Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4897 del 23/02/2021

Cassazione civile sez. lav., 23/02/2021, (ud. 17/11/2020, dep. 23/02/2021), n.4897

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12173/2018 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati

ANTONIETTA CORETTI, VINCENZO STUMPO, VINCENZO TRIOLO;

– ricorrente –

contro

E.L.G., elettivamente domiciliata in ROMA PIAZZA

DANTE 12, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO TRANI,

rappresentata difesa agli avvocati GIANPAOLO BESTETTI, GIORGIO

BASALDELLA, NICOLA BUFANO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 75/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 15/02/2018 R.G.N. 640/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/11/2020 dal Consigliere Dott. DANIELA CALAFIORE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CIMMINO Alessandro, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato VINCENZO STUMPO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 75 del 2018, la Corte d’Appello di Milano, in accoglimento dell’appello proposto da E.L.G. ed in riforma della pronuncia di primo grado, ha dichiarato il diritto della medesima di ottenere dall’Inps, quale gestore del Fondo di Garanzia per la tutela contro l’insolvenza dei datori di lavoro, il pagamento della quota di TFR e delle ultime mensilità maturate in capo alla fallita società (OMISSIS) s.r.l..

La Corte territoriale ha dato atto che la lavoratrice, già dipendente della (OMISSIS) s.r.l., era transitata dal 19 ottobre 2012, a seguito di affitto di azienda, alle dipendenze della s.r.l. Il Gamberetto di Saronno e che il rapporto di lavoro con l’affittuaria era cessato in data 5 dicembre 2012 (per dimissioni della lavoratrice); la lavoratrice aveva insinuato al passivo del fallimento della (OMISSIS) s.r.l. il credito per la quota di TFR e le ultime mensilità maturate prima del trasferimento, ma l’Inps aveva respinto la domanda assumendo che in caso di insolvenza del cedente, in luogo del Fondo era obbligato il cessionario in bonis.

2. La Corte d’Appello di Milano ha richiamato i precedenti di legittimità (Cass. n. 19291 del 2011; n. 11479 del 2013) secondo cui in caso di cessione d’azienda assoggettata al regime di cui all’art. 2112 c.c., posto il carattere retributivo e sinallagmatico del trattamento di fine rapporto che costituisce istituto di retribuzione differita, il datore di lavoro cedente rimane obbligato nei confronti del lavoratore suo dipendente, il cui rapporto sia proseguito con il datore di lavoro cessionario, per la quota di trattamento di fine rapporto maturata durante il periodo di lavoro svolto fino al trasferimento aziendale, mentre il datore cessionario è obbligato per la stessa quota solo in ragione del vincolo di solidarietà, e resta l’unico obbligato quanto alla quota maturata nel periodo successivo alla cessione.

Ha inoltre fatto proprio l’orientamento espresso da Cass. n. 24730 del 2015, in base al quale la definitiva esecutività dello stato passivo, da cui risulti un credito (nella specie, il TFR e le ultime tre mensilità della retribuzione) in favore del dipendente dell’imprenditore dichiarato fallito, vincola, a prescindere dalla partecipazione alla procedura concorsuale, l’Inps al subentro nel debito del datore di lavoro insolvente, posto che la L. n. 297 del 1982, art. 2, ha la finalità di garantire i crediti insoddisfatti dei lavoratori e di evitare loro ulteriori e defatiganti accertamenti.

Ha quindi accolto l’appello in ragione del diritto di credito della lavoratrice nei confronti della cedente alla quota di TFR maturata fino al trasferimento, dell’ammissione al passivo di detto credito e della preclusione di qualsiasi eccezioni sul punto da parte dell’Inps.

3. Avverso la sentenza l’Inps ha proposto ricorso per cassazione, articolato in un unico motivo poi illustrato da memoria, cui ha opposto difese l’intimata con controricorso;

4. La causa è stata rimessa alla Sezione lavoro dalla Sesta sezione con ordinanza interlocutoria n. 31442 del 2019.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

5. Con l’unico motivo di ricorso l’Inps ha denunciato violazione della L. 29 maggio 1982, n. 297, D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 80, art. 2, commi 1, 2, 4, 5, 7 e 8, art. 1, commi 1 e 2, con riferimento all’art. 1203 c.c., nn. 3 e 5, e agli artt. 1298 e 2112 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3). Ha censurato la sentenza per aver dichiarato il diritto della lavoratrice di percepire dal Fondo di Garanzia la quota di TFR e le ultime mensilità maturate a carico della (OMISSIS) s.r.l., a seguito del fallimento della stessa e della ammissione di detto credito al passivo della procedura concorsuale, senza tener conto della cessione di azienda, in epoca anteriore al fallimento, da parte della (OMISSIS) s.r.l. in favore della società Il Gamberetto di Saronno s.r.l., presso cui la lavoratrice ha proseguito il rapporto di lavoro.

