Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4891 del 01/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 01/03/2010, (ud. 22/12/2009, dep. 01/03/2010), n.4891

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO S.P.A., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZA G. VERDI, presso lo studio dell’avvocato TURCO CHIARA, (c/o

l’Ufficio della Funzione Affari Legali e Societari), che lo

rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

S.F.;

– intimato –

sul ricorso 18084-2007 proposto da:

S.F., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA ANTONIO

MANCINI 4/B, presso lo studio dell’avvocato FASANO GIOVANNANTONIO,

che lo rappresenta e difende, giusta mandato a margine del

controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO S.P.A., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZA G. VERDI, presso lo studio dell’avvocato CHIARA TURCO, (c/o

l’Ufficio della Funzione Affari Legali e Societari), che lo

rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso;

– controricorrente al ricorso incidentale –

sul ricorso 13370-2009 proposto da:

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO S.P.A., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZA G. VERDI, presso lo studio dell’avvocato CHIARA TURCO, (c/o

l’Ufficio della Funzione Affari Legali e Societari), che lo

rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

S.F.;

– intimato –

Nonchè da:

P.M., S.L., S.S., nella qualità di

eredi di S.F., elettivamente domiciliate in ROMA, PIAZZA

ANTONIO MANCINI 4/B, presso lo studio dell’avvocato FASANO

GIOVANNANTONIO, che le rappresenta e difende unitamente all’avvocato

FASANO RAFFAELA, giusta mandato a margine del controricorso e ricorso

incidentale;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

contro

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO S.P.A., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZA G. VERDI, presso lo studio dell’avvocato CHIARA TURCO, (c/o

l’Ufficio della Funzione Affari Legali e Societari), che lo

rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza non definitiva 225/2006 della CORTE D’APPELLO di

ROMA, depositata il 09/06/2006 r.g.n. 6219/04 e avverso la sentenza

definitiva n. 5906/2006, dep. il 03/06/2008; R.G. 6219/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

22/12/2009 dal Consigliere Dott. PIETRO ZAPPIA;

udito l’Avvocato FASANO RAFFAELA per delega FASANO GIOVANNANTONIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Roma, ex art. 414 c.p.c., S.F., già dipendente dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato s.p.a., premesso di aver prestato, nel corso del suo rapporto, lavoro straordinario con caratteristiche di continuità ed obbligatorietà nella misura risultante dalle buste paga allegate, deduceva che i compensi percepiti a tale titolo dovevano essere inclusi nella base di calcolo della 13^ e 14^ mensilità, del compenso percepito nel periodo di ferie annuale, dell’indennità di anzianità e del TFR. Istauratosi il contraddittorio l’Istituto Poligrafico contestava quanto dedotto dal ricorrente rilevando che l’accordo aziendale del 22.6.1974 e la contrattazione collettiva applicabile imponevano di escludere la computabilità dei compensi per lavoro straordinario nelle voci retributive indicate; eccepiva l’intervenuta prescrizione al ricalcolo del TFR; proponeva altresì domanda riconvenzionale tesa ad ottenere la compensazione delle somme eventualmente riconosciute con quanto corrisposto al lavoratore sulla base del predetto accordo aziendale.

Il giudice adito accoglieva la domanda attorea condannando l’Istituto Poligrafico a corrispondere al lavoratore le somme relative alla inclusione nella base del computo dell’indennità di anzianità, del TFR e degli istituti collaterali del compenso per lavoro straordinario prestato, e al ricalcolo delle festività nazionali ed infrasettimanali con inclusione nella retribuzione base della quota di lavoro straordinario continuamente espletato.

Avverso tale sentenza proponeva appello l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato; col detto gravame, ribadita l’eccezione di prescrizione svolta in primo grado, deduceva che il Tribunale aveva errato nel non considerare l’incidenza dell’accordo del 22.6.1974 relativamente al computo del lavoro straordinario sugli istituti di fine rapporto e sugli istituti collaterali, atteso che detto accordo era stato appositamente pattuito per assorbire eventuali richieste successive volte ad ottenere ulteriori liquidazioni per lavoro straordinario, e pertanto il primo giudice avrebbe dovuto quanto meno accogliere la domanda riconvenzionale proposta in primo grado;

rilavava altresì il vizio di ultra petizione con riferimento al ricalcolo delle festività nazionali ed infrasettimanali con inclusione nella retribuzione base della quota di lavoro straordinario continuamente espletato e chiedeva pertanto il rigetto delle domande proposte dal lavoratore con il ricorso introduttivo.

