Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4886 del 01/03/2018


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Civile Sent. Sez. L Num. 4886 Anno 2018
Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE
Relatore: LORITO MATILDE

SENTENZA

sul ricorso 18680-2013 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA L.G. FARAVELLI 22, presso lo
studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2017
4317

contro

TERENZI LORETTA, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA CARLO POMA 4, presso lo studio dell’avvocato
CARLO DE MARCHIS GOMEZ che la rappresenta e difende,

Data pubblicazione: 01/03/2018

giusta delega in atti;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4118/2012 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 02/08/2012 R.G.N.
9028/2009;

udienza del 08/11/2017 dal Consigliere Dott. MATILDE
LORITO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RITA SANLORENZO che ha concluso per
accoglimento del sesto motivo del ricorso;
udito l’Avvocato NANNETTI CAMILLA per delega verbale
Avvocato ARTURO MARESCA;
udito l’Avvocato LUISA GOBBI per delega verbale
Avvocato CARLO DE MARCHIS GOMEZ.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

n. r.g. 18680/2013

la Corte di Appello di Roma con sentenza depositata il 2/8/2012 confermava
la pronuncia del giudice di prima istanza, che aveva accolto la domanda
proposta da Loretta Terenzi nei confronti di Poste Italiane S.p.A., avente ad
oggetto la declaratoria di nullità del contratto di somministrazione intercorso
con la predetta società quale utilizzatrice delle sue prestazioni, il
conseguente accertamento dell’intercorrenza di un rapporto di lavoro
subordinato a tempo indeterminato a far tempo dal 31/7/2006, e la
condanna della società al risarcimento del danno.
Avverso tale decisione la società interpone ricorso in cassazione sulla base di
sei censure successivamente illustrate da memoria ex art.378 c.p.c..
resiste con controricorso la parte intimata;
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo la società denuncia violazione e falsa applicazione
degli artt.112 e 414 c.p.c. in relazione all’art.360 comma primo n.3 c.p.c..
Lamenta che la Corte distrettuale non si sia “avveduta della reale domanda
avanzata da controparte”, che aveva ad oggetto la nullità ed illegittimità dei
contratti stipulati fra la società di somministrazione (la Ali s.p.a.) e la
Terenzi. Alle doglianze formulate dalla ricorrente in atto introduttivo del
giudizio doveva quindi ritenersi estranea la società utilizzatrice.
2. Il motivo è privo di fondamento, ove si consideri che il petitum del ricorso
concerneva per l’appunto il ripristino del rapporto di lavoro con la società
utilizzatrice Poste Italiane, quale conseguenza della illegittimità del contratto
di somministrazione, come desumibile dal complessivo tenore degli atti.
3. Il secondo motivo, allegando violazione dell’art. 20 c.4, 21 del d. Igs.
n.276/2003 nonché dell’art. 25 c.c.n.l. 11/7/2003, prospetta che la Corte del
merito non ha erroneamente tenuto conto sia del tenore di cui all’art.20
comma 4 del citato decreto legislativo, alla cui stregua è sufficiente che
sussista una ragione di carattere oggettivo, effettiva e comprovabile; sia
delle disposizioni della contrattazione collettiva che consentivano il ricorso al
contratto a termine per sopperire alle maggiori esigenze derivanti da punte
di più intensa attività, alla stregua del rinvio disposto dall’art.86 comma
terzo d. Igs. n.276/2003. Viene quindi dedotto che i contratti di
somministrazione oggetto di controversia, stipulati per iscritto, contenevano
chiaramente il numero dei lavoratori da somministrare, le ragioni poste a
fondamento della assunzione, la data di inizio e la durata del contratto in
coerenza coi dettami del citato art.21.
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FATTI DI CAUSA

n. r.g. 18680/2013

5. Con il quarto motivo è denunciata violazione dell’art.2697 c.c. in relazione
all’art.360 comma primo n.3 c.p.c.. Ci si duole che la Corte di merito non
abbia ravvisato nella specie, il picco di attività posto a fondamento dei
contratti di somministrazione impugnati, sul rilievo che la società non aveva
argomentato sui livelli di servizio esistenti nella unità cui era stata addetta la
lavoratrice prima della stipula dei contratti. Si deduce, per contro, di aver
dato conto – negli specifici capitoli di prova articolati nel giudizio di merito del rapido incremento della attività registrato presso l’ufficio di applicazione
della lavoratrice, nel periodo di riferimento, per far fronte all’aumento di
attività
di
di
Roma,
di
Contact
Center
presso
il
attività
assistenza/informazione relativi a servizi e prodotti di Poste Italiane.
6. Con la quinta censura si denuncia violazione e falsa applicazione
dell’art.27 d. Igs. n.276/2003; si critica la sentenza impugnata per aver
dichiarato la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato alle
dipendenze della società Poste Italiane. Si sostiene che la citata disposizione
prevede, nel caso di irregolarità della somministrazione, la costituzione del
rapporto in capo all’utilizzatore, rimanendo invariati gli altri elementi del
rapporto, ivi compresa la temporaneità dello stesso, con esclusione della
conversione in contratto a tempo indeterminato.
7. I motivi possono congiuntamente trattarsi per presupporre la soluzione di
questioni giuridiche connesse, in quanto attingono la fondamentale ratio
decidendi posta alla base della sentenza impugnata, secondo cui la società
non ha fornito in giudizio adeguata prova della ricorrenza delle condizioni
che giustificavano l’apposizione della causale al contratto per il ricorso al
lavoro di somministrazione in ragione dell’espletamento del servizio per
punte di più intensa attività cui non era possibile far fronte con le risorse
normalmente impiegate.
Essi non possono trovare accoglimento per le ragioni già espresse da questa
Corte in controversie analoghe (vedi in motivazione, da ultimo, Cass.
20/10/2017 n.24889) e che vanno qui ribadite.
In relazione all’ipotesi della somministrazione di lavoro di cui al d.lgs. n.
276/03, è stato affermato che l’astratta ammissibilità della causale indicata
nel contratto di somministrazione non è sufficiente a rendere legittima
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4. Con la terza critica la società ricorrente, deduce vizio di motivazione, per
avere i giudici del gravame da un canto, ritenuto le allegazioni della società
insufficienti a dimostrare la sussistenza dei motivi sottesi al contratto di
somministrazione; dall’altro, per aver considerato inammissibili le richieste
istruttorie formulate dalla società, omettendo di esercitare i poteri ex officio
che competono al giudice del lavoro.

