Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4886 del 27/02/2017

Cassazione civile, sez. lav., 27/02/2017, (ud. 26/10/2016, dep.27/02/2017),  n. 4886

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13864-2013 proposto da:

S.D. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA A. CADLOLO 21, presso lo studio dell’avvocato LETIZIA CIANCIO,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANGELO CELLAMARE giusta delega

in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE C.F. (OMISSIS)

in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore,

in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. Società di

Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA N. 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati

ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO, LELIO MARITATO, EMANUELE DE ROSE,

giusta delega in calce alla copia notificata del ricorso;

– resistenti con mandato –

avverso la sentenza n. 400/2012 della CORTE D’APPELLO DI LECCE SEZ.

DIST. DI TARANTO, depositata il 30/11/2012 R.G.N. 224/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/10/2016 dal Consigliere Dott. BERRINO UMBERTO;

udito l’Avvocato RONCHINI ENRICO per delega verbale Avvocato

CELLAMARE ANGELO;

udito l’Avvocato MARITATO LELIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO PAOLA che ha concluso per l’accoglimento del solo

secondo motivo del ricorso, inammissibilità nel resto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 10.10 – 30.11.2012, la Corte d’appello di Lecce ha rigettato l’impugnazione di S.D. avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Taranto che gli aveva respinto l’opposizione a cartella esattoriale proposta nei confronti dell’Inps, della SCCI e della Soget s.p.a. per il pagamento di contributi dovuti alla gestione commercianti dal 1998 al 2004.

La Corte salentina è addivenuta a tale decisione dopo aver precisato che l’attività di libero professionista svolta dall’appellante era compatibile con quella di gestione della società in accomandita semplice Fedeleasing, della quale il medesimo era socio accomandatario, in mancanza di circostanze idonee a ricondurla a soggetto diverso; inoltre, il ricorrente non aveva fornito la prova della sua iscrizione e dei relativi versamenti alla Cassa di previdenza per i commercialisti, attività autonoma, questa, dal medesimo ritenuta prevalente. La stessa Corte ha precisato che – stante la possibilità che l’appellante gestisse quale accomandatario la Fedeleasing s.a.s., pur essendo contemporaneamente pensionato Inpdap ed impiegato nello svolgimento della libera professione di commercialista – l’asserita prevalenza di quest’ultima attività rispetto a quella svolta nella predetta società giammai avrebbe potuto ritenersi fondata sulla base delle produzioni documentali offerte in primo grado, rivelatesi non decisive ai fini della tesi difensiva incentrata sulla dedotta insussistenza del carattere di prevalenza dell’attività di socio accomandatario.

Per la cassazione della sentenza ricorre lo S. con quattro motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Rimangono solo intimati l’Inps e la S.C.C.I. s.p.a.

All’udienza odierna è, comunque, presente il difensore dell’Inps.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per mancanza di adeguata motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione delle parti in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. In particolare, il ricorrente contesta la decisione impugnata laddove si è escluso che la questione degli sgravi effettuati dall’Inps potesse esplicare efficacia nel presente giudizio. Aggiunge lo S. che, anche se era vero che gli sgravi si riferivano a periodi successivi a quello oggetto di causa, la Corte territoriale non aveva tuttavia espresso alcuna valutazione in ordine al fatto che l’Inps non aveva proceduto ad alcuno sgravio per l’annualità in cui si era avuto l’accertamento, valutazione, questa, che se fosse stata eseguita avrebbe consentito di verificare la sussistenza di elementi utili per l’individuazione dei caratteri dell’abitualità e prevalenza dell’attività lavorativa dell’ingiunto.

Il motivo è infondato, posto che la circostanza per la quale la Corte di merito non si è preoccupata di valutare le ragioni dello sgravio contributivo è irrilevante, dal momento che la stessa ha chiaramente precisato che tale questione non esplica alcuna efficacia nel presente giudizio, atteso che lo sgravio concerne periodi contributivi diversi da quelli oggetto di causa, nè, da parte sua, il ricorrente spiega in qual modo il predetto sgravio avrebbe inciso sulla valutazione della prevalenza ed abitualità dell’attività commerciale oggetto di indagine.

