Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4888 del 01/03/2018


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Civile Sent. Sez. L Num. 4888 Anno 2018
Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: PAGETTA ANTONELLA

SENTENZA

sul ricorso 15233-2013 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA L.G. FARAVELLI 22, presso lo
studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2017
4369

contro

PANE PAOLA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
CARLO POMA 4, presso lo studio dell’avvocato CARLO DE
MARCHIS, che la rappresenta e difende giusta delega

Data pubblicazione: 01/03/2018

in atti;
.

– controricorrente avverso la sentenza n. 4680/2012 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 19/06/2012 r.g.n.
8525/2009;

udienza del 09/11/2017 dal Consigliere Dott.
ANTONELLA PAGETTA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FRANCESCA CERONI, che ha concluso per
l’inammissibilità o in subordine rigetto;
udito l’Avvocato CESIRA TERESINA SCANU per delega
verbale Avvocato ARTURO MARESCA;
udito l’Avvocato CARLO DE MARCHIS.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Roma, in riforma della decisione di primo grado, ha
dichiarato la illegittimità del contratto di lavoro somministrato stipulato, ai sensi della
legge n. 196 del 1997, tra Paola Pane e Poste Italiane s.p.a.; ha disposto la
conversione in unico contratto a tempo indeterminato dal 20.5.2003 e condannato la
convenuta società al ripristino del rapporto ed al pagamento delle retribuzioni perdute

rivalutazione monetaria .
1.1. Il giudice di appello, per quel che ancora rileva, esclusa la estinzione del
rapporto per mutuo consenso, non essendo emerse, oltre al decorso del tempo tra la
cessazione del rapporto e l’iniziativa della lavoratrice intesa a far valere la illegittimità
del contratto (decorso peraltro limitato a due anni e cinque mesi), circostanze ulteriori
dalle quali desumere la comune volontà delle parti di porre fine al rapporto, ha
osservato che la impresa utilizzatrice, sulla quale ricadeva il relativo onere, non aveva
dimostrato di avere concluso il contratto di fornitura di lavoro temporaneo, e, quindi,
di avere utilizzato la dipendente della società di fornitura, nei casi previsti dalla legge
o dalla contrattazione collettiva; nel primo contratto e nelle successive proroghe la
causale dell’assunzione era stata,infatti, individuata, in violazione dell’art. 3 comma 3
della L. n. 196/1997 (mentre non era possibile valutarla in ordine al contratto di
somministrazione, non prodotto), mediante un mero rinvio ai “casi previsti dal CCNL”,
indicazione che per la sua genericità non consentiva alcuna reale verifica, dapprima da
parte del lavoratore e poi in sede giudiziale, delle ragioni del ricorso alla fornitura di
manodopera e rendeva inammissibile la prova orale articolata a riguardo.
1.2. A tanto conseguiva, stante la violazione della disposizione di cui all’art.
comma 2 L. n. n. 196 ed in conformità della previsione di cui all’art.10 comma

1

1, la

conversione del rapporto in rapporto a tempo indeterminato sin dal 20.5. 2003, con
assorbimento della domanda relativa al secondo contratto e la condanna di Poste
Italiane s.p.a. quale impresa utilizzatrice al ripristino del rapporto ed alle retribuzioni
perdute dalla data di messa in mora, non trovando applicazione, in difetto di esplicita
previsione in tale senso, il disposto dell’art. 32, comma 5, L. n. 183 del 2010, in tema
di indennità risarcitoria.
2. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso Poste Italiane s.p.a. sulla
base di cinque motivi.

dal 22.11.2007, data di messa in mora, fino alla sentenza, oltre interessi legali e

2.1. La parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso.
2.2. Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.

Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo parte ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 comma
primo n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 1372 cod. civ.,

consenso. Sostiene la valenza negoziale della condotta della lavoratrice desumibile dal
lasso di tempo trascorso tra la cessazione del rapporto e la offerta delle prestazioni
lavorative.
2. Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 comma primo n. 3 cod.
proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 3 lett. a), Legge
24/06/1997 n. 196, censurando la decisione per avere ritenuto indispensabile la
specificazione dei motivi quale elemento essenziale del contratto di fornitura di
manodopera, prescrizione non imposta da alcuna disposizione di legge. Inoltre,
premesso che a differenza di quanto osservato dal giudice di appello, il contratto di
fornitura di lavoro temporaneo risultava prodotto in primo grado, evidenzia che, in
concreto, dal relativo testo, comunque si evinceva che il ricorso alla fornitura di lavoro
temporaneo era stata riferita ai “casi previsti dal CCNL”, con formalizzazione
relationem

per

sicchè essa Poste ben avrebbe potuto, anche nel corso del giudizio,

dimostrare il ricorrere di una di tali ipotesi .
3. Con il terzo motivo di ricorso deduce, ai sensi dell’art. 360 comma primo n. 5
cod. proc. civ., omessa e insufficiente motivazione su fatto controverso e decisivo.
Sostiene, in particolare, che la valutazione di genericità delle ragioni del ricorso al
lavoro temporaneo risultava contraddetta dal contenuto della memoria di costituzione
di primo grado nella quale essa Poste aveva dato specificamente conto del progressivo
incremento dell’attività di yif cali center per effetto di distinti progetti legati a
commesse di privati ed enti locali. Invoca, quindi, il vizio di motivazione in ordine alla
ritenuta non ammissibilità della prova orale e alla erronea valutazione dei dati
contenuti nella memoria difensiva di primo grado con i quali Poste aveva dato conto
delle ragioni sottese alla stipulazione del contratto. Si duole, inoltre, della mancata
attivazione dei poteri di ufficio da parte del giudice di appello.

