Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4887 del 28/02/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 4887 Anno 2014
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: CORRENTI VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso 25532-2007 proposto da:
ZIGNANI MAURO GIUSEPPE ZGNMGS56P27G721E, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA G. NICOTERA 29, presso lo
studio dell’avvocato ALLOCCA GIORGIO, rappresentato e
difeso dall’avvocato PASSI GIUSEPPE;
– ricorrente 2014
314

contro

ZIGNANI PALMIRA ZGNPMR47M71G721J, ZIGNANI GIUSEPPE
ZGNGPP52E28G721N, elettivamente domiciliati in ROMA,
VIA COSSERIA 5, presso lo studio dell’avvocato GUIDO
FRANCESCO ROMANELLI, che li rappresenta e difende

Data pubblicazione: 28/02/2014

unitamente all’avvocato BOCCHI ENRICA;
– controricorrenti

avverso la sentenza n. 738/2006 della CORTE D’APPELLO
di BRESCIA, depositata il 23/08/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

CORRENTI;
udito l’Avvocato GIORGIO ALLOCCA difensore del
ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito

l’Avvocato

ENRICA BOCCHI

difensore

dei

resistenti che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUIGI SALVATO che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

Y

udienza del 29/01/2014 dal Consigliere Dott. VINCENZO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione del 29 aprile 1991 Mauro Giuseppe Zignani conveniva davanti al
tribunale di Cremona Giacomo Zignani, assumendo di essere proprietario per
acquisto dal genitore Silvio di un immobile in Pizzighettone confinante con altro del
convenuto.

diviso la proprietà secondo criteri indicati in testamento stabilendo che la proprietà
del cortile rimanesse indivisa e che sul cortile Silvio avesse libero transito ma il
convenuto nel 1984 aveva eretto un muro intercludendo la porzione di cortile.
Verso la fine del 1985 Silvio aveva esperito ricorso possessorio rigettato dal
Pretore.
Nel giugno 1990 l’attore aveva acquistato il compendio dal genitore ed agiva contro
lo zio per il ripristino della situazione, precisando che il testamento del 1962 era
stato pubblicato nel 1972 e ratificato dai fratelli nel 1975 avanti a notaio.
Lamentava anche la violazione di regolamenti vigenti per volumetria, la
realizzazione di una terrazza con veduta e l’installazione di una gronda.
Resisteva il convenuto, deducendo che era stata pattuita come indicato nella scheda
catastale la divisione in due distinte porzioni.
Deceduto il convenuto, il giudizio veniva riassunto nei confronti degli eredi ed, a
seguito di ctu, il GOA condannava gli eredi alla rimozione del muro e del canale di
gronda, decisione parzialmente riformata dalla Corte di appello di Brescia con
sentenza 23 agosto 2006 che respingeva la domanda di demolizione del muro,
condannando l’attore a 2/3 di spese alla luce dell’accordo sull’attribuzione di
determinati beni come da rappresentazione grafica delle schede catastali, preclusivo
di altre indagini.

Silvio e Giacomo Zignani, fratelli, erano succeduti al padre Affilio il quale aveva

Ricorre Mauro Giuseppe Zignani con quattro motivi e relativi quesiti, resistono le
controparti.
All’udienza del 9.7.2013 la causa è stata rinviata a nuovo ruolo per l’adesione del
legale del ricorrente allo sciopero.
MOTIVI DELLA DECISIONE

interpretazione del comportamento delle parti e del contenuto della ratifica e
dell’accettazione dell’eredità, in mancanza di pattuizione specifica.
Col secondo motivo si deduce violazione dell’art. 734 cc in ordine alla natura
giuridica dell’atto 5.7.1995.
Col terzo motivo si lamentano violazione dell’art. 1350 nn. 4 e 5 cc e vizi di
motivazione sull’interpretazione della volontà delle parti col quesito se la rinunzia
ad una servitù prediale può ritenersi avvenuta in modo implicito e col quarto motivo
violazione degli artt. 90 e 91 cpc sulla prevalente soccombenza dell’attore.
Ciò premesso, osserva la Corte: ai fini della sussistenza del requisito della
esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità per il ricorso per
cassazione, è necessario, in ossequio al principio di autosufficienza, che in esso si
rinvengano tutti gli elementi indispensabili perché il giudice di legittimità possa
avere la completa cognizione dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del
processo e delle posizioni assunte dalle parti, senza dover ricorrere ad altre fonti o
atti del processo, ivi compresa la sentenza impugnata, onde acquisire un quadro
degli elementi fondamentali in cui si collocano le decisioni censurate e i motivi delle
doglianze prospettate ( Cass. n.1355 del 2004).
Nella specie è del tutto omessa la trattazione del giudizio di appello
valutabile in relazione al divieto d’introdurre in sede di legittimità questioni che non
abbiano formato oggetto di contraddittorio in fase di merito, la cui violazione è

