Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4889 del 24/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 24/02/2020, (ud. 11/07/2019, dep. 24/02/2020), n.4889

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26527-2018 proposto da:

L.N.C., elettivamente domiciliata in ROMA VIA GRAMSCI 20

presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE DI STEFANO che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

N.C., G.R., Z.G., C.P.,

C.A., C.M., C.C.,

C.G., C.L., C.R.M.T., CA.GR.,

P.S. quale erede legittimo (coniuge) di

Ca.Gi., P.A.M. quale erede ligittimo (figlia) di

Ca.Gi., GI.MA.CO. quale crede legittima (figlia) di

C.S. elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato

FRANCESCO CARATOZZOLO;

– controricorrenti –

contro

ca.gi., C.S., S.S.,

P.R.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 920/2018 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 09/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’11/07/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE

TEDESCO.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

L.N.C. ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza della Corte d’appello di Palermo, di rigetto dell’appello proposto dalla medesima ricorrente contro la sentenza di primo grado, intervenuta nella causa di scioglimento della comunione derivante dalla successione di S.A..

La corte ha confermato le attribuzioni operate con la sentenza di primo grado, in particolare quella relativa all’immobile in (OMISSIS).

In relazione a tale cespite l’appellante aveva censurato la sentenza di primo grado perchè non aveva tenuto conto che essa vantava sul cespite un diritto di abitazione.

La corte d’appello ha ravvisato la novità della ritenendo quindi preclusa l’indagine sulla sussistenza di tale diritto questione in applicazione dell’art. 345 c.p.c..

Per la cassazione della sentenza la L.N. ha proposto ricorso affidato a tre motivi.

N.C., G.R., Z.G., C.P., C.A., C.M., C.C., C.G., C.L., C.R.M.T., Ca.Gr., P.S., P.A.M., Gi.Ma.Co. hanno resistito con contro ricorso.

ca.gi., C.S., S.S., P.R. sono rimasti intimati.

Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso fosse manifestamente infondato, con la conseguente possibilità di definizione nelle forme di cui all’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Il primo motivo denuncia omessa, insufficiente contraddittoria motivazione.

La sentenza è censurata nella parte in cui la corte ha riconosciuto che l’appellante non aveva contestato le richieste dei convenuti, nè avanzato istanza di assegnazione di un particolare immobile a suo favore.

Si sostiene che la corte d’appello non ha considerato le richieste esplicitamente formulate nell’atto di appello, con le quali si richiese di riconoscere la proprietà o il diritto di abitazione sull’immobile in questione, dandosi atto della disponibilità manifestata dalla condividente di corrispondere un conguaglio agli altri comunisti.

Il motivo è inammissibile.

La corte ha ritenuto inammissibili le deduzioni a cui si riferisce il motivo perchè proposte per la prima volta nell’atto di appello.

La ratio decidendi non è quindi nel rilievo della mancata proposizione della istanza di attribuzione o nella mancata deduzione del diritto di abitazione sul cespite in termini assoluti, ma nella tardività dell’una o dell’altra.

Tale ratio non ha costituito oggetto di censura.

Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1022 c.c..

Si censura la sentenza per non avere la corte tenuto conto del diritto di abitazione dell’attuale ricorrente su uno dei cespiti oggetto di divisione.

Il motivo è inammissibile.

La corte di merito ha ritenuto che la deduzione di tale diritto fosse tardiva, facendone discendere da ciò l’inammissibilità della stessa deduzione.

In questi termini il motivo è inteso a censurare la mancata considerazione di una circostanza (l’esistenza del diritto reale minore su uno dei beni dividendi) che la corte ha ritenuto di non poter considerare; di contro non ha costituito oggetto di censura la valutazione di tardività della deduzione del diritto, in quanto operata solo in grado d’appello (valutazione che esaurisce la ratio decidenti.

Si ritiene di aggiungere che l’esistenza del diritto di abitazione di uno dei condividenti su uno dei beni comuni non costituisce criterio di preferenza ai fini dell’eventuale attribuzione (cfr. Cass. n. 6601/2000 in relazione al diritto di abitazione spettante al coniuge superstite ai sensi dell’art. 540 c.c., comma 2). La divisione si potrà pertanto concludere con l’attribuzione del bene ad altro condividente, ferma restando, naturalmente, la persistenza del diritto di abitazione, sempre che questo già gravasse sulla cosa prima della divisione.

Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 728 c.c..

La corte ben avrebbe potuto disporre l’assegnazione dell’immobile all’attuale ricorrente, imponendone di versare un conguaglio agli altri condividenti.

Il motivo è infondato.

Nell’operare la divisione il giudice deve attenersi ai criteri di cui all’art. 727 c.p.c., imponendo se del caso gli opportuni correttivi in denaro.

L’art. 728 c.c., vuol dire, appunto, che, nell’operare la ripartizione, il giudice non deve ricercare una perfetta corrispondenza fra quota astratta e porzioni in natura, potendosi compensare in denaro eventuali differenze.

La norma non fornisce argomento per sostenere, come vorrebbe invece fare intendere la ricorrente, che il giudice deve attribuire un determinato cespite a chi ne abbia fatto richiesta solo perchè il richiedente abbia manifestato la propria disponibilità a versare il conguaglio.

Il ricorso, pertanto, va rigettato, con addebito di spese in favore dei controricorrenti.

Nulla sulle spese fra ricorrente e intimati.

Ci sono le condizioni per dare atto della sussistenza dei presupposti dell’obbligo del versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettaria nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; dichiara ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 11 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2020

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