Con sentenza non definitiva in data 12.1.2006 la Corte d’appello di Roma, in parziale accoglimento dell’appello proposto, rigettava la domanda avanzata dal lavoratore concernente l’incidenza dello straordinario sulla retribuzione nel periodo di ferie, nonchè tutte le domande dallo stesso proposte in relazione al periodo successivo al CCNL del 1992.

Avverso questa sentenza propone ricorso per Cassazione l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato s.p.a. con quattro motivi di impugnazione.

Resiste con controricorso il lavoratore intimato, che propone a sua volta ricorso incidentale affidato ad un motivo di impugnazione.

Il ricorrente principale resiste a sua volta con controricorso al ricorso incidentale proposto dal lavoratore.

Con successiva sentenza definitiva in data 13.7.2006 la Corte d’appello condannava l’Istituto al pagamento della somma di Euro 9,505,055 mentre, in accoglimento della domanda di restituzione, condannava l’appellato a corrispondere in favore dell’Istituto la somma di Euro 11.971,945. Dichiarava compensate per due terzi le spese dell’intero giudizio, condannando l’Istituto alla rifusione della restante parte.

Anche avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione l’Istituto Poligrafico con quattro motivi di impugnazione, analoghi a quelli in precedenza svolti.

Resistono P.M., S.L. e S.S., nella qualità di eredi S.F. deceduto nelle more dell’espletamento del giudizio, con controricorso, proponendo ricorso incidentale affidato ad un motivo, anche in tal caso analogo a quello svolto in precedenza dal loro dante causa.

Sia l’Istituto Poligrafico che gli eredi del S. hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Preliminarmente va disposta la riunione ai sensi dell’art. 335 c.p.c., dei diversi ricorsi perchè proposti avverso la medesima sentenza.

Col primo motivo di gravame l’Istituto Poligrafico lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 1322 c.c., in correlazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ed in relazione alla normativa collettiva da applicare alla fattispecie.

In particolare rileva che la Corte territoriale aveva affermato apoditticamente che la definizione di retribuzione contenuta nell’art. 21 del CCNL aveva specifico effetto anche sugli istituti collaterali, omettendo di considerare che nel nostro ordinamento non esiste un principio generale di omnicomprensività della retribuzione; i giudici di merito avrebbero pertanto dovuto esaminare la specifica disciplina aziendale che regolava i suddetti istituti collaterali, dalla quale emergeva per contro la esclusione della possibilità di introdurre nella base di calcolo degli stessi il compenso per lavoro straordinario, che rimaneva pur sempre una prestazione accessoria ed eccezionale che non poteva rivestire di per sè natura di attività ordinaria in mancanza di una specifica normativa aziendale in tal senso.

Il motivo di ricorso è improcedibile a causa del mancato deposito dei CCNL in forma integrale, avendo parte ricorrente depositato solo stralci, seppure ampi, delle normative contrattuali succedutesi nel tempo.

Invero, dopo alcune perplessità (Cass. sez. lav., 4.8.2008 n. 21080, per cui l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi su cui il ricorso si fonda va riferito sia alle norme collettive della cui violazione il ricorrente si duole attraverso le censure mosse alla sentenza impugnata, sia ad ogni altra norma collettiva utile per l’interpretazione delle prime, sempre però che essa appartenga alla causa per essere stata dedotta e prodotta nei precedenti gradi di merito), la giurisprudenza maggioritaria di questa Corte (Cass. sez. lav., 11.2.2008 n. 6432, Cass. sez. lav., 5.2.2009 n. 2855, Cass. sez. lav., 2.7.2009 n. 15495) si è orientata nel senso che è necessario il deposito del testo integrale del contratto.

Ciò in primo luogo in forza del dettato letterale dell’art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 4 (come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40), il quale prevede che gli atti processuali, i documenti e i contratti o accordi collettivi su cui il ricorso si fonda devono essere depositati insieme al ricorso a pena di improcedibilità, norma che non sembra prevedere deroghe, consentendo il deposito solo di stralci del contratto collettivo da interpretare.

Al riguardo conviene in primo luogo richiamare i rilievi già svolti sul punto nei giudizi ex art. 420 bis cod. proc. civ., per decidere se essi possano valere anche quando non si tratta di quella speciale procedura, ma del normale ricorso per Cassazione, ex art. 360 cod. proc. civ., n. 3, in cui si assume che la sentenza impugnata abbia violato o falsamente applicato i contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro.