5.1. Ha sostenuto come la tutela previdenziale del Fondo di garanzia debba intervenire allorchè, a causa dell’insolvenza di parte datoriale, il credito lavorativo non sia provvisto di tutela nell’ambito del rapporto col datore di lavoro; con la conseguenza che, ove nel rapporto di lavoro il dipendente possa rivolgersi ad un coobbligato in bonis del datore di lavoro insolvente, difetta un presupposto per l’insorgenza dell’obbligazione previdenziale, ossia il rischio per il lavoratore di non poter ottenere il pagamento del TFR e delle mensilità maturate. Ha pure chiesto di rivisitare il principio espresso da Cassazione n. 24730 del 2015, di vincolatività nei propri confronti dell’ammissione del credito allo stato passivo, facendo leva sull’autonomia dell’obbligazione previdenziale rispetto a quella di lavoro.

6. La Sesta Sezione di questa Corte di cassazione, dato atto dell’orientamento assunto dalla Sezione lavoro di questa Corte, a partire da Cassazione n. 19277 del 2018, con il quale ci si è discostati da Cassazione n. 24730 del 2015 e da Cass. n. 23258 del 2015, ha sollecitato l’intervento nomofilattico relativamente al concreto ambito di operatività della tutela apprestata dal Fondo di Garanzia nell’ipotesi, ricorrente nel caso concreto, in cui il rapporto di lavoro, proseguito presso il cessionario in bonis, sia cessato al momento in cui interviene la declaratoria di fallimento dell’ex datore di lavoro cedente e vengono conseguentemente ammessi al passivo i crediti di lavoro maturati nei confronti del fallito ed ancora insoddisfatti.

6.1. In particolare, l’ordinanza interlocutoria, in ragione di quanto affermato dall’orientamento più recente (secondo cui sia la L. n. 297 del 1982, art. 2, che il D.Lgs. n. 82 del 1990, art. 2, si riferiscono all’ipotesi in cui sia stato dichiarato insolvente ed ammesso alle procedure fallimentari il datore di lavoro che è tale al momento in cui la domanda di insinuazione al passivo viene proposta, con la conseguente opponibilità da parte dell’Inps del rilievo di insussistenza dei presupposti di applicabilità dell’intervento del Fondo di garanzia nell’ipotesi in cui a fallire sia stato il cedente) e da quanto affermato da Cass. n. 26021 del 2018 (in relazione alla insussistenza di obbligo di preventiva escussione di eventuali coobbligati pro quota, ai fini dell’intervento del Fondo di garanzia) ritiene che la fattispecie in esame, caratterizzata dalla avvenuta cessazione del rapporto di lavoro anteriormente al fallimento del cedente, non possa essere risolta alla luce degli orientamenti descritti.

7. Il motivo va accolto, con le precisazioni che seguono.

In fatto, è opportuno ricordare la vicenda circolatoria che – come emerge pacificamente dagli atti di parte – ha interessato l’azienda presso cui l’odierna contro ricorrente ha prestato la propria attività di lavoro. In particolare, in data 19 ottobre 2012 il rapporto di lavoro della controricorrente ha visto succedere alla datrice di lavoro (OMISSIS) s.r.l., la società Il Gamberetto di Saronno s.r.l., a seguito di affitto d’azienda. La lavoratrice si era poi dimessa in data 5 dicembre 2012 ed il fallimento della (OMISSIS) s.r.l., debitrice della quota di t.f.r. maturata sino al trasferimento dell’azienda e delle ultime retribuzioni maturate a quella data, era intervenuto il 17 maggio 2013.

8. La lavoratrice, ottenuta l’ammissione al passivo per gli importi del t.f.r. maturati sino al 19 ottobre 2012 e per retribuzioni non erogate, ha chiesto l’intervento del Fondo di garanzia presso l’INPS per ottenere il pagamento di tali crediti ma è le stato opposto un rifiuto motivato con riferimento alla circostanza che i crediti dovevano essere soddisfatti dalla datrice di lavoro cessionaria anche per la quota maturata presso la cedente.

