Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4884 del 01/03/2018


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Cassazione civile, sez. lav., 01/03/2018, (ud. 07/11/2017, dep.01/03/2018),  n. 4884

Fatto

1. La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 6758 pubblicata l’1.10.2015, ha respinto il reclamo proposto dalla FCA Center Italia spa avverso la sentenza n. 4211/15 del Tribunale di Roma di rigetto dell’opposizione all’ordinanza emessa all’esito della fase sommaria e che, in accoglimento della domanda, aveva accertato la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso tra le parti a partire dal maggio 2003 e dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato alla sig.ra I.A. con lettera del 24.4.2013, con applicazione della tutela prevista dalla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 1, come modificato dalla L. n. 92 del 2012.

2. La Corte d’appello, premesso come il rapporto di lavoro oggetto di causa fosse pacificamente iniziato nel maggio 2003 e fosse stato formalizzato attraverso la stipula di un contratto di agenzia nell’aprile 2004, ha ritenuto dimostrata la natura subordinata dello stesso in ragione dei seguenti indici sintomatici: lo stabile inserimento della lavoratrice nell’organizzazione aziendale attraverso la sua sottoposizione a specifiche e vincolanti istruzioni per la gestione della clientela, a ripetuti richiami al rispetto delle procedure dettate, a turni di lavoro e feriali stabiliti unilateralmente dalla società; lo svolgimento dell’attività esclusivamente nei locali aziendali e con strumenti forniti dalla società (scrivania, computer, targa col nome, account di posta elettronica e numero di telefono diretto); l’assenza di qualsiasi rischio imprenditoriale e della pur minima organizzazione in capo alla lavoratrice; la gestione contabile dell’attività lavorativa da parte della società che provvedeva, attraverso l’ufficio amministrativo, a predisporre le fatture per il pagamento delle provvigioni.

3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la FCA Center Italia spa, affidato ad un unico motivo, cui ha resistito con controricorso la sig.ra D..

4. Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso la FCA Center Italia spa ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 1742 c.c., comma 2, artt. 1362 e 1414 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

1.1. La società ricorrente ha censurato la sentenza per violazione dell’art. 1742 c.c., comma 2, per avere la stessa negato la qualificazione del rapporto come agenzia, in riferimento al periodo anteriore alla conclusione del contratto, sebbene la disposizione citata non prevedesse la forma scritta ad substantiam.

1.2. Ha poi dedotto la violazione degli artt. 1362 e 1414 c.c., per non avere la Corte territoriale adeguatamente considerato, ai fini della qualificazione del rapporto, la comune volontà delle parti desumibile dal nomen iuris assegnato al contratto e dall’esecuzione dello stesso per oltre dieci anni senza alcuna contestazione, elemento quest’ultimo che, oltre a costituire reiterata conferma della comune intenzione delle parti in ordine alla regolamentazione del rapporto, ha generato l’affidamento della società sulla legittimità del contratto medesimo.

1.3. Ha argomentato, sotto altro profilo, la violazione dell’art. 1742 c.c., per avere la sentenza, in una fattispecie caratterizzata da elementi compatibili sia col rapporto di agenzia e sia col rapporto di lavoro subordinato, cercato e valorizzato solo gli indici di subordinazione, senza verificare la compatibilità degli stessi con lo schema negoziale dell’agenzia. La società ricorrente ha quindi analizzato singolarmente gli indici sintomatici posti a base della decisione impugnata (la soggezione a direttive, istruzioni e controlli da parte della preponente; il rispetto di un orario di lavoro funzionale all’attività di vendita; lo svolgimento di una concreta attività di venditore; l’obbligo di avvisare in caso di mancata partecipazione alle riunioni indette per discutere di politiche commerciali; l’obbligo di giustificare le assenze per problemi di salute, senza invio di certificazione medica; l’organizzazione delle ferie da parte della preponente) e per ciascuno di essi ha sostenuto la compatibilità anche con lo schema contrattuale dell’agenzia. Ha censurato la decisione della Corte territoriale nella parte in cui ha dato rilievo alla mancanza di organizzazione imprenditoriale in capo alla lavoratrice anzichè al rischio d’impresa cui la stessa era esposta percependo solo un compenso provvigionale legato alle effettive vendite concluse. Ha censurato come non corretta l’affermazione della Corte territoriale sulla riferibilità del compenso provvigionale al lavoro sia autonomo e sia subordinato.

2. Il motivo di ricorso, come sopra articolato, non può trovare accoglimento per le ragioni ripetutamente espresse da questa Corte in relazione a fattispecie analoghe, (cfr. Cass., n. 11015 del 2016; Cass., n. 21497 del 2014; Cass., n. 22785 del 2013; Cass., n. 9343 del 2005; Cass; n. 4036 del 2000).

3. Deve anzitutto dichiararsi infondata la prima censura con cui si addebita alla sentenza impugnata la violazione dell’art. 1742 c.c., comma 2. Contrariamente all’assunto di parte ricorrente, la sentenza di secondo grado non contiene alcuna affermazione sulla previsione della forma scritta ad substantiam per il contratto di agenzia, limitandosi a puntualizzare come i rilievi della società basati sul nomen luris e sulle pattuizioni contenute nel contratto non potessero valere per il periodo anteriore all’aprile 2004, in cui il rapporto di lavoro si è svolto in assenza di qualsiasi formalizzazione.