E’ stato precisato (Cass. sez. lav., 21.9.2007 n. 19560) che, in sede di applicazione dell’art. 420 bis c.p.c., la Corte di legittimità – nell’enunciare, in funzione nomofilattica, un principio – è tenuta ad operare come se l’oggetto del suo esame fosse una norma giuridica e non, invece, un negozio di natura privatistica.

Si è aggiunto, nella sentenza citata, per quanto attiene specificamente ai poteri della Corte di Cassazione, che nell’interpretazione del contratto, essa non è condizionata dalle domande delle parti e dal loro comportamento, potendo ricercare liberamente all’interno del contratto collettivo (da depositarsi ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) ciascuna clausola – anche se non oggetto dell’esame delle parti e del primo giudice – comunque ritenuta utile alla interpretazione.

Di conseguenza non si dubita che in quei procedimenti sia necessario depositare il contratto collettivo nella sua interezza (Cass. sez. lav., 16.7.2009 n. 16619).

Ritiene il Collegio che alla stessa conclusione si debba pervenire in relazione all’ambito dell’interpretazione che compete alla Corte nel caso in cui venga proposto ordinario ricorso per Cassazione ex art. 360 cod. proc. civ., n. 3.

Ed invero il procedimento ex art. 420 bis c.p.c., trova necessario fondamento nella nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, e nulla autorizza a ritenere che, nell’un caso, l’analisi della contrattazione collettiva debba essere più limitata rispetto a quanto previsto per l’altro. E’ poi innegabile che la interpretazione resa ex art. 420 bis c.p.c., oltre avere effetto anticipatorio, abbia una maggiore forza cogente, stante il disposto dell’art. 146 bis disp. att. c.p.c. in cui, richiamando il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 64, comma 7, si sancisce l’influenza della decisione della Corte in altri processi in cui si controverta sulla medesima questione.

La statuizione ha quindi effetti diversi, tuttavia nessuna disposizione diversifica il processo interpretativo da applicare in caso di ricorso normale ed in caso del ricorso per saltum. Invero, la nomofilachia, cui le nuove norme sono finalizzate, sarebbe pregiudicata ove si ritenesse che, nell’un caso, l’interpretazione debba essere astretta alle clausole contrattuali esaminate nei gradi di merito, mentre, nell’altro, la interpretazione si possa svolgere a tutto campo, reperendo nel contratto altre clausole, non esaminate, che però potrebbero risolvere ogni margine di incertezza.

Ed invero, se fosse precluso alla Corte, anche in sede di ricorso ordinario, di applicare il criterio sistematico, interpretando le clausole le une per mezzo delle altre, la decisione che ne sortirebbe sarebbe sicuramente meno affidabile e meno “resistente” rispetto ad altri interventi, sentenze rese ex art. 420 bis c.p.c., che si possono invece giovare di questo fondamentale criterio ermeneutico.

Deve pertanto affermarsi il principio di diritto per cui la produzione di meri stralci del contratto collettivo nazionale di lavoro non corrisponde alla prescrizione di cui all’art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 4.

Col secondo motivo di gravame il ricorrente principale lamenta omessa pronuncia su motivo di appello in relazione alla prescrizione del diritto al computo dello straordinario sugli istituti di fine rapporto, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Rileva in particolare che la Corte d’appello aveva illegittimamente omesso ogni pronuncia in ordine alla questione suddetta.

Osserva in proposito il ricorrente che la cessazione del rapporto lavorativo costituisce il momento in cui il TFR diviene esigibile, ma la maturazione del relativo diritto si verifica progressivamente nel corso del rapporto lavorativo, e poichè nel caso di specie la materia del contendere non riguardava il “diritto al TFR”, bensì la determinazione di quali compensi andavano o meno calcolati al fine degli accantonamenti annuali, e quindi il diritto a vedere computata nella base di calcolo del TFR le varie voci che anno per anno concorrevano a comporlo, la relativa prescrizione si maturava anche nel corso del rapporto lavorativo.

Il motivo non può trovare accoglimento atteso che la dedotta omessa motivazione concerne un fatto non decisivo per la controversia, perchè infondato.

Osserva il Collegio che, contrariamente a quanto ritenuto da parte ricorrente, il diritto al trattamento di fine rapporto sorge, a norma dell’art. 2120 c.c., comma 1, (come sostituito dalla L. 29 maggio 1982, n. 297, art. 1, recante la disciplina del trattamento di fine rapporto) e per come previsto dalla lettera della legge, al momento della cessazione del rapporto di lavoro ed in conseguenza di essa. Ed invero l’uso del termine “quota” con riferimento all’importo della retribuzione annuale “dovuta”, lungi dal dare l’idea del frazionamento annuale e dell’acquisizione periodica del diritto, richiama, invece, solo una modalità del calcolo dell’unico diritto al trattamento di fine rapporto, da adoperarsi al momento in cui questo sorge, con la cessazione del rapporto, al fine di determinarne, mediante l’utilizzazione degli altri coefficienti previsti, applicati con riferimento a tutta la durata del rapporto stesso, l’entità complessiva che è solo ed esclusivamente quella finale.

