico che nel caso in esame il M. non ha presentato domanda di ricongiunzione dei contributi versati all’Inpdai con quelli esistenti presso la gestione generale AGO prima della soppressione dell’Inpdai; sotto tale profilo, la sua posizione in nulla differisce da quella degli altri dirigenti Inpdai in attualità di servizio alla data del 31/12/2002, sicchè non vi è ragione di applicargli un sistema di liquidazione della pensione diverso da quello previsto dal legislatore in linea generale secondo il criterio del pro-rata.

Il trasferimento dei contributi presso l’Inps è avvenuto solo per effetto della L. n. 289 del 2002, attraverso l’iscrizione all’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti dei lavoratori dipendenti, dei titolari di posizioni assicurative e pensionistiche presso il soppresso Istituto, e l’iscrizione è avvenuta “con evidenza contabile separata”, a dimostrazione dell’assenza di una unificazione assimilabile alla ricongiunzione dei contributi prevista dal D.P.R. n. 58 del 1976.

La tesi prospettata dal ricorrente finirebbe, come evidenziato dalla difesa dell’Inps, per considerare l’ex dirigente Inpdai come se non avesse mai lavorato in qualità di dirigente di aziende industriali, annullando tutti pregressi periodi di assicurazione presso l’Inpdai, con conseguenze palesemente irragionevoli ove, ad esempio, l’iscrizione presso l’Inps fosse avvenuta qualche giorno prima della soppressione dell’ente e per un periodo di tempo breve rispetto al periodo di iscrizione presso la gestione Inpdai.

Deve invece affermarsi che la prima parte del comma 3, nella parte in cui dispone che il regime pensionistico dei dirigenti di aziende industriali è uniformato, nel rispetto del principio del pro-rata, a quello degli iscritti al Fondo pensioni lavoratori dipendenti con effetto dal 1 gennaio 2003, introduce un principio di carattere generale senza distinzione tra soggetti ancora iscritti e soggetti non più in costanza di assicurazione Inpdai alla data del 31/12/2002.

4.4. Le su esposte considerazioni impongono il rigetto dei primi due mezzi. Riguardo al secondo motivo, deve convenirsi con il ricorrente che i riferimenti giurisprudenziali contenuti nella sentenza d’appello mal si attagliano alla fattispecie in esame, riguardando questioni precedenti alla soppressione dell’Inpdai e alla sua confluenza dell’Inps: ciò tuttavia non può condurre all’accoglimento del ricorso dal momento che il dispositivo della sentenza impugnata è comunque conforme alla legge e la Corte può procedere alla sua integrazione o correzione ex art. 384 c.p.c., u.c., attraverso altra motivazione in diritto, laddove non siano necessarie, come nel caso in esame, ulteriori indagini e valutazioni di fatto nè si ravvisi alcuna violazione del principio dispositivo (Cass. 13/08/2004, n.15764; Cass. 27/12/2013, n. 28663).

Questo principio vale anche in presenza della denuncia di un error in procedendo, che ricorre anche nel caso di motivazione solo apparente, in ragione della funzione nomofilattica affidata al giudice di legittimità dall’ordinamento nonchè dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111 Cost., comma 2 (Cass. 11/11/2014, n. 23989).

5. Anche il terzo motivo è infondato. Il D.Lgs. 24 aprile 1997, n. 181, art. 3 comma 7, al quale rinvia L. n. 289 del 2002, art. 42, così dispone: “7. A decorrere dal 1 gennaio 1997, per i lavoratori di cui all’art. 2, commi 1 e 2, che non esercitino il diritto di opzione di cui alla L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 1, comma 23, il massimale annuo della base contributiva e pensionabile è stabilito nella misura di Lire 250 milioni ed è rivalutato annualmente sulla base dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, cosi come calcolato dall’ISTAT.”.

