Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4897 del 01/03/2018


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Civile Sent. Sez. L Num. 4897 Anno 2018
Presidente: DI CERBO VINCENZO
Relatore: DI PAOLANTONIO ANNALISA

SENTENZA

sul ricorso 21283-2016 proposto da:
OLIVIERI DANIELE, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA FLAMINIA 195, presso lo studio dell’avvocato
SERGIO VACIRCA, rappresentato e difeso dall’avvocato
CLAUDIO LALLI, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

2017
4806

ARST S.P.A., in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
TUSCOLANA 1256,
ALESSIO

presso lo studio dell’avvocato

PAOLUCCI,

rappresentata

e

difesa

Data pubblicazione: 01/03/2018

dall’avvocato RINALDO LAI, giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 47/2016 della CORTE D’APPELLO
di CAGLIARI SEZIONE DISTACCATA di SASSARI depositata
il 09/03/2016 r.g.n. 192U2k014;

udienza del 05/12/2017 dal Consigliere Dott. ANNALISA
DI PAOLANTONIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO CELENTANO, che ha concluso per
il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato PASQUALE LA MANICA per delega
verbale Avvocato RINALDO LAI.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

• RG 21283/2016
FATTI DI CAUSA

1. La Corte di Appello di Cagliari – Sezione Distaccata di Sassari, in riforma della sentenza
del Tribunale di Tempio Pausania che aveva parzialmente accolto il ricorso, ha respinto le
domande proposte da Daniele Olivieri il quale, nel convenire in giudizio la ARST s.p.a.,
aveva domandato: la dichiarazione di nullità del termine apposto al contratto a tempo
determinato decorrente dall’8/7/2010; l’accertamento della sussistenza fra le parti di un
rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato far tempo dalla stessa data o dal 25

lavoro in precedenza occupato ed al risarcimento del danno in misura pari alle retribuzioni
maturate dalla cessazione del rapporto o in subordine all’indennità prevista dall’art. 32
della legge n. 183/2010.
2. La Corte territoriale ha condiviso la sentenza impugnata quanto alla ritenuta illegittimità
della clausola di durata ed ha evidenziato che la stessa mancava della necessaria
specificità perchè il datore di lavoro si era limitato ad un generico richiamo a tutte le
ragioni che in astratto consentono il ricorso al tipo contrattuale, senza fornire alcuna
specificazione relativa all’ambito territoriale, al numero dei lavoratori da sostituire, alle
mansioni, al luogo della prestazione.
3.

Il giudice di appello ha, però, escluso che potesse essere disposta l’invocata

conversione del contratto impedita, pur nell’inapplicabilità dell’art. 23 della L.R. Sardegna
n. 16/1974, dall’art. 18 del d.l. n. 112/2008, convertito dalla legge n. 133/2008, con il
quale il legislatore ha imposto alle società a totale partecipazione pubblica di adottare
metodi di reclutamento del personale rispettosi dei criteri di trasparenza, pubblicità e
imparzialità.
4. La Corte territoriale ha anche respinto la domanda di risarcimento del danno, perché
dello stesso non era stata fornita prova dal lavoratore, il quale non poteva neppure
invocare l’applicazione dell’art. 32 della legge n. 183/2010.
5. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso Daniele Olivieri sulla base di tre
motivi, ai quali ha opposto difese l’ARST s.p.a..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 Il primo motivo di ricorso denuncia «violazione e falsa applicazione dell’art. 18, 2 0
comma, del d.l. 112/2008, convertito in legge n. 133/2008, nonché conseguente violazione e/o
falsa applicazione del d.lgs. n. 368 del 2001… omessa e comunque contraddittoria motivazione
su un punto decisivo della controversia costituito dall’esistenza o meno di una modalità di

ottobre 2010; la condanna della società alla riammissione del lavoratore nel posto di