Con il primo motivo si denunziano omessa motivazione e travisamento, erronea

rilevabile d’ufficio.
Onde procedere al sindacato sulla pronunzia di merito di secondo grado è,
infatti, indispensabile al giudice di legittimità conoscere esattamente quali fossero
state le originarie prospettazioni delle parti con domande ed eccezioni nel giudizio di
primo grado, quali le decisioni su ciascuna di esse adottate dal primo giudice, quali

giudice del gravame siasi pronunziato su ciascuna delle dette censure, dacché è in
relazione a siffatto svolgimento della dialettica processuale in ordine al thema
disputandum devoluto al giudice del secondo grado che la pronunzia conclusiva di
quest’ultimo può, poi, con la necessaria cognizione di causa ed in riferimento alle
censure mosse con il ricorso, essere valutata in sede di legittimità.
E’, inoltre, da rilevare l’inottemperanza al disposto dell’art.366 n.4 c.p.c.,
dal quale si richiede, come più volte sottolineato da questa Corte, che nei motivi
posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata ex art. 360 n.
3 c.p.c. i vizi di violazione di legge vengano dedotti, a pena d’inammissibilità
comminata dalla citata disposizione, mediante la specifica indicazione delle
affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente
s’assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con
l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità e/o dalla
prevalente dottrina, diversamente non ponendosi la Corte regolatrice in condizione
d’adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata
violazione; ond’è che risulta inidoneamente formulata, ai fini dell’ammissibilità del
motivo ex art. 360 n. 3 c.p.c., la critica delle soluzioni adottate dal giudice del
merito, nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata dal
ricorrente non mediante puntuali contestazioni delle soluzioni stesse nell’ambito
d’una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo, bensì

le specifiche censure mosse a tali decisioni con l’atto d’appello ed in qual modo il

mediante la mera apodittica contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili
dalla motivazione della sentenza impugnata.
Nella specie, poi, va rilevata la contestuale deduzione di violazione di
norme di diritto e di vizi di motivazione.
Il convincimento espresso dal giudice a quo risulta, in effetti, raggiunto

Ne consegue che il ricorrente avrebbe dovuto prospettare ogni questione al
riguardo, anzi tutto, in relazione all’attività ermeneutica posta in essere dal giudice a
quo, relativamente a ciascuno degli atti presi in considerazione nella motivazione
della sentenza, con puntuale riferimento ai singoli criteri legali d’ermeneutica
contrattuale, e solo successivamente, una volta idoneamente dimostrato l’errore nel
quale fosse eventualmente incorso al riguardo il detto giudice, avrebbero potuto
procedere ad un’utile prospettazione delle ulteriori questioni d’erronea od inesatta
applicazione d’altre norme ed istituti, dacché la disamina di tali questioni
presuppone l’intervenuto accertamento dell’errore sull’interpretazione della volontà
negoziale e non può, pertanto, aver luogo ove manchi siffatto previo accertamento
d’un vizio che inficerebbe, sul punto, ab origine l’impugnata pronunzia, costituendo
tale interpretazione il presupposto logico-giuridico delle conclusioni alle quali il
giudice del merito è pervenuto poi sulla base di essa (Cass. 21.7.03 n. 11343,
30.5.03 n. 8809, 28.8.02 n. 12596).
E’ ben vero che il ricorrente ha inteso in qualche modo censurare la
valutazione degli atti de quibus effettuata dal giudice a quo ed ha, all’uopo, svolto
argomenti in senso contrario, tuttavia, quand’anche vi si volesse ravvisare una, se
pure irrituale, denunzia d’errore interpretativo, questa sarebbe, comunque,
inidoneamente formulata ed insuscettibile d’accoglimento.

mediante lo svolgimento d’attività interpretativa degli atti.