La quota di pensione da liquidare secondo il calcolo previsto nell’art. 42, comma 3, lett. a, sulla base dell’anzianità contributiva maturata sino al 31 dicembre 2002 presso l’Inpdai, deve tener conto delle retribuzioni percepite dal dirigente in costanza di rapporto assicurativo con l’Inpdai, e non invece, seguendo l’impostazione difensiva del ricorrente, sulla base delle retribuzioni percepite negli ultimi 5 e 10 anni andando a ritroso, anche per il calcolo della quota afferente alla contribuzione Inpdai, dal 1/10/2003, data di decorrenza della pensione, e computando sia le retribuzioni dal 1/10/1993 fino al 30/6/1998, inerenti al vecchio rapporto assicurativo Inpdai, nei limiti del massimale di legge previsti per tale ente, sia le retribuzioni assoggettate alla contribuzione Inps dal 1/7/1998 al 30/9/2003, negli importi su cui sono stati effettivamente versati contributi (pagg. 25 e 26 del ricorso).

Ed invero, la quota a) corrisponde alle anzianità contributiva maturata nel Inpdai entro il 31 dicembre 2002. Tale quota è data, a sua volta, dalla somma di due distinte quote (A + B): la prima (A) corrispondente all’importo relativo all’anzianità contributiva maturata sino al 31 dicembre 1992; la seconda (B) corrispondente all’anzianità acquisita dal primo gennaio 1993. La base pensionabile della quota A è data dalla media degli stipendi degli ultimi 5 anni che precedono la decorrenza. Mentre quella di riferimento della quota B (da utilizzare per l’anzianità acquisita dal primo gennaio 1993 in poi) si ricava dalla media annua delle retribuzioni degli ultimi 10 anni (sempre andando a ritroso dalla decorrenza). Ora le retribuzioni di riferimento non possono che essere quelle percepite dall’assicurato quando era dirigente di aziende industriali, ossia quelle che sarebbero state prese in considerazione nel caso di ipotetica liquidazione della pensione da parte dell’Inpdai, non anche le retribuzioni degli ultimi 5 e 10 anni, a decorrere a ritroso dalla data del pensionamento.

In tal senso depone il rinvio al D.Lgs. n. 181 del 1997, art. 3, comma 7, citato, nonchè lo stesso meccanismo del pro-rata adottato dal legislatore, quale espressione della volontà di tenere distinti i due regimi, attraverso la previsione che ognuno dei periodi assicurativi, proprio per la diversità dei sistemi di calcolo adottati, dia luogo a due distinte quote di pensione da determinare secondo specifici criteri.

5.1. Quanto alla questione relativa alla cosiddetta clausola di salvaguardia, il cui rispetto l’Inps avrebbe dovuto verificare, essa difetta di specificità e autosufficienza, dal momento che il ricorrente avrebbe dovuto specificare in che termini la detta clausola non sarebbe stata rispettata e indicare gli atti e i documenti su cui tale affermazione è fondata.

La norma prevista dal D.Lgs. n. 181 del 1997, art. 3, comma 4 dispone che “l’importo del trattamento pensionistico complessivo non può comunque risultare inferiore a quello previsto, alle medesime condizioni, dall’assicurazione generale obbligatoria per la invalidità, la vecchiaia ed i superstiti”. Si tratta di una garanzia per il pensionato Inpdai, la cui operatività suppone, per espressa disposizione di legge, un giudizio comparativo tra entità determinate e comparabili tra le quali effettuare il raffronto (in tal senso, Cass. 24/8/2000, n. 11055). Se così è il ricorrente avrebbe dovuto specificare i termini di tale comparazione, avuto riguardo non solo all’anzianità ed alla retribuzione, ma alla contribuzione. In mancanza, deve ritenersi che tale aspetto del motivo di ricorso sia inammissibile.

6. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato. In considerazione della mancanza di precedenti specifici e della obiettiva controvertibilità della questione, come attestata dal diverso esito dei giudizi di merito, sussistono i presupposti per compensare tra le parti le spese del presente giudizio.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; compensa le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 febbraio 2017

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