RG 21283/2016
reclutamento rispettosa dei criteri di trasparenza, pubblicità e imparzialità; violazione e falsa
applicazione dell’art. 36 1 0 comma Cost. e della direttiva 1999/70 CE». Il ricorrente richiama
giurisprudenza di questa Corte per sostenere che, attesa la natura privata e non pubblica della
società, dalla previsione per le società partecipate di procedure trasparenti ed imparziali di
assunzione non si può far discendere il divieto di conversione del contratto a termine affetto da
nullità in rapporto a tempo indeterminato, perché ciò determinerebbe un’ingiustificata disparità
di trattamento fra lavoratori che prestano la loro attività alle dipendenze di soggetti privati.
1.2. Con la seconda critica il ricorrente si duole della «violazione e/o falsa applicazione

con modificazioni nella L. 8 gennaio 1979 n. 3 nonché degli artt. 3, 36 e 97 Cost.» per le
medesime ragioni indicate nel primo motivo, ossia perché il diritto del lavoratore precario,
riconosciuto dalla direttiva europea e dal d.lgs. n. 368/2001, non può essere mortificato solo in
considerazione della partecipazione pubblica al capitale della società privata.
1.3. Il terzo motivo lamenta la «violazione del principio di effettività del risarcimento del
danno e conseguente vizio di motivazione – violazione e falsa applicazione dell’art. 32 della
legge n. 183 del 2010 -violazione degli artt. 1218, 1219, 1223, 1224, 1225 e 1226 cod. civ.»
perché la Corte territoriale, una volta ritenuto illegittimo il termine apposto al contratto,
avrebbe dovuto applicare i principi affermati dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 5072 del
2016 e, quindi, riconoscere il danno nella misura prevista dall’art. 32 della legge n. 183/2010,
a prescindere dalla prova del pregiudizio subito dal lavoratore.
2. I primi due motivi, che per la loro stretta connessione logico-giuridica possono essere
unitariamente trattati, sono infondati.
L’Azienda Regionale Sarda Trasporti, istituita con personalità giuridica di diritto pubblico
dalla I.r. Sardegna n. 3 del 9 giugno 1970 e successivamente disciplinata dalla I.r. Sardegna n.
16 del 20 giugno 1974, è stata trasformata dalla I.r. Sardegna n. 21 del 7 dicembre 2005 « in
società per azioni, a partecipazione azionaria pubblica e privata, con il vincolo della proprietà
pubblica maggioritaria e con la denominazione di “ARST Spa”» ( art. 30). La stessa legge ha
previsto che «le azioni della società di proprietà regionale sono attribuite all’Assessorato
regionale degli enti locali, finanze e urbanistica che esercita i diritti di azionista secondo le
direttive emanate dalla Giunta regionale.».
Quanto ai rapporti di lavoro il legislatore regionale, oltre a stabilire che «tutto il personale
dell’ARST transita nella società per azioni, conservando il trattamento economico e normativo
del CCNL autoferrotranvieri e degli accordi integrativi in essere» ( art. 30, comma 6), ha
espressamente escluso ( artt. 31 e 47) che, a partire dalla data di trasformazione dell’ente in
società per azioni, possano trovare ancora applicazione le norme dettate dalla I.r. n. 16/1974,
che all’art. 23 prevedeva per le assunzioni il previo esperimento di concorso pubblico.

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dell’art. 5, quindicesimo e diciasettesimo comma, del d.l. 10 novembre 1972 n. 702 convertito

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Quest’ultima disposizione, ancora in questa sede richiamata dalla difesa dell’ARST s.p.a.,
non è, dunque, applicabile alla fattispecie, giacché la norma sopravvenuta (art. 47 lett. b della
I.r. n. 21/2005) è chiara nell’estendere l’effetto abrogativo all’intera disciplina riguardante
l’Azienda Regionale, con il solo limite della «garanzia di conservazione dei trattamenti
economici e previdenziali goduti all’entrata in vigore della presente legge» ( art. 46).
La questione qui controversa non è pertanto sovrapponibile a quella già decisa da questa
Corte con le sentenze nn. 4630, 4631, 4632 e 5229 del 2017 (negli stessi termini Cass. nn.
4825, 5286, 5287, 5315, 5319, 5456, 5457, 5555, 6413 del 2017) che, in relazione a contratti