n. r.g. 18680/2013

La sanzione di nullità del contratto opera anche in ipotesi di indicazione
omessa o generica della causale della somministrazione, con conseguente
trasformazione del contratto a tempo determinato alle dipendenze del
somminístratore in contratto di lavoro a tempo indeterminato alle
dipendenze dell’utilizzatore (cfr. Cass. 1/8/2014 n.17540; Cass. 9/9/2013 n.
20598). Inoltre, l’ipotetica eventuale sussistenza in concreto delle ragioni
giustificatrici del ricorso al lavoro temporaneo non basterebbe a superare la
nullità del relativo contratto per genericità della causale in esso formulata.
L’accertamento in fatto della ricorrenza delle condizioni che giustificavano il
ricorso al lavoro in somministrazione, attraverso la valutazione e
l’apprezzamento del complessivo materiale probatorio acquisito al giudizio,
appartiene alla competenza esclusiva del giudice del merito e non è
sindacabile in sede di legittimità laddove non emerga – come nella specie
non emerge – un vizio motivazionale concernente un fatto decisivo che se
fosse stato diversamente valutato avrebbe condotto, con grado di certezza e
non di mera probabilità, ad un opposto esito della lite.
8. Da ultimo, e con riferimento alla questione sollevata con il quinto motivo,
va rimarcato che la legittimità del contratto fra somministratore ed
utilizzatore costituisce il presupposto per la stipulazione di un legittimo
contratto per prestazioni di lavoro in somministrazione. Per scelta legislativa
i vizi del contratto commerciale di fornitura intercorrente tra agenzia
somministrante ed impresa utilizzatrice si riverberano sul contratto di
lavoro; la sanzione di nullità del contratto, prevista espressamente dall’art.
21, ult. comma, per il caso di difetto di forma scritta, si estende anche
all’indicazione omessa o generica della causale della somministrazione, con
conseguente trasformazione del rapporto da contratto a tempo determinato
alle dipendenze del somministratore, a contratto di lavoro a tempo
indeterminato alle dipendenze dell’utilizzatore (ex aliis, vedi Cass. 1/8/2014
n.17540).
La pronuncia impugnata, è conforme a diritto perché coerente con i
summenzionati principi, onde resiste alle censure all’esame.
9. Invece deve essere accolto l’ultimo motivo di ricorso con cui si invoca
l’art. 32 della I. n. 183 del 2010, quale ius superveniens applicabile a tutti i
giudizi pendenti all’entrata in vigore della legge (v. fra le altre in
motivazione, Cass.12/8/2015 n. 16763 ed i precedenti ivi richiamati) anche
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l’apposizione d’un termine al rapporto, dovendo anche sussistere, in
concreto, una situazione riconducibile alla ragione indicata nel contratto
stesso, vale a dire una rispondenza tra la causale enunciata e la concreta
assegnazione del lavoratore a mansioni ad essa confacenti.

n. r.g. 18680/2013

Le Sezioni unite di questa Corte, con la sentenza in data 27/10/2016 n.
21691, hanno statuito che “in tema di ricorso per cassazione, la censura ex
art.360, comma 1, n.3, c.p.c. può concernere anche la violazione di
disposizioni emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, ove
retroattive e, quindi, applicabili al rapporto dedotto, atteso che non richiede
necessariamente un errore, avendo ad oggetto il giudizio di legittimità non
l’operato del giudice, ma la conformità della decisione adottata
all’ordinamento giuridico”.
10. Pertanto, respinto ogni altro motivo di ricorso, va accolto l’ultimo nei
sensi e nei limiti del detto ius superveniens, con la conseguente cassazione
della sentenza impugnata in relazione ad esso e con rinvio per il riesame, sul
punto, alla Corte di Appello designata in dispositivo, che dovrà limitarsi a
quantificare l’indennità spettante ex art. 32 cit. per il periodo compreso fra la
scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice
ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro (cfr. Cass. 10/7/2015 n.
14461), con interessi e rivalutazione su detta indennità da calcolarsi a
decorrere dalla data della pronuncia giudiziaria dichiarativa della illegittimità
della clausola appositiva del termine (vedi Cass. 17/2/2016 n.3062),
provvedendo altresì sulle spese del presente giudizio di legittimità;
P.Q.M.
la Corte accoglie l’ultimo motivo di ricorso, rigetta gli altri; cassa la sentenza
impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte
d’Appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del presente
giudizio.
Così deciso in Roma il giorno 8 novembre 2017.

nel caso di condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito
dal lavoratore che abbia chiesto ed ottenuto dal giudice l’accertamento della
nullità di un contratto di lavoro temporaneo con conversione in rapporto a
tempo indeterminato tra lavoratore ed utilizzatore della prestazione (per
tutte v. Cass. 23/4/2015 n. 8286, Cass. 26/4/2017 n.10317).

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