Ma oltre che dal dato letterale, la tesi è suffragata dal rilievo che nel nuovo contesto, la somma da corrispondere, se pur non è costituita da una quota dell’ultima retribuzione, come per l’indennità di anzianità, è pur sempre rappresentata non già dalla somma degli accantonamenti annuali, bensì da quella delle “quote”, che avrebbero dovuto essere accantonate anno per anno, di una retribuzione annua dovuta, calcolabile solo alla cessazione del rapporto come è stato già osservato. Cosa questa che impedisce che possa parlarsi di liquidità e di certezza anno per anno essendo l’entità del diritto quantificabile solo alla fine del rapporto sia come base retributiva che, consequenzialmente, come quota rivalutativa secondo il meccanismo previsto, anche se l’importo che ne risulta può anche e solo eventualmente, corrispondere a quello risultante dall’accantonamento progressivo.

D’altronde, l’incertezza sulla determinazione delle quote annuali accantonate a motivo della computabilità o meno di somme corrisposte non appare eliminabile in costanza di rapporto in via autonoma, giacchè ai fini di questa computabilità può essere determinante la previsione della contrattazione collettiva del tempo della cessazione del rapporto; con la conseguenza che la tesi di parte ricorrente porterebbe alla incidenza, in maniera irrimediabile, degli errori e delle omissioni non fatti valere tempestivamente, sulla entità del TFR calcolata al momento in cui sorge il diritto, e cioè al momento della cessazione del rapporto lavorativo.

Ne consegue che la prescrizione del diritto al TFR non matura nel corso di svolgimento del rapporto di lavoro.

Coi terzo motivo di gravame il ricorrente lamenta omessa e comunque insufficiente e contraddittoria motivazione nella reiezione della domanda riconvenzionale, eccezione di compensazione proposta dall’istituto e violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5; violazione e falsa applicazione dell’alt 2120 c.c, come modificato dalla L. n. 297 del 1982, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Rileva in particolare il ricorrente che erroneamente la Corte territoriale aveva escluso la riassorbibilità di quanto erogato al lavoratore in forza delle previsioni contenute nel Punto A del contratto aziendale 22.6.1974, assumendo che tale compenso sarebbe stato assorbibile solo in caso di vertenze proposte dal personale e che fossero ricollegate alla contropartita dello stesso compenso (e cioè l’aumento della produttività).

Per contro il cd. Punto A dell’accordo non era in alcun modo legato alla produttività, ed aveva invece la precipua finalità di evitare per il futuro un contenzioso di massa relativo alla inclusione nel calcolo della indennità di anzianità, e poi del TFR, dei compensi per lavoro straordinario.

Il motivo non è fondato.

Rileva innanzi tutto il Collegio che la questione sollevata involge la interpretazione del predetto accordo aziendale, interpretazione che costituisce un tipico accertamento di fatto, come tale demandato esclusivamente al giudice di merito, e sottratto quindi al giudizio di legittimità se non per vizio di motivazione o per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale nell’interpretazione della disciplina collettiva applicabile.

Ed invero, “il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360 c.p.c., n. 5, non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione, in realtà, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità; ne consegue che risulta del tutto estranea all’ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Suprema Corte di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso la autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa” (Cass. sez. lav., 7.6.2005 n. 11789).

Posto ciò osserva il Collegio che nel caso di specie la Corte territoriale ha preso in esame le censure sollevate dall’appellante ed ha, con motivazione assolutamente coerente e logica che si sottrae pertanto alle censure ed ai rilievi sollevati da parte ricorrente, rilevato che l’oggetto della pattuizione consisteva nello scambio di un immediato, iniziale aumento di produttività con un miglioramento retributivo specificamente individuato, con la precisazione che tale compenso era assorbibile in caso di vertenze proposte dal personale dipendente che potessero a tale compenso collegarsi; mentre la dedotta prospettiva della eliminazione delle prestazioni straordinarie continuative non costituiva l’oggetto della regolamentazione adottata.