4. In relazione agli ulteriori profili di violazione di legge sollevati col ricorso, occorre ribadire i confini del sindacato di legittimità sulla qualificazione del rapporto di lavoro operata dai giudici di merito, come tracciati da una consolidata giurisprudenza. E’ costante l’affermazione secondo cui, ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, è censurabile in sede di legittimità soltanto la determinazione dei criteri generali e astratti da applicare al caso concreto, cioè l’individuazione del parametro normativo, mentre costituisce accertamento di fatto, come tale incensurabile in detta sede se sorretto da motivazione adeguata ed immune da vizi logici e giuridici, la valutazione delle risultanze processuali al fine della verifica di integrazione del parametro normativo, (cfr. Cass., n. 17009 del 2017; Cass., Sez. 6, n. 9808 del 2011; Cass., n. 13448 del 2003; Cass., n. 8254 del 2002; Cass., n. 14664 del 2001; Cass., n. 5960 del 1999).

5. Secondo l’indirizzo pacifico di questa Corte, l’elemento distintivo tra il rapporto di agenzia e il rapporto di lavoro subordinato va individuato nella circostanza che il primo ha per oggetto lo svolgimento a favore del preponente di un’attività economica esercitata in forma imprenditoriale, con organizzazione di mezzi e assunzione del rischio da parte dell’agente, che si manifesta nell’autonoma scelta dei tempi e dei modi della stessa, pur nel rispetto secondo il disposto dall’art. 1746 c.c. – delle istruzioni ricevute dal preponente, mentre oggetto del secondo è la prestazione, in regime di subordinazione, di energie lavorative, il cui risultato rientra esclusivamente nella sfera giuridica dell’imprenditore, che sopporta il rischio dell’attività svolta, (cfr. Cass., n. 9696 del 2009; Cass., n. 9060 del 2004).

6. Quanto allo schema normativo di cui all’art. 2094 c.c., si è precisato che costituisce elemento essenziale, come tale indefettibile, del rapporto di lavoro subordinato, e criterio discretivo, nel contempo, rispetto a quello di lavoro autonomo, la soggezione personale del prestatore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro, che inerisce alle intrinseche modalità di svolgimento della prestazione lavorativa e non già soltanto al suo risultato, (cfr. Cass., 27.2.2007 n. 4500).

7. Tale assoggettamento non costituisce un dato di fatto elementare quanto piuttosto una modalità di essere del rapporto potenzialmente desumibile da un complesso di circostanze; sicchè ove esso non sia agevolmente apprezzabile, è possibile fare riferimento, ai fini qualificatori, ad altri elementi (come, ad esempio, la continuità della prestazione, il rispetto di un orario predeterminato, la percezione a cadenze fisse di un compenso prestabilito, l’assenza in capo al lavoratore di rischio e di una seppur minima struttura imprenditoriale), che hanno carattere sussidiario e funzione meramente indiziaria (cfr. Cass., n. 4500 del 2007; Cass., n. 13935 del 2006; Cass., n. 9623 del 2002; Cass. S.U., n. 379 del 1999).

8. Tali elementi, lungi dall’assumere valore decisivo ai fini della qualificazione giuridica del rapporto, costituiscono indizi idonei ad integrare una prova presuntiva della subordinazione, a condizione che essi siano fatti oggetto di una valutazione complessiva e globale. Non è infatti logicamente plausibile, nelle fattispecie che presentino ambiguità, che la riconduzione del rapporto di lavoro all’uno o all’altro tipo contrattuale possa essere fondata su elementi indiziari valutati singolarmente, essendo ciascuno di essi, di per sè considerato, inidoneo a costituire il criterio generale e astratto preordinato al suddetto risultato, (Cass., n. 9108 del 2012; Cass. S.U., n. 584 del 2008; Cass. n. 722 del 2007; Cass., n. 19894 del 2005; Cass., n. 13819 del 2003; Cass., S.U., n. 379 del 1999).

9. Si è anche precisato, con orientamento costante, che al fine della qualificazione del rapporto di lavoro, poichè l’iniziale contratto è causa d’un rapporto che si protrae nel tempo, la volontà che esprime e lo stesso nomen juris che utilizza, pur necessari elementi di valutazione, non costituiscono fattori assorbenti; ed il comportamento posteriore alla conclusione del contratto diventa elemento necessario non solo (per l’art. 1362 c.c., comma 2) all’interpretazione dello stesso iniziale contratto bensì all’accertamento d’una nuova diversa volontà eventualmente intervenuta nel corso della relativa attuazione e diretta a modificare singole clausole e talora la stessa natura del rapporto di lavoro inizialmente prevista; e pertanto in caso di contrasto fra i dati formali iniziali di individuazione della natura del rapporto e quelli fattuali emergenti dal suo concreto svolgimento, a questi ultimi occorra dare prevalenza, dato che la tutela relativa al lavoro subordinato, per il suo rilievo pubblicistico e costituzionale, non può essere elusa per mezzo di una configurazione pattizia non rispondente alle concrete modalità di esecuzione del rapporto, (cfr. Corte Cost. n. 76 del 2015; Cass., n. 7024 del 2015; Cass., n. 22289 del 2014; Cass., n. 13858 del 2009; Cass., n. 3200 del 2001; Cass., n. 5960 del 1999).