L’opera dell’interprete, infatti, mirando a determinare una realtà storica ed
obiettiva, qual è la volontà delle parti espressa nel contratto, è tipico accertamento in
fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di
legittimità soltanto per violazione dei canoni legali d’ermeneutica contrattuale posti
dagli artt. 1362 ss. CC, oltre che per vizi di motivazione nell’applicazione di essi;

ricorrente per cassazione deve, non solo, come già visto, fare esplicito riferimento
alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme
asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare
in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito siasi discostato dai
canoni legali assuntivamente violati o questi abbia applicati sulla base di
argomentazioni illogiche od insufficienti.
Di conseguenza, ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso sotto tale
profilo prospettato, non può essere considerata idonea – anche ammesso ma non
concesso lo si possa fare implicitamente – la mera critica del convincimento, cui quel
giudice sia pervenuto, operata, come nella specie, mediante la mera ed apodittica
contrapposizione d’una difforme interpretazione a quella desumibile dalla
motivazione della sentenza impugnata, trattandosi d’argomentazioni che riportano
semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di
legittimità (e pluribus, da ultimo, Cass. 9.8.04 n. 15381, 23.7.04 n. 13839, 21.7.04 n.
13579, 16.3.04 n. 5359, 19.1.04 n. 753).
Né può utilmente invocarsi, come sembra dal ricorrente, la mancata
considerazione del comportamento delle parti.
Ad ulteriore specificazione del posto principio generale d’ordinazione
gerarchica delle regole ermeneutiche, il legislatore ha, inoltre, attribuito, nell’ambito
della stessa prima categoria, assorbente rilevanza al criterio indicato nel primo

pertanto, onde far valere una violazione sotto entrambi i due cermati profili, il

comma dell’art. 1362 CC — eventualmente integrato da quello posto dal successivo
art. 1363 CC per il caso di concorrenza d’una pluralità di clausole nella
determinazione del pattuito – onde, qualora il giudice del merito abbia ritenuto il
senso letterale delle espressioni utilizzate dagli stipulanti, eventualmente confrontato
con la ratio complessiva d’una pluralità di clausole, idoneo a rivelare con chiarezza

di divergenza tra il tenore letterale del negozio e l’intento effettivo dei contraenti —
ciò che è stato fatto nella specie dalla corte territoriale, con considerazioni sintetiche
ma esaustive – detta operazione deve ritenersi utilmente compiuta, anche senza che
si sia fatto ricorso al criterio sussidiario del secondo comma dell’art. 1362 CC, che
attribuisce rilevanza ermeneutica al comportamento delle parti successivo alla
stipulazione (Cass. 4.8.00 n. 10250, 18.7.00 n. 9438, 19.5.00 n. 6482, 11.8.99 n.
8590, 23.11.98 n. 11878, 23.2.98 n. 1940, 26.6.97 n. 5715, 16.6.97 n. 5389); non
senza considerare, altresì, come detto comportamento, ove trattisi d’interpretare,
come nella specie, atti soggetti alla forma scritta ad substantiam, non possa, in ogni
caso, evidenziare una formazione del consenso al di fuori dell’atto scritto medesimo
(Cass. 20.6.00 n. 7416, 21.6.99 n. 6214, 20.6.95 n. 6201, 11.4.92 n. 4474).
E’, inoltre, necessario rilevare, sia pur solo ad abundantiam, come nel
motivo in esame, con il quale s’imputa di fatto alla corte territoriale l’erronea
interpretazione di convenzioni intervenute tra le parti, non siano ritualmente
riportati i testi delle stesse, la correttezza o meno della cui interpretazione si richiede
a questa Corte di valutare, ciò che costituisce un’ulteriore ragione d’inammissibilità
del motivo, giacché, in violazione dell’espresso disposto dell’art. 366 n. 3 e 4 CPC,
non vi si riportano proprio quegli elementi di fatto in considerazione dei quali la
richiesta valutazione, sia della conformità a diritto dell’interpretazione operatane
dalla corte territoriale, sia della coerenza e sufficienza delle argomentazioni

ed univocità la comune volontà degli stessi, cosicché non sussistano residue ragioni

motivazionali sviluppate a sostegno della detta interpretazione, avrebbe dovuto
essere effettuata, in tal guisa non ponendosi il giudice di legittimità in condizione di
svolgere il suo compito istituzionale(e pluribus, da ultimo, Cass. 9.2.04 n. 2394,
5.9.03 n. 13012, 6.6.03 n. 9079, 24.7.01 n. 10041, 19.3.01 n. 3912, 30.8.00 n. 11408,
13.9.99 n. 9734, 29.1.99 n. 802); non senza considerare, altresì, come l’impossibilità