hanno fatto discendere dalla necessaria concorsualità dell’assunzione l’impossibilità
dell’automatica trasformazione del rapporto in contratto a tempo indeterminato, rilevando che
la conversione finirebbe per eludere le garanzie imposte a tutela di un interesse pubblico.
2.1. Va, però, detto che il principio affermato dalle richiamate pronunce, in continuità con
precedenti arresti di questa Corte (Cass. n. 11163/2008; Cass. S.U. n. 4685/2015; Cass. n.
26347/2016), orienta anche ai fini della soluzione del caso che oggi viene in rilievo, perché il
contratto della cui legittimità si discute è stato stipulato nella vigenza dell’art. 18 del d.l. n.
112/2008, convertito con modificazioni dalla legge n. 133/2008 che, nel testo applicabile
ratione temporis risultante dalle modifiche apportate dalla legge n. 102/2009 di conversione
del d.l. n. 78/2009, al comma 1 estende alle società a totale partecipazione pubblica che
gestiscono servizi pubblici locali i criteri stabiliti in tema di reclutamento del personale dall’art.
35, comma 3, del d.lgs. n. 165 del 2001, ed al comma 2 prescrive alle «altre società a
partecipazione pubblica totale o di controllo» di adottare «con propri provvedimenti criteri e
modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei
principi, anche di derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità e imparzialità». Il comma
2 bis prevede, inoltre, che « le disposizioni che stabiliscono, a carico delle amministrazioni di
cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive
modificazioni, divieti o limitazioni alle assunzioni di personale si applicano, in relazione al
regime previsto per l’amministrazione controllante, anche alle società a partecipazione pubblica
locale totale o di controllo che siano titolari di affidamenti diretti di servizi pubblici locali senza
gara, ovvero che svolgano funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi
carattere non industriale ne commerciale, ovvero che svolgono attività nei confronti della
pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica inserite
nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto
nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 5 dell’articolo 1 della legge 30 dicembre
2004, n. 311.».

3

a termine affetti da nullità stipulati dall’ARST nella vigenza della legge regionale n. 16/1974,

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Con la disposizione in commento il legislatore nazionale, pur mantenendo ferma la natura
privatistica dei rapporti di lavoro, sottratti alla disciplina dettata dal d.lgs. n. 165/2001, ha
inteso estendere alle società partecipate i vincoli procedurali imposti alle amministrazioni
pubbliche nella fase del reclutamento del personale, perché l’erogazione di servizi di interesse
generale pone l’esigenza di selezionare secondo criteri di merito e di trasparenza i soggetti
chiamati allo svolgimento dei compiti che quell’interesse perseguono ( C.d.S. – Sezione
Consultiva per gli atti normativi n. 2415/2010).
La norma recepisce i principi affermati dalla Corte Costituzionale già a partire dalla

della veste giuridica dell’ente non è sufficiente a giustificare la totale eliminazione dei vincoli
pubblicistici, ove la privatizzazione non assuma anche «connotati sostanziali, tali da
determinare l’uscita delle società derivate dalla sfera della finanza pubblica».
La giurisprudenza costituzionale distingue, dunque, la privatizzazione sostanziale da quella
meramente formale ( Corte Cost. nn. 29/2006, 209/2015, 55/2017) e sottolinea che in detta
seconda ipotesi viene comunque in rilievo l’art. 97 Cost., del quale l’art. 18 del d.l. n.
112/2008 costituisce attuazione, tanto da vincolare il legislatore regionale ex art. 117 Cost.
(Corte Cost. n. 68/2011).
2.2. In tema di società partecipate le Sezioni Unite di questa Corte, chiamate a
pronunciare sul riparto di giurisdizione fra giudice ordinario, contabile ed amministrativo,
hanno in estrema sintesi evidenziato che la partecipazione pubblica non muta la natura di
soggetto privato della società la quale, quindi, resta assoggettata al regime giuridico proprio
dello strumento privatistico adoperato, salve specifiche disposizioni di segno contrario o ragioni
ostative di sistema che portino ad attribuire rilievo alla natura pubblica del capitale impiegato e
del soggetto che possiede le azioni della persona giuridica (cfr. fra le più recenti Cass. S.U. n.
24591/2016 e con riferimento ai rapporti di lavoro Cass. S.U. n. 7759/2017).
Detta ricostruzione sistematica è stata fatta recentemente propria dal legislatore che
all’art. 1, comma 3, del d.lgs. n. 165/2016 ( Testo Unico delle società a partecipazione
pubblica) ha previsto che «Per tutto quanto non derogato dalle disposizioni del presente
decreto, si applicano alle società a partecipazione pubblica le norme sulle società contenute nel
codice civile e le norme generali di diritto privato. ».
Quanto ai rapporti di lavoro l’art. 19 richiama al comma 1 «le disposizioni del capo I,
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titolo II, del libro V del codice civile, delle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa,
ivi incluse quelle in materia di ammortizzatori sociali, secondo quanto previsto dalla normativa
vigente, e dai contratti collettivi» facendo, però, salve le diverse disposizioni speciali dettate
dallo stesso decreto che, per quel che qui rileva, al comma 2 dell’art. 19 impone alle società a
controllo pubblico di stabilire «criteri e modalità per il reclutamento del personale nel rispetto