10. La Corte d’appello ha correttamente individuato gli elementi indiziari dotati di efficacia probatoria sussidiaria (e non decisiva) ai fini della qualificazione giuridica del rapporto di lavoro, tenuto conto dei parametri normativi del lavoro subordinato ed autonomo e del discrimine tra gli stessi. Ha, in particolare, individuato ed analizzato i seguenti elementi: la sottoposizione della lavoratrice, al pari dei dipendenti formalmente subordinati, a specifiche e vincolanti istruzioni per la gestione della clientela, a ripetuti richiami al rispetto delle procedure dettate, a turni di lavoro e feriali stabiliti unilateralmente dalla società; lo svolgimento dell’attività esclusivamente nei locali aziendali e con strumenti forniti dalla società; l’assenza di qualsiasi rischio imprenditoriale e della pur minima organizzazione in capo alla lavoratrice; la gestione contabile dell’attività di quest’ultima ad opera dell’ufficio amministrativo della società che predisponeva le fatture per il pagamento delle provvigioni. Ha proceduto ad una valutazione complessiva degli stessi verificandone la concordanza e l’idoneità ad integrare una valida prova presuntiva.

11. In tal modo, la sentenza impugnata si è conformata ai principi di diritto sopra enunciati e non merita quindi le censure che vengono mosse con il ricorso che, al contrario: pretende di assegnare carattere decisivo alla volontà espressa dalle parti attraverso il nomen iuris scelto al momento di conclusione del contratto (peraltro successivo di un anno all’inizio effettivo del rapporto), e all’affidamento derivante dalla mancanza di contestazioni nel lungo periodo di esecuzione del rapporto, in contrasto con il valore prioritario che, in nome del rilievo costituzionale della tutela del lavoro subordinato, deve invece essere riconosciuto alle concrete modalità di svolgimento del rapporto lavorativo; valorizza il reciproco affidamento delle parti giungendo a sostenere, in contrasto con l’orientamento consolidato di questa Corte, che quando le stesse, nel regolare i loro reciproci interessi, abbiano dichiarato di voler escludere l’elemento della subordinazione, non sia possibile pervenire ad una diversa qualificazione se non si dimostri una successiva volontà chiaramente e indiscutibilmente di senso contrario in capo alle stesse e/o in capo ad una di esse; fonda le proprie argomentazioni su una lettura non globale bensì atomistica degli indici sintomatici che sono, infatti, esaminati singolarmente e in tal modo privati della loro complessiva significatività, in contrasto con l’indirizzo consolidato di questa Corte in tema di prova per presunzioni.

12. Oltre che infondato per le ragioni appena esposte, il ricorso si rivela inammissibile nella parte in cui, argomentando la compatibilità dei singoli indici sussidiari, individualmente esaminati, anche col rapporto di agenzia, muove censure che, sebbene formalmente dedotte attraverso l’unico motivo di violazione di legge, sollecitano in realtà una rivalutazione, in senso favorevole alla società, del materiale probatorio raccolto.

13. Ove anche tali censure venissero lette come denuncianti l’omesso esame di un fatto decisivo e ricondotte al motivo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. sul punto Cass., S.U., n. 17931 del 2013), esse sarebbero comunque inammissibili in questa sede, in ragione di quanto disposto dell’art. 348 ter c.p.c., comma 5, introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. a), convertito con modificazioni nella L. n. 134 del 2012. Dell’art. 348 ter c.p.c., comma 5, prevede che la disposizione di cui al precedente comma quarto – ossia l’esclusione del vizio di motivazione dal catalogo di quelli deducibili ex art. 360 c.p.c. – si applica, fuori dei casi di cui all’art. 348 bis, comma 2, lett. a), anche al ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello che conferma la decisione di primo grado (cosiddetta “doppia conforme”). L’art. 348 ter c.p.c., deve trovare applicazione nel caso in esame essendo pacifico che le disposizioni sull’appello nel rito del lavoro, quindi anche gli artt. 348 bis e ter c.p.c., siano chiamate ad integrare la disciplina speciale prevista dalla L. 28 giugno 2012, n. 92, art. 1, comma 58, concernente il reclamo avverso la sentenza che decide sulla domanda di impugnativa del licenziamento nelle ipotesi regolate dalla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18 (cfr. Cass., n. 23021 del 2014).

14. Le considerazioni svolte portano a respingere il ricorso, con condanna di parte ricorrente, in base al criterio di soccombenza, alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

15. Si dà atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,comma 17.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge, da distrarsi in favore degli avvocati G. Summa e F. Aiello, antistatari.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 7 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2018

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