censurando la decisione per avere escluso che il rapporto si fosse estinto per mutuo

4. Con il quarto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 comma primo n. 3 cod. proc.
civ., violazione e falsa applicazione e interpretazione dell’art. 10 L. n. 196 del 1997 e
della L. 23/10/1960 n. 1369. Ribadita la legittimità, nel caso di specie, del ricorso alla
fornitura di lavoro sussistendone le condizioni, assume che, comunque, anche ove
ritenuta l’apposizione del termine non consentita, in presenza di vizi del contratto
diversi da quelli indicati nell’art. 10 comma 2 (mancanza della forma scritta), la
conseguenza, in virtù del richiamo formulato nel comma prima dell’art. 10 alla legge

lavoro nel medesimo contratto del quale restava, quindi, ferma la natura temporanea.
5. Con il quinto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 comma primo n. 3 cod. proc.
civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 32 comma 5, L. n. 183 /2010, per avere
la sentenza impugnata ritenuto inapplicabile, in tema di conseguente risarcitorie il
disposto della norma richiamata.
6. Il primo motivo di ricorso è infondato alla luce della consolidata giurisprudenza
di questa Corte secondo la quale, ai fini della configurabilità della risoluzione del
rapporto di lavoro per mutuo consenso – costituente una eccezione in senso stretto,
(Cass. 7/5/2009 n. 10526) il cui onere della prova grava evidentemente
sull’eccepiente (Cass. 1/2/ 2010 n. 2279) -, non è di per sé sufficiente la mera inerzia
del lavoratore dopo l’impugnazione del termine, essendo piuttosto necessario che sia
fornita la prova di altre significative circostanze denotanti una chiara e certa volontà
delle parti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo (cfr., tra le altre,
Cass. 17/3/2015 n. 5240, Cass. 28/1/2014 n. 1780, Cass. 11/3/2011 n. 5887, Cass.
4/8/2011 n. 16932, Cass. 18/11/2010 n. 23319, Cass. 15/11/2010 n. 23057).
6.1. Tale orientamento è stato autorevolmente confermato da recente pronunzia
di questa Corte resa a sezioni unite (Cass. Sezioni U. 21/102016 n. 21691), la quale
ha ribadito che, per ritenere risolto il rapporto di lavoro sulla base di manifestazione
tacita di volontà, occorre che la durata di tale comportamento omissivo sia
particolarmente rilevante e che concorra con altri elementi convergenti, ad indicare, in
modo univoco ed inequivoco, la volontà di estinguere ogni rapporto di lavoro tra le
parti e precisato che il relativo giudizio attiene al merito della controversia
7.

Il secondo motivo di ricorso è da respingere in continuità con la costante

giurisprudenza di legittimità in tema di lavoro temporaneo ex lege n. 196 del 1997, la
quale ha chiarito che anche nel contratto individuale e non solo in quello di fornitura (
e cioè nel contratto tra l’impresa fornitrice di mano d’opera e l’impresa utilizzatrice)

n. 1369 del 1960, era rappresentata dalla sostituzione di Poste all’originario datore di

le ragioni dell’assunzione devono essere indicate specificamente; in particolare è stato
osservato che in materia di rapporto di lavoro interinale, la mancanza o la generica
previsione, nel contratto intercorrente tra l’impresa fornitrice e il singolo lavoratore,
dei casi in cui – e dunque delle esigenze per le quali – è possibile ricorrere a
prestazioni di lavoro temporaneo, in base ai contratti collettivi dell’impresa
utilizzatrice, ovvero l’insussistenza in concreto delle suddette ipotesi, spezza
l’unitarietà della fattispecie complessa voluta dal legislatore per favorire la flessibilità

presunzione di legittimità del contratto interinale stesso. Il fatto che la contrattazione
collettiva possa prevedere i casi in cui può essere concluso il contratto di fornitura di
lavoro temporaneo non deroga alla generale previsione di specificità della causale in
quanto la contrattazione collettiva è facoltizzata a specificare le possibili esigenze di
carattere temporaneo che in ogni caso devono ricorrere quale presupposto legale per
il ricorso a tale fattispecie contrattuale (cfr Cass. 17/03/2016 n. 5338; Cass.
31/10/2004 n. 23304; Cass. 21/12/2012 n. 21837; Cass. 12/01/2012 n. 232, Cass.
21/9/2006 n. 20455; Cass. 4/4/2006 n. 7846; Cass. 7/2/2004 n. 2357), dovendosi
escludere che sia sufficiente a conferire specificità il mero rinvio alle ipotesi previsti
dai contratti collettivi ( v., tra le altre, Cass. 15/12/2016 n. 25931)