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sentenza n. 466/1993, con la quale il Giudice delle leggi ha osservato che il solo mutamento

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dei principi, anche di derivazione europea, di trasparenza, pubblicità e imparzialità e dei
principi di cui all’articolo 35, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.» ed al
comma 4 prevede espressamente la nullità dei contratti di lavoro stipulati in difetto dei
provvedimenti e delle procedure di cui al comma 2.
Il legislatore del Testo Unico, quindi, pur ribadendo la non assimilabilità delle società
partecipate agli enti pubblici e l’inapplicabilità ai rapporti di lavoro dalle stesse instaurati delle
disposizioni dettate dal d.lgs. n. 165/2001, ha previsto significative deroghe alla disciplina
generale, che trovano la loro giustificazione nella natura del socio unico o maggioritario e negli

interessi collettivi da quest’ultimo curati, sia pure attraverso il ricorso allo strumento societario.
2.3. Si è dato conto dei principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale e di
legittimità nonché dell’evoluzione del quadro normativo perché da entrambi non si può
prescindere nel pronunciare sulle conseguenze che derivano dalla violazione dell’art. 18 del d.l.
n. 112/2008 e sui riflessi della normativa speciale rispetto a quella generale dettata in tema di
contratti di lavoro flessibile.
Quanto al primo aspetto, premesso che non può dubitarsi del carattere imperativo della
disposizione in commento, ritiene il Collegio che l’omesso esperimento delle procedure
concorsuali previste dal comma 1 e di quelle selettive richiamate nel comma 2 determini la
nullità del contratto ai sensi dell’art. 1418, comma 1, cod. civ. perché la violazione attiene al
momento genetico della fattispecie negoziale e, quindi, la stessa non può essere solo fonte di
responsabilità a carico del contraente inadempiente.
Le Sezioni Unite di questa Corte, nel delimitare l’ambito delle cosiddette nullità virtuali,
hanno osservato che in linea generale occorre tener conto della «tradizionale distinzione tra
norme di comportamento dei contraenti e norme di validità del contratto: la violazione delle
prime, tanto nella fase prenegoziale quanto in quella attuativa del rapporto, ove non sia
altrimenti stabilito dalla legge, genera responsabilità …. ma non incide sulla genesi dell’atto
negoziale, quanto meno nel senso che non è idonea a provocarne la nullità.».
Hanno, però, precisato che le norme che incidono sulla validità del contratto non sono solo
quelle che si riferiscono alla struttura o al contenuto del regolamento negoziale ma anche
quelle che «in assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni oggettive o
soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipulazione stessa del contratto: come è
il caso dei contratti conclusi in assenza di una particolare autorizzazione al riguardo richiesta
dalla legge, o in mancanza dell’iscrizione di uno dei contraenti in albi o registri cui la legge
eventualmente condiziona la loro legittimazione a stipulare quel genere di contratto, e simili.
Se il legislatore vieta, in determinate circostanze, di stipulare il contratto e, nondimeno, il
contratto viene stipulato, è la sua stessa esistenza a porsi in contrasto con la norma
imperativa; e non par dubbio che ne discenda la nullità dell’atto per ragioni – se così può dirsi –

,

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ancor più radicali di quelle dipendenti dalla contrarietà a norma imperativa del contenuto
dell’atto medesimo.» ( Cass. S.U. 19.12.2007 n. 26724).
L’applicazione alla fattispecie del principio di diritto richiamato induce ad escludere che
l’omesso esperimento delle procedure concorsuali o selettive possa solo generare
responsabilità contabile a carico dei dirigenti delle società partecipate, posto che
l’individuazione del contraente con modalità difformi da quelle prescritte dal legislatore, si
risolve nella mancanza in capo a quest’ultimo dei requisiti soggettivi necessari per
l’assunzione.