2. Col secondo motivo il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione alla L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, comma 208, in combinato disposto con la L. 3 giugno 1975, n. 160, art. 29, comma 1, lett. c), nonchè all’art. 360 n. 3 c.p.c. Nel contempo il ricorrente si duole dell’assenza di adeguata motivazione nella valutazione delle prove in atti o delle carenze delle stesse, oltre che dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

In pratica viene dedotta la questione della prova della prevalenza ed abitualità dell’attività commerciale all’interno della società in accomandita semplice ai fini del versamento contributivo in aggiunta a quello della gestione separata.

Il motivo è infondato. Invero, la valutazione complessiva del materiale documentale offerto dal medesimo appellante, il quale mirava a dimostrare esclusivamente la prevalenza dello svolgimento dell’attività di commercialista rispetto a quella oggetto della pretesa contributiva, ha condotto la Corte territoriale ad esprimere un giudizio, congruamente motivato ed esente da vizi di ordine logico – giuridico, di inadeguatezza di tale corredo probatorio e a porre, di converso, l’accento sull’attività commerciale di locazione di immobili di cui si occupava la società della quale era accomandatario lo S.. D’altra parte, la stessa Corte ha evidenziato che quest’ultimo non aveva nemmeno indicato chi si occupava in concreto di tale gestione, nè aveva provato l’iscrizione alla Cassa di previdenza per i commercialisti, nè i versamenti alla stessa, per cui resta sprovvista di dimostrazione la tesi della dedotta prevalenza di tale attività professionale unitamente a quella dell’asserita decisività della relativa eccezione, con la conseguenza che le odierne censure non scalfiscono la validità della decisione impugnata.

3. Col terzo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in rapporto al D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 25, per mancanza di adeguata motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

In concreto il ricorrente si duole dell’omesso esame dell’eccezione di tardività e nullità della formazione del ruolo che asserisce di aver invano sollevato in entrambi i gradi del giudizio di merito.

4. Col quarto motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in rapporto agli artt. 2948 e 2949 c.c., per mancanza di adeguata motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, il tutto con riferimento all’asserito omesso esame dell’eccezione di prescrizione dei crediti contributivi vantati dall’Inps.

Questi due ultimi motivi, che per ragioni di connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili.

Anzitutto, difetta in entrambi i casi l’autosufficienza delle censure, dal momento che il ricorrente non indica in quali termini precisi sollevò le predette eccezioni ed in quale momento del giudizio d’appello, per cui non consente a questa Corte di verificare se si è realmente concretizzato l’omesso esame di cui ora il medesimo si duole. Un ulteriore profilo di inammissibilità discende dal fatto che le censure, così come poste, integrano, in realtà, una violazione dell’art. 112 c.p.c. e quindi una violazione della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, che deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 4, (nullità della sentenza e del procedimento) e non come violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, ed a maggior ragione come vizio motivazionale a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, (attenendo quest’ultimo esclusivamente all’accertamento e valutazione di fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia, Cass. 9.4.1990, n. 2940; Cass. 27.3.1993, n. 3665).

Infatti il vizio di omessa pronunzia, in quanto pretesamente incidente sulla sentenza pronunziata dal giudice del gravame, è passibile di denunzia esclusivamente con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 (Cass. S.U. 14.1.1992, n. 369; Cass. 25.9.1996, n. 8468).

Al riguardo si è di recente ribadito (Cass. sez. lav. n. 22759 del 27/10/2014) che “l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello, e, in genere, su una domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio, integra una violazione dell’art. 112 c.p.c., che deve essere fatta valere esclusivamente ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, dello stesso codice, che consente alla parte di chiedere – e al giudice di legittimità di effettuare – l’esame degli atti del giudizio di merito, nonchè, specificamente, dell’atto di appello, mentre è inammissibile ove il vizio sia dedotto come violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5” (conf. a Cass. sez. 3 n. 1196 del 19/1/2007).

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e, tenuto conto della sola presenza del difensore dell’Inps all’udienza odierna, vanno liquidate come da dispositivo, unitamente al contributo unificato di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, commi 1 e 1 – bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio nella misura di Euro 1100,00, di cui Euro 1000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 febbraio 2017

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