Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 489 del 11/01/2017

Cassazione civile, sez. lav., 11/01/2017, (ud. 28/09/2016, dep.11/01/2017),  n. 489

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14050-2014 proposto da:

C.G., CF. (OMISSIS), N.A. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 4, presso lo

studio dell’avvocato SALVATORE CORONAS, rappresentati difesi

dall’avvocato NINO SALVATORE GIOVANNI BULLARO, giusta delega in

atti;

– ricorrenti –

contro

SICURCENTER S.P.A., (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO LUIGI

ANTONELLI, 10, presso lo studio dell’avvocato ANDREA COSTANZO,

rappresentata e difesa dall’avvocato MASSIMILIANO MARINELLI, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

e contro

I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS),

in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati

ANTONINO LELIO MARITATO, SCIPLINO ESTER ADA, EMANUELE DE ROSE,

GIUSEPPE MATANO, CARLA D’ALOISIO, giusta delega in calce alla copia

notificata dei ricorso;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 2379/2013 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 26/11/2013 r.g.n. 1899/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

2/09/016 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;

udito l’avvocato MATANO GIUSEPPE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 2379/2013, depositata il 26 novembre 2013, la Corte di appello di Palermo, in accoglimento del gravame di Sicurcenter S.p.A. e in riforma della sentenza di primo grado del Tribunale di Palermo, respingeva le domande proposte, unitamente ad altri lavoratori, da C.G. e N.A., domande dirette alla dichiarazione di inefficacia, e comunque di illegittimità, con le pronunce conseguenti, del licenziamento collettivo per riduzione del personale loro intimato con lettera del 12 maggio 2009.

La Corte osservava come la società avesse adeguatamente dimostrato che la decisione di restringere l’applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità a quelli soltanto in servizio presso la sede di (OMISSIS) rispetto al più ampio complesso aziendale (che comprendeva anche le sedi di (OMISSIS)) fosse sostenuta da precise esigenze tecnico-produttive e organizzative e cioè, in particolare, il fatto che a far data dal 31/1/2009 la locale Azienda dei servizi ambientali (AMIA), presso la quale erano addette oltre cinquantacinque unità lavorative, aveva receduto dal contratto già da tempo in essere per la fornitura di servizi di vigilanza e che il decreto prefettizio per l’autorizzazione allo svolgimento dell’attività di guardia giurata ha efficacia limitata al solo territorio provinciale di competenza dell’autorità che lo emana, richiedendosi, per l’eventuale rilascio di un nuovo titolo relativo ad un diverso ambito territoriale, un’attesa non inferiore a novanta giorni.

La Corte osservava inoltre, a sostegno della propria decisione, che non era rinvenibile nella concreta procedura esaminata alcuna violazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, avendo la società puntualmente indicato, nelle comunicazioni finali, la graduatoria dei lavoratori collocati in mobilità con specifica indicazione del punteggio assegnato a ciascuno e dei criteri adottati per la predisposizione della stessa; e che da una lettura complessiva della comunicazione di avvio della procedura era dato desumere che la Sicurcenter S.p.A. aveva compiutamente illustrato le ragioni che non consentivano il ricorso a soluzioni alternative al licenziamento collettivo.

Hanno proposto ricorso per la cassazione della sentenza i lavoratori, con tre motivi; la società ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.

E’ in atti delega dell’INPS ai propri difensori.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti, deducendo violazione e falsa applicazione della L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 4, commi 2 e 3, censurano la sentenza impugnata per avere la Corte territoriale ritenuto che la comunicazione di avvio, di cui alla lettera del 5/2/2009, fosse conforme agli obblighi di legge, senza invece considerare l’insufficienza delle ragioni nella stessa indicate a giustificazione del ricorso alla procedura di mobilità.

Con il secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, artt. 4, comma 9, e art. 5, comma 1, nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata: (a) per avere la Corte di appello omesso di valutare che la comunicazione finale della procedura, trasmessa con lettera in data 8/5/2009, conteneva soltanto generici riferimenti alla disciplina regolatrice, dai quali non sarebbe stato possibile ricostruire l’esatta applicazione dei criteri imposti dalla legge, e comunque per non avere motivato sul punto; (b) per non aver considerato che la valutazione dei dipendenti da porre in mobilità era stata illegittimamente effettuata dalla datrice di lavoro solo con riguardo alla sede operante nella provincia di Palermo, escludendo i lavoratori delle altre sedi provinciali, in contrasto con la previsione normativa, per la quale l’individuazione dei lavoratori da licenziare deve avvenire in relazione alle esigenze tecnico-produttive e organizzative del complesso aziendale; (c) per non avere altresì considerato che la scelta dei lavoratori da porre in mobilità, anche ove condotta sulla sola sede provinciale di Palermo, avrebbe dovuto, in ogni caso, essere effettuata nell’ambito dell’intero gruppo, di cui la Sicurcenter S.p.A. era parte.

Con il terzo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c., i ricorrenti lamentano che la Corte, con motivazione illogica e contraddittoria, abbia ritenuto sufficientemente assolto, da parte della datrice di lavoro, l’onere probatorio su di essa incombente di fornire giustificazione della propria decisione di limitare la scelta dei lavoratori alla sede di (OMISSIS).

Il primo motivo è inammissibile.