7.1. La ritenuta illegittimità

ex se del contratto di assunzione comporta la

irrilevanza al fine del decidere dell’errore ascritto al giudice di appello nel ritenere
non depositato in prime cure il contratto di fornitura intervenuto con la fornitrice (
contratto riprodotto, peraltro in forma illeggibile, nel ricorso per cassazione).
Comporta, inoltre, la irrilevanza delle allegazioni in fatto esposte da Poste nella
memoria di costituzione di primo grado, in quanto le ragioni di garanzia del lavoratore
sottese alla richiamata esigenza di specificità sarebbero vanificate ove si dovesse
consentire alla impresa utilizzatrice di allegare in sede giudiziale e, quindi, solo

ex

post la sussistenza di una delle ipotesi legittimanti, ai sensi di legge o del contratto
collettivo, il ricorso al lavoro temporaneo.
8. Il rigetto del terzo motivo di ricorso è consequenziale alla ritenuta infondatezza
del motivo che precede. Posto, infatti, che il contratto individuale deve reputarsi
illegittimo per genericità della causale e, quindi, a prescindere dall’effettivo ricorrere di
una delle possibili situazioni legittimanti della fornitura di manodopera, ne deriva la
non decisività delle censure articolate con il motivo in esame in punto di mancata

dell’offerta di lavoro nella salvaguardia dei diritti del lavoratore, e fa venir meno la

ammissione delle istanze probatorie e di mancata attivazione dei poteri istruttorii di
uffici.
9. Il quarto motivo di ricorso è infondato.
9.1. Secondo quanto ripetutamente affermato da questa Corte, quando il
contratto di lavoro che accompagna il contratto di fornitura, del quale è accertata la
illegittimità, è a tempo determinato, alla conversione soggettiva del rapporto, si

indeterminato, per intrinseca carenza dei requisiti richiesti dal d.lgs. n. 368 del 2001,
o dalle discipline previgenti, a cominciare dalla forma scritta, che ineluttabilmente in
tale contesto manca con riferimento al rapporto tra impresa utilizzatrice e lavoratore
(v. tra le altre, Cass. 17/01/2013 n. 1148; Cass. 12/01/2012 n. 232 ).
9.2. L’art. 10, comma 1, collega, infatti, alle violazioni delle disposizioni di cui
all’art. 1, commi 2, 3, 4 e 5 (cioè violazioni di legge concernenti proprio il contratto
commerciale di fornitura), le conseguenze previste dalla legge 1369 del 1960,
consistenti nel fatto che “i prestatori di lavoro sono considerati, a tutti gli effetti, alle
dipendenze dell’imprenditore che effettivamente abbia utilizzato le loro prestazioni”, in
tal senso questa Corte espressasi, in modo univoco e costante, con una pluralità di
decisioni, a cominciare da Cass. 24/06/2011 n. 13960, Cass. 05/07/2011 n. 14174,
Cass. 23/11/ 2010 n. 23684, alle cui motivazioni si rinvia per ulteriori
approfondimenti.
10. Il quinto motivo è meritevole di accoglimento con effetto di assorbimento della
censura relativa alla necessità di considerazione dell’aliunde perceptum nell’ambito
della statuizione risarcitoria.
10.1. In continuità con la giurisprudenza di questa Corte deve affermarsi che, in
tema di lavoro interinale, l’indennità prevista dall’art. 32 della legge 4 novembre
2010, n. 183, nel significato chiarito dal comma 13 dell’art. 1 della legge 28 giugno
2012 n. 92, trova applicazione con riferimento a qualsiasi ipotesi di ricostituzione del
rapporto di lavoro avente in origine termine illegittimo e si applica anche nel caso di
condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore a causa
dell’illegittimità di un contratto per prestazioni di lavoro temporaneo a tempo
determinato, ai sensi della lett. a) del primo comma, dell’art. 3 della legge 24 giugno
1997, n. 196, convertito in contratto a tempo indeterminato tra lavoratore e

aggiunge la conversione dello stesso da lavoro a tempo determinato in lavoro a tempo

utilizzatore della prestazione ( Cass. 26/04/2017 n. 10317; Cass., 23/04/2015 n.
8286; Cass. 01/08/2014 n. 1740; Cass. 29/05/2013 n. 13404).
10.2. A tanto consegue, in accoglimento del quinto motivo, la cassazione in parte
qua della sentenza impugnato con rinvio, anche ai fini del regolamento delle spese del
giudizio di legittimità, ad altro giudice di secondo grado che si indica nella Corte di
appello di Roma, in diversa composizione.

La Corte accoglie il quinto motivo e rigetta gli altri; cassa la sentenza impugnata
in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per il regolamento delle spese del
giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione .
Roma, 9 novembre 2017
Il Consigliere estensore

r

< Il Presidente i , P.Q.M.

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