9. A fronte di tale complessivo svolgimento dei fatti, la Corte d’appello di Milano, con la sentenza impugnata, ha ritenuto che, dovesse farsi applicazione dei principi espressi da questa Corte di cassazione in tema di titolarità del debito di quota del t.f.r. maturato fino al trasferimento d’azienda (Cass. n. 19291 del 2011; Cass. n. 20837 del 2013) ed anche dell’orientamento (Cass. n. 24730 del 2015) secondo cui l’INPS subentra ex lege nel debito del datore di lavoro insolvente, previo accertamento del credito del lavoratore e dei relativi accessori mediante insinuazione nello stato passivo divenuto definitivo e nella misura in cui risulta in quella sede accertato, essendo incontestabile da parte dell’Istituto tale accertamento.

10. La fattispecie in concreto oggetto d’esame non si pone in termini differenti da quelli tenuti in considerazione da Cassazione n. 19277 del 2018 e dalle ulteriori numerose sentenze (Cass. n. 23047 del 2018; Cass. n. 23775 del 2018; Cass. n. 23776 del 2018; Cass. n. 14348 del 2019; Cass. n. 5376 del 2020) che hanno consolidato l’interpretazione in tale occasione adottata.

11. In termini essenziali, si tratta, ora come allora, di stabilire se l’obbligo del Fondo di garanzia di cui alla L. n. 297 del 1982, art. 2, valutate tutte le ricadute sul sistema, possa scaturire, incondizionatamente, dalla sola ammissione al passivo della domanda del lavoratore: anche se ciò che si è domandato in sede fallimentare è la sola quota di t.f.r. maturata presso il precedente datore di lavoro assoggettato a fallimento, successivamente alla cessione dell’azienda ed a prescindere dalla verifica della prosecuzione con il cessionario del rapporto di lavoro già intercorso con il cedente.

12. Come è noto la questione, ha trovato soluzione nei termini che seguono, solo riassuntivi della più estesa motivazione contenuta in Cass. 19277 del 2018 cui si fa rinvio:

– il diritto del lavoratore di ottenere dall’Inps, in caso d’insolvenza del datore di lavoro, la corresponsione del TFR a carico dello speciale Fondo di cui alla L. n. 297 del 1982, art. 2, ha natura di diritto di credito ad una prestazione previdenziale, ed è, perciò, distinto ed autonomo rispetto al credito vantato nei confronti del datore di lavoro (restando esclusa, pertanto, la fattispecie di obbligazione solidale), diritto che si perfeziona (non con la cessazione del rapporto di lavoro ma) al verificarsi dei presupposti previsti da detta legge (insolvenza del datore di lavoro, verifica dell’esistenza e misura del credito in sede di ammissione al passivo, ovvero all’esito di procedura esecutiva), con la conseguenza che, prima che si siano verificati tali presupposti, nessuna domanda di pagamento può essere rivolta all’Inps, e, pertanto, non può decorrere la prescrizione del diritto del lavoratore nei confronti del Fondo di garanzia” (cfr. in termini Cass. 23 luglio 2012 n. 12852 ed anche nn. 10875, 20675 del 2013; 12971 del 2014);

– il Fondo di garanzia svolge una funzione esclusivamente assicurativa e previdenziale di protezione dei lavoratori dal rischio dell’insolvenza di colui il quale è il proprio datore di lavoro al momento in cui il t.f.r. diviene esigibile ed è svincolata, quanto all’operatività del meccanismo di garanzia, dal legame con i presupposti concreti delle obbligazioni retributive rimaste inadempiute a causa dell’insolvenza che, dunque, diventano l’oggetto della diversa ed autonoma prestazione previdenziale;

l’INPS, quale gestore del Fondo di garanzia, può contestare la concreta operatività della regola di intervento del Fondo, incentrata sul ricorrere degli elementi previsti dalla stessa fattispecie di cui alla L. 29 maggio 1982, n. 297, art. 2, ed al D.Lgs. n. 82 del 1990, art. 2, ed, in particolare, il richiamo all’art. 2120 c.c., fa sì che la disciplina ivi contenuta costituisca l’oggetto dell’obbligo assicurativo pubblico, rendendo palesi i presupposti per l’intervento del Fondo, da ravvisare nelle seguenti circostanze, che: a) sia venuto ad esistenza l’obbligo di pagamento del t.f.r. fissato dall’art. 2120 c.c., in capo al datore di lavoro che è tale quando cessa il rapporto di lavoro; b) egli, in tale momento, si trovi in stato di insolvenza; dunque, sempre ai sensi del disposto dell’art. 2120 c.c., è necessario, innanzi tutto, che sia intervenuta la risoluzione del rapporto di lavoro perchè il t.f.r. non può essere preteso se non alla cessazione del rapporto di lavoro (vd. da ultimo Cass. n. 2827 del 2018); ed è la stessa fattispecie di cui alla L. n. 297 del 1982, art. 2, che include la risoluzione del rapporto, espressamente, fra i presupposti di applicazione della tutela;