rapporto fra procedura concorsuale ex art. 35 del d.lgs n. 165/2001 e contratto di lavoro, in
relazione al quale si è osservato che «sussiste un inscindibile legame fra la procedura
concorsuale ed il rapporto di lavoro con l’amministrazione pubblica, poiché la prima costituisce
l’atto presupposto del contratto individuale, del quale condiziona la validità, posto che sia la
assenza sia la illegittimità delle operazioni concorsuali si risolvono nella violazione della norma
inderogabile dettata dall’art. 35 del d.lgs n. 165 del 2001, attuativo del principio costituzionale
affermato dall’art. 97, comma 4, della Carta fondamentale.» (Cass. n.13884/2016).
2.4. Va, quindi, esclusa la portata innovativa dell’art. 19, comma 4, del d.lgs. n. 175/2016
che, nel prevedere espressamente la nullità dei contratti stipulati in violazione delle procedure
di reclutamento, ha solo reso esplicita una conseguenza già desumibile dai principi sopra
richiamati in tema di nullità virtuali.
In merito è utile evidenziare che sugli effetti del mancato rispetto degli obblighi imposti
dall’art. 18 del d.l. n. 112/2008 la giurisprudenza di merito aveva espresso orientamenti
opposti, sicché la nuova normativa assume anche una valenza chiarificatrice della disciplina
previgente (sulla possibilità che la norma sopravvenuta, seppure non di interpretazione
autentica, possa non essere innovativa cfr. in motivazione Cass. S.U. n.18353/2014 e Cass. n.
20327/2016).
2.5. Una volta affermato che per le società a partecipazione pubblica il previo esperimento
delle procedure concorsuali e selettive condiziona la validità del contratto di lavoro, non può
che operare il principio richiamato al punto 2 secondo cui anche per i soggetti esclusi
dall’ambito di applicazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001 la regola della concorsualità
imposta dal legislatore, nazionale o regionale, impedisce la conversione in rapporto a tempo
indeterminato del contratto a termine affetto da nullità.
Diversamente opinando si finirebbe per eludere il divieto posto dalla norma imperativa
che, come già evidenziato, tiene conto della particolare natura delle società partecipate e della
necessità, avvertita dalla Corte Costituzionale, di non limitare l’attuazione dei precetti dettati
dall’art. 97 Cost. ai soli soggetti formalmente pubblici bensì di estenderne l’applicazione anche

6

Mutatis mutandis valgono le considerazioni già espresse da questa Corte in merito al

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a quelli che, utilizzando risorse pubbliche, agiscono per il perseguimento di interessi di
carattere generale.
2.6. Dette conclusioni non contrastano con quanto affermato da Cass. n. 23202/2013
richiamata dal ricorrente, perché in quel caso veniva in rilievo un contratto a termine stipulato
in epoca antecedente all’entrata in vigore del d.l. n. 112/2008 e, quindi, in un contesto
normativo che non prevedeva ancora per le società partecipate limiti in tema di reclutamento
del personale.
Va, poi, evidenziato che le Sezioni Unite di questa Corte con le sentenze nn. 28330/2011 e