Come più volte ricordato da questa Corte di legittimità, “in materia di licenziamenti collettivi per riduzione del personale la L. n. 223 del 1991, nel prevedere agli artt. 4 e 5 la puntuale, completa e cadenzata procedimentalizzazione del provvedimento datoriale di messa in mobilità, ha introdotto un significativo elemento innovativo consistente nel passaggio dal controllo giurisdizionale, esercitato “ex post” nel precedente assetto ordinamentale, ad un controllo dell’iniziativa imprenditoriale, concernente il ridimensionamento dell’impresa, devoluto “ex ante” alle organizzazioni sindacali, destinatarie di incisivi poteri di informazione e consultazione secondo una metodica già collaudata in materia di trasferimenti di azienda. I residui spazi di controllo devoluti al giudice in sede contenziosa non riguardano più, quindi, gli specifici motivi della riduzione del personale (a differenza di quanto accade in relazione ai licenziamenti per giustificato motivo obiettivo) ma la correttezza procedurale dell’operazione, con la conseguenza che non possono trovare ingresso in sede giudiziaria tutte quelle censure con le quali, senza contestare specifiche violazioni delle prescrizioni dettate dai citati artt. 4 e 5 e senza fornire la prova di maliziose elusioni dei poteri di controllo delle organizzazioni sindacali e delle procedure di mobilità al fine di operare discriminazioni tra i lavoratori, si finisce per investire l’autorità giudiziaria di un’indagine sulla presenza di “effettive” esigenze di riduzione o trasformazione dell’attività produttiva” (Cass. n. 11455/1999 e numerose successive conformi).

Anche il secondo motivo di ricorso non può trovare accoglimento.

Il giudice del merito ha, infatti, ritenuto che nella comunicazione finale della procedura non era dato rinvenire alcuna violazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, avendo rilevato come la società vi avesse puntualmente indicato la graduatoria dei lavoratori collocati in mobilità con specifica indicazione del punteggio assegnato a ciascuno e dei criteri adottati per la predisposizione della graduatoria stessa.

L’accertamento così compiuto dalla Corte territoriale non è (più) censurabile per vizio di motivazione, in presenza di sentenza depositata, come nella specie, in epoca successiva all’entrata in vigore (11 settembre 2912) della novella legislativa di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134.

Come precisato da questa Corte a Sezioni Unite con le sentenze 7 aprile 2014 n. 8053 e n. 8054, l’art. 360, n. 5, così come riformulato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); con la conseguenza che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Si deve inoltre rilevare che la Corte di appello ha fatto corretta applicazione del principio, secondo il quale, in tema di licenziamento collettivo per riduzione del personale, la platea dei lavoratori interessati alla riduzione di personale può essere limitata agli addetti ad un determinato reparto o settore, ove ricorrano oggettive esigenze tecnico produttive, coerenti con le indicazioni contenute nella comunicazione di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, restando onere del datore di lavoro provare il fatto che giustifica il più ristretto ambito nel quale la scelta è stata effettuata (Cass. n. 4678/2015; n. 203/2015; n. 22655/2012; n. 2429/2012).

Il motivo in esame risulta poi inammissibile nella parte in cui formula la censura sopra riportata sub (c).

Invero, in tema di ricorso per cassazione, qualora una determinata questione giuridica, che implichi accertamenti di fatto (come nella specie, deducendosi l’appartenenza della società datrice di lavoro ad un gruppo societario e la presenza della sede di questo in (OMISSIS)), “non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa” (cfr. fra le molte Cass. n. 1435/2013).

Egualmente inammissibile deve considerarsi infine il terzo motivo di ricorso.

Con esso, infatti, a fronte di rubrica contenente l’enunciazione di un vizio ex art. 360 c.p.c., n. 3, viene sostanzialmente rivolta alla sentenza una critica di motivazione illogica e contraddittoria (secondo quanto emerge con tutta evidenza dall’esposizione del motivo: cfr. in particolare pp. 18-19): critica ora estranea, per ciò che si è sopra rilevato a proposito del secondo motivo, al perimetro normativo del nuovo vizio “motivazionale”.

Il ricorso deve conclusivamente essere respinto.

Sono a carico dei ricorrenti, in solido fra loro, le spese della società controricorrente, liquidate come in dispositivo.

Nulla, a tale titolo, è invece dagli stessi dovuto all’INPS.

Al riguardo si deve osservare che nel giudizio promosso dal lavoratore subordinato contro il datore di lavoro (anche per la regolarizzazione della posizione assicurativa e pensionistica) non sussiste l’esigenza dell’integrazione del contraddittorio nei confronti dei soggetti del rapporto previdenziale, qualora venga in contestazione soltanto il rapporto di lavoro o qualche suo elemento, atteso che in tal caso, inerendo la controversia al rapporto di lavoro come presupposto che condiziona il rapporto previdenziale, si è in presenza di cause scindibili e di un mero litisconsorzio facoltativo, ai sensi degli artt. 103 e 332 c.p.c. (Cass. n. 1013/2003).

Come precisato da questa Corte, “in un giudizio svoltosi con pluralità di parti in cause scindibili ai sensi dell’art. 332 c.p.c., cioè cause cumulate nello stesso processo per un mero rapporto di connessione, la notificazione dell’impugnazione (nella specie, l’appello) e la sua conoscenza assolvono alla funzione di litis denuntiatio, così da permettere l’attuazione della concentrazione nel tempo di tutti i gravami contro la stessa sentenza. In tal caso, pertanto, il destinatario della notificazione non diviene per ciò solo parte nella fase di impugnazione e, quindi, non sussistono i presupposti per la pronuncia a suo favore della condanna alle spese a norma dell’art. 91 c.p.c., che esige la qualità di parte, e perciò una vocatio in ius, e la soccombenza (Cass. n. 2208/2012; conforme n. 13355/2015).

PQM

la Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate, quanto alla controricorrente, in Euro 100,00 per esborsi e in Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge; nulla per le spese nei confronti dell’INPS.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2017

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