delle parti all’esatto dato testuale nel quale quella volontà si è tradotta, ovviamente
non surrogabile dalla lettura soggettiva datane dalla parte, comporti anche una
violazione dell’art. 366 n. 4 CPC sotto il diverso profilo del difetto di specificità del
motivo. In mancanza, dunque, d’un’adeguata impugnazione, nei sensi indicati, dei
giudizi espressi dalla corte territoriale in ordine agli atti ed ai rapporti con gli stessi
regolati, resta ineccepibile il consequenziale riconoscimento da parte dello stesso
giudice della ricorrenza nella specie del presupposto di fatto legittimante la riforma
della prima decisione, giudizio operato in conformità ai fondamentali criteri legali
d’interpretazione dettati dall’art. 1362, primo e secondo comma, CC e nell’ambito
dei poteri discrezionali del giudice del merito, a fronte del quale, in quanto
obiettivamente immune da censure ipotizzabili in forza dell’art. 360 nn. 3 e 5 CPC,
la diversa opinione soggettiva di parte ricorrente è inidonea a determinare le
conseguenze previste dalle norme stesse.
Quanto, poi, al vizio di motivazione devesi considerare come la censura
con la quale alla sentenza impugnata s’imputino i vizi di cui all’art. 360 n. 5 CPC
debba essere intesa a far valere, a pena d’inammissibilità comminata dall’art. 366 n.
4 CPC in difetto di loro puntuale indicazione, carenze o lacune nelle
argomentazioni, ovvero illogicità nell’attribuire agli elementi di giudizio un
significato fuori dal senso comune, od ancora mancanza di coerenza tra le varie
ragioni esposte per assoluta incompatibilità razionale degli argomenti ed insanabile

di rapportare le svolte censure in tema d’interpretazione della volontà negoziale

contrasto tra gli stessi; non può, per contro, essere intesa a far valere la non
rispondenza della valutazione degli elementi di giudizio operata dal giudice del
merito al diverso convincimento soggettivo della parte ed, in particolare, non si può
con essa proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento degli elementi
stessi, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di

libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale
convincimento rilevanti ai sensi della norma stessa; diversamente, il motivo di
ricorso per cassazione si risolverebbe — com’è, appunto, per quello in esame — in
un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni.
La sentenza ha, invero, dedotto che, diversamente da quanto il papà aveva
disposto, liberamente i due convennero che il fienile restasse per intero a Silvio
Zignani.
Ovviamente la disposizione del testatore secondo cui il cortile doveva
restare indiviso era priva di effetti né in qualsiasi modo vincolante per i
condividenti.
Anche se non risultava enunciata una pattuizione nel senso suggerito da
parte convenuta detta pattuizione appariva insita nell’atto alla luce dell’accordo
indiscutibilmente intervenuto sull’attribuzione all’uno e all’altro condividente di
determinati beni e nella rappresentazione grafica del medesimo nelle schede catastali
predisposte nei termini riflettenti gli accordi intercorsi, come si ricavava dal fatto
che i due ebbero a sottoscriverle.
Nel descrivere i beni assegnati a ciascun condividente il notaio aveva
precisato che all’uno era attribuita porzione di fabbricato determinata ed antistante
cortile ed all’altro porzione di fabbricato determinata ed antistante cortile, così
individuandosi , secondo la rappresentazione grafica delle allegate e richiamate

valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al

planimetrie redatte sulle indicate ed allegate schede sottoscritte dai condividenti,
porzioni di cortile assegnate in esclusiva proprietà, mentre nessun accenno risultava
a corte comune o cortile comune o altra indicazione analoga né si accennava ad
eventuale servitù costituita a favore del fondo assegnato a Silvio sul cortile
assegnato in proprietà e non già in comproprietà a Giacomo.

delle parti nell’atto di ratifica in ordine al trasferimento di porzioni immobiliari
conclamato, invece nelle allegate schede catastali, che se sottoscritte ed allegate,
come nella specie, possono essere legittimamente valutate ai fini della
individuazione della consistenza degli immobili, (Cass. 24.2.1996 n. 1446),
deduzione che consente di ritenere inidoneo anche il secondo motivo.
Il terzo motivo è inammissibile perché non pertinente alla ratio decidendi;
anteriormente alla divisione non era ipotizzabile una servitù di passaggio e la
sentenza ha negato che con la divisione fosse stata convenzionalmente costituita
una servitù.
La quarta censura è inammissibile perché attiene ad una valutazione discrezionale.
Donde il rigetto del ricorso e la condanna alle spese.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese liquidate in euro 3700,
di cui 3500 per compensi, oltre accessori.
Roma 29 gennaio 2014.

In ogni caso il primo motivo si conclude con un quesito astratto sul totale silenzio

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