Deve ritenersi quindi che il giudice di merito abbia illustrato le ragioni che rendevano pienamente contezza delle ragioni del proprio convincimento esplicitando l’iter motivazionale attraverso cui lo stesso era pervenuto alla propria decisione.

E pertanto il motivo si risolve in un’inammissibile istanza di riesame della valutazione del giudice d’appello, fondata su tesi contrapposta al convincimento da esso espresso, e pertanto non può trovare ingresso (Cass. sez. lav., 28.1.2008 n. 1759).

Col quarto motivo di gravame il ricorrente lamenta omessa pronuncia su capo di impugnazione in ordine ad ultra petita, in violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Rileva in particolare che la Corte territoriale, nel confermare tutto quanto non esplicitamente riformato della sentenza di primo grado, aveva di fatto confermato anche la statuizione concernente il diritto al ricalcolo delle festività nazionali ed infrasettimanali ed inclusione nella retribuzione base della quota di lavoro straordinario, senza motivare sul punto e senza prendere in alcun modo in esame lo specifico motivo di appello con il quale si censurava il carattere di ultrapetizione di tale pronuncia.

Il motivo non è fondato.

Osserva il Collegio che la Corte territoriale, nella parte motiva della decisione, ha rilevato che il Tribunale aveva “accolto la domanda dell’appellato, relativamente all’inclusione del compenso percepito per le prestazioni straordinarie sulla base di computo dell’indennità di anzianità e del trattamento di fine rapporto, nonchè quella volta alla inclusione di detto compenso nella base di 13^, 14^ mensilità e compenso per ferie”.

Ne consegue che la conferma dell’impugnata sentenza, in relazione a quanto non esplicitamente riformato, non può che riferirsi a tali punti della sentenza.

D’altronde la determinazione del “quantum” alla stregua della sentenza non definitiva, è stata operata – per come si legge nella sentenza definitiva della Corte d’appello – dall’Istituto appellante, ed i relativi conteggi, nella non opposizione dell’appellato, sono stati fatti propri dalla Corte territoriale; circostanza questa che evidenzia una sostanziale carenza di interesse da parte dell’Istituto Poligrafico, odierno ricorrente.

A sua volta parte intimata, con il ricorso incidentale proposto, lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 297 del 1982, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia relativo al termine finale del riconoscimento dell’incidenza del compenso per lavoro straordinario sul TFR (art. 360 c.p.c., n. 3 e 5).

In via pregiudiziale eccepisce l’inammissibilità della domanda concernente la limitazione dell’incidenza del compenso per il lavoro straordinario prestato, al 31.10.1992, trattandosi di domanda nuova proposta per la prima volta in grado di appello.

L’eccezione non è fondata ove si osservi che la limitazione in grado di appello della domanda già proposta in primo grado (laddove aveva chiesto l’integrale rigetto della domanda proposta dal lavoratore concernente la inclusione dei compensi percepiti per lavoro straordinario nella base di calcolo dell’indennità di anzianità e del TFR e nella retribuzione mensile da prendere a base per il computo degli istituti aggiuntivi) non può configurarsi assolutamente come domanda nuova.

Il ricorrente incidentale rileva altresì che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto che l’incidenza del compenso per lavoro straordinario nel TFR andasse limitata al 31.10.1992. Ed invero sia i contratto collettivi precedenti che quelli successivi al rinnovo del 1992 avevano recepito integralmente le disposizioni legislative in ordine alla disciplina del TFR. In particolare rileva il ricorrente che l’art. 34 del predetto contratto collettivo aveva statuito che ai fini del calcolo del TFR dovesse tenersi conto di quanto annualmente “dovuto”, al contrario di quanto sostenuto dall’Istituto datoriale che intendeva far riferimento a quanto “percepito”, ai sensi dell’art. 21 del citato contratto; ed invero le due norme suddette erano del tutto autonome luna dall’altra, ed il contratto collettivo del 1992, nel regolare il trattamento di fine rapporto, non aveva assolutamente inteso fare alcun riferimento alla nuova definizione della Nomenclatura di cui all’art. 21, che definisce la retribuzione mensile percepita.

Il ricorso è improcedibile, alla stregua delle argomentazioni svolte in relazione al primo motivo del ricorso principale proposto dall’Istituto Poligrafico, alle quali si fa espresso ed integrale rinvio, a causa del mancato deposito dei CCNL in forma integrale.

In conclusione, va rigettato il ricorso principale, mentre va dichiarato improcedibile il ricorso incidentale.

La reciproca soccombenza consiglia la compensazione delle spese.

PQM

La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale; dichiara improcedibile il ricorso incidentale; compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 22 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2010

 

 

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