– lo scopo sociale della direttiva Europea recepita dal legislatore nazionale, inoltre, pretende che la copertura del Fondo di garanzia sia prestata per i crediti insoddisfatti maturati in un periodo determinato di tempo, attesa la finalità di tutela dal bisogno indicata dalla direttiva 987/80 e successive modificazioni, per cui l’intervento del Fondo di garanzia non si allarga a coprire qualsiasi inadempimento ma solo l’inadempimento del t.f.r. e delle ultime tre mensilità di retribuzione;

– l’intervento del Fondo di garanzia non si giustifica laddove sia inesistente la relazione causale e temporale tra inadempimento datoriale ed insolvenza dichiarata con procedura concorsuale, posto che le tutele dei lavoratori, in ipotesi di trasferimento d’azienda, formano oggetto di altre specifiche previsioni di derivazione comunitaria come la direttiva 2001/23 (art. 2, paragrafo 1);

– Cass. n. 19291 del 2011, con riferimento all’ipotesi della cessione d’azienda, nell’affermare che il diritto al trattamento di fine rapporto ex art. 2020 c.c., matura progressivamente in ragione dell’accantonamento annuale, precisa anche che l’esigibilità del credito è rinviata al momento della cessazione del rapporto. Quindi il credito per t.f.r. non è ancora esigibile, tant’è che neppure comincia a decorrere il termine di prescrizione. Alla cessazione del rapporto il datore di lavoro cessionario risponderà per l’intero t.f.r. (in via diretta quanto alla quota di t.f.r. maturata dopo la cessione; in via solidale quanto alla quota maturata precedentemente); invece il datore di lavoro cessionario risponderà solo per la quota di t.f.r. maturata prima della cessione.

13. In definitiva, anche con riferimento alla fattispecie in cui il fallimento del cedente intervenga dopo che sia cessato il rapporto di lavoro proseguito con il cessionario, va riaffermato il principio secondo cui la L. n. 297 del 1982, art. 2 e il D.Lgs. n. 82 del 1990, art. 2, si riferiscono all’ipotesi in cui sia stato dichiarato insolvente ed ammesso alle procedure concorsuali il datore di lavoro che è tale al momento in cui il t.f.r. diviene esigibile ed in cui la domanda di insinuazione al passivo viene proposta ed, inoltre, poichè il t.f.r. diventa esigibile solo al momento della cessazione del rapporto, il fatto che (erroneamente) il credito maturato per t.f.r. fino al momento della cessione d’azienda sia stato ammesso allo stato passivo nella procedura fallimentare del datore di lavoro cedente non può vincolare l’Inps, che è estraneo alla procedura e che perciò deve poter contestare il credito per t.f.r. sostenendo che esso non sia ancora esigibile, neppure in parte, e quindi non opera ancora la garanzia della L. n. 297 del 1982, art. 2.

14. Alla luce delle superiori deduzioni, è evidente che non viene in rilevo il principio espresso da Cass. 26021 del 2018, riferito alla diversa ipotesi di fallimento del cessionario e di intervenuta cessazione del rapporto di lavoro alle sue dipendenze, che ha escluso che la domanda all’INPS di corresponsione del t.f.r. fosse condizionata dal previo esperimento da parte del lavoratore, insinuatosi al passivo del fallimento del datore di lavoro per l’intero credito, delle azioni esecutive nei confronti della società affittuaria d’azienda alla quale era stato trasferito durante il rapporto e che lo aveva retrocesso alla curatela, rimanendo coobbligata “pro quota” ai sensi dell’art. 2112 c.c..

15. Poichè la sentenza impugnata non si è attenuta al principio enunciato al punto 13., la stessa va cassata e rinviata alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, che riesaminerà la questione alla luce di quanto al predetto punto affermato.

16. Il giudice del rinvio regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, per la prosecuzione del giudizio, alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 17 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2021

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