del giudice amministrativo in relazione alle procedure concorsuali e selettive previste dall’art.
18, commi 1 e 2, del d.l. n. 112/2008, ma non hanno pronunciato sulle questioni che qui
vengono in rilievo.
2.7. Non si ravvisano il denunciato contrasto con la direttiva 1999/70/CE e la eccepita
illegittimità costituzionale della normativa per violazione dell’art. 3 Cost..
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha da tempo chiarito che spetta alle autorità
nazionali adottare misure adeguate per far fronte agli abusi nella reiterazione dei contratti a
termine e che queste ultime possono essere anche diverse dalla conversione in rapporto a
tempo indeterminato, purchè rispettino i principi di equivalenza e siano sufficientemente
effettive e dissuasive per garantire l’efficacia delle norme adottate in attuazione dell’Accordo
quadro recepito dalla direttiva (v. da ult. C. Giust. UE, 12 dicembre 2013, C-50/13, Papalia;
Id., 7 settembre 2006, C-53/03, Marrosu e Sardino; Id., 7 settembre 2006, C-180/04,
Vassallo; Id., 4 luglio 2006, C-212/04, Adeneler).
A sua volta la Corte Costituzionale, che come si è già detto in più pronunce ha evidenziato
la assimilabilità al lavoro pubblico dei rapporti instaurati con le società partecipate, ha escluso
che una difformità di trattamento con l’impiego privato, rispetto alla sanzione generale della
conversione di cui al d.lgs. n. 368/2001, possa dirsi ingiustificata ove vengano in rilievo gli
interessi tutelati dall’art. 97 Cost. ed in particolare le esigenze di imparzialità e di efficienza
dell’azione amministrativa ( Corte Cost. nn. 89/2003), esigenze che ad avviso della stessa
Corte stanno alla base della disciplina dettata dal richiamato art. 18 del d.l. n. 112/2008 (Corte
Cost. n. 68/2011).
3. E’ infondato anche il terzo motivo di ricorso.
L’art. 32 della legge n. 183/2010, oggi abrogato dal d.lgs. n. 81/2015, è applicabile «nei
casi di conversione del contratto a tempo determinato» e, quindi, non può essere invocato
qualora, come nella fattispecie, si discuta di un rapporto affetto da nullità, non convertibile,
che produce unicamente i limitati effetti di cui all’art. 2126 cod. civ..

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7759/2017, ribadita la inapplicabilità del d.lgs. n. 165/2001, hanno solo escluso la giurisdizione

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Va detto poi che nei casi in cui si assuma la illegittimità di unico contratto a termine
intercorso fra le parti, non rilevano i principi affermati dalla Corte di Giustizia con l’ordinanza
del 12 dicembre 2013 in causa C- 50/13, perché la clausola 5 dell’accordo quadro allegato alla
direttiva 1999/70 CE è applicabile nella sola ipotesi di reiterazione abusiva (Corte di Giustizia
23.4.2009 in cause riunite da C-378/07 a C-380/07, punto 90).
Ciò premesso ritiene il Collegio, in continuità con l’orientamento già espresso da questa
Corte ( cfr. Cass. nn. 4632, 5315, 5319, 5456, 28253 del 2017), che nell’ipotesi di ritenuta
illegittimità di un unico contratto non possa neppure trovare applicazione il principio di diritto

stata ritenuta necessaria al solo fine di adeguare la norma interna alla direttiva eurounitaria,
nella parte in cui impone l’adozione di misure idonee a sanzionare la illegittima reiterazione del
contratto. Invece, ove venga in rilievo un unico rapporto, non vi è ragione alcuna che possa
portare a disattendere la regola, immanente nel nostro ordinamento e richiamata anche dalle
Sezioni Unite, in forza della quale il danno deve essere allegato e provato dal soggetto che
assume di averlo subito.
3.1. Sono invece estensibili anche alla fattispecie, pur nella pacifica inapplicabilità dell’art.
36 del d.lgs. n. 165/2001, le considerazioni espresse nella richiamata sentenza n. 5076/2016
quanto alla impossibilità di far coincidere il danno con la mancata conversione, posto che il
pregiudizio è risarcibile solo se ingiusto e tale non può ritenersi la conseguenza che sia prevista
da una norma di legge, non sospettabile di illegittimità costituzionale o di non conformità al
diritto dell’Unione.
A detti principi di diritto si è correttamente attenuta la Corte territoriale, che nel
respingere la domanda risarcitoria, richiamato il principio affermato da Cass. 15714/2014
sulla inapplicabilità del sistema indennitario onnicomprensivo previsto dalla legge n. 183/2010,
ha evidenziato che il danno non può mai essere ritenuto in re ipsa e che nella specie il
ricorrente aveva omesso qualsiasi allegazione al riguardo.
4. Il ricorso va, pertanto, rigettato.
La novità e la complessità delle questioni giuridiche affrontate giustificano l’integrale
compensazione delle spese del giudizio di legittimità.
Deve darsi atto della ricorrenza delle condizioni richieste dall’art. 13 comma 1 quater del
d.P.R. n. 115/2002 per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.

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affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 5076/2016, perché l’agevolazione probatoria è

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Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei
presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Roma, così deciso nella camera di consiglio del 5 dicembre 2017

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