Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4883 del 27/02/2017

Cassazione civile, sez. un., 27/02/2017, (ud. 10/01/2017, dep.27/02/2017),  n. 4883

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI PALMA Salvatore – Primo Pres. f. f. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente Sezione –

Dott. DIDONE Antonio – Presidente Sezione –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente Sezione –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – rel. Consigliere –

Dott. CHINDEMI Domenico – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10362-2015 proposto da:

B.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PIERLUIGI DA

PALESTRINA 63, presso lo studio dell’avvocato MARIO CONTALDI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato PIERO CARLO GALLO, per

delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE, in

persona del Ministro pro tempore, A.I.PO – AGENZIA INTERREGIONALE

PER IL FIUME PO, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 198/2014 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE

PUBBLICHE, depositata il 14/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/01/2017 dal Consigliere D.ssa CRISTIANO MAGDA;

uditi gli avvocati Piero Carlo GALLO e NOVIELLO Giustina per

l’Avvocatura Generale dello Stato;

udito il P.M., in persona dell’Avvocato Generale Dott. IACOVIELLO

FRANCESCO MAURO, che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

B.F., dopo aver concordato la cessione bonaria al Demanio dello Stato di alcune porzioni di terreni di sua proprietà, sulle quali erano stati realizzati lavori di consolidamento degli argini del fiume Sesia, convenne in giudizio dinanzi al Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche di Torino il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e l’A.I.Po, Agenzia Interregionale per il fiume Po, per ottenere la liquidazione dell’indennità asseritamente ancora dovutagli – in aggiunta a quella che gli era già stata corrisposta – in ragione della perdita di valore di altre porzioni dei medesimi terreni che, a causa dei lavori, erano finite nella c.d. zona golenale e venivano allagate in caso di piena.

Il giudice adito dichiarò la carenza di legittimazione passiva del Ministero convenuto, mentre rigettò nel merito la domanda svolta dall’attore contro l’A.I.Po, rilevando che dall’atto di cessione emergeva che l’indennità concordata e versata teneva conto anche del reliquato ed era perciò comprensiva del deprezzamento delle porzioni di suolo rimaste in proprietà di B..

La decisione, appellata dal soccombente, è stata riformata dal Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche (di seguito TSAP) nella sola parte in cui aveva escluso la legittimazione passiva del Ministero. Il giudice del gravame ha invece respinto il motivo d’appello con il quale B. aveva lamentato il rigetto nel merito della domanda, osservando che, in presenza di un’unica vicenda espropriativa, il proprietario espropriato non ha diritto a due distinte somme, l’una a titolo di indennità e l’altra a titolo di risarcimento del danno per il deprezzamento subito dai terreni residui, con la conseguenza che l’accettazione dell’indennità di esproprio comporta il rigetto della domanda con la quale è richiesta una somma aggiuntiva per la perdita di valore dei terreni contigui a quelli espropriati e facenti parte del fondo sul quale è stata realizzata l’opera pubblica.

La sentenza, pubblicata il 14.10.014, è stata impugnata da B.F. con ricorso per cassazione affidato a quattro motivi e illustrato da memoria, cui il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e l’A.I.Po hanno resistito con un unico controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1) Il primo motivo denuncia il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per l’omesso esame del fatto decisivo che nell’atto di cessione bonaria l’indennità risultava calcolata con esclusivo riferimento ai terreni espropriati e non era comprensiva della diminuzione di valore delle porzioni contigue non espropriate.

2) Il secondo motivo lamenta violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 44, comma 1: a dire del ricorrente i principi giurisprudenziali sui quali si fonda la sentenza impugnata non potrebbero trovare applicazione nel caso di specie, proprio perchè l’indennità concordata non era comprensiva della diminuzione di valore dei suoli non espropriati.

3) Il terzo motivo denuncia ulteriore vizio di motivazione della sentenza, per aver il TSAP omesso di esaminare le clausole dell’atto di cessione bonaria dalle quali si evinceva che l’indennità concordata riguardava i soli terreni oggetto di esproprio.

4) Il quarto motivo denuncia violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 44, comma 3. Si rimprovera al TSAP di non aver tenuto conto che l’indennità di cui al comma 1, dell’art. predetto, comprensiva della diminuzione di valore dei terreni non espropriati, è dovuta anche nel caso in cui il trasferimento della proprietà sia avvenuto per effetto dell’accordo di cessione bonaria e di non aver considerato che il danno relativo può essere preteso non solo dal proprietario del fondo contiguo, ma anche dallo stesso proprietario espropriato, qualora il pregiudizio sopravvenga all’esecuzione dell’opera pubblica e di esso non si sia tenuto conto in sede di liquidazione dell’indennità di esproprio.

5) Il primo ed il terzo motivo, che sono fra loro connessi e possono essere congiuntamente esaminati, sono infondati.

Il TSAP ha infatti premesso in sentenza che, col secondo motivo d’appello, B. aveva lamentato che l’indennità concordata non fosse comprensiva della diminuzione di valore delle porzioni di terreno non espropriate: la circostanza è stata dunque considerata dal giudice a quo, ma ritenuta priva di rilievo ai fini della decisione per le ragioni di diritto evidenziate, ovvero perchè, trattandosi di un’unica vicenda espropriativa, l’espropriato non poteva pretendere una somma ulteriore per il danno dipendente dal deprezzamento del terreno residuo.

6) Il secondo motivo è inammissibile, in quanto si limita a contestare l’applicabilità alla fattispecie in esame del principio giurisprudenziale in base al quale la domanda è stata respinta, e perciò a prospettare nuovamente un vizio di motivazione della sentenza impugnata, ma non chiarisce quale sia il fatto storico decisivo, non esaminato dal TSAP, che dimostrava che non si versava nell’ambito di un’unica vicenda espropriativa e che pertanto il deprezzamento dei fondi contigui avrebbe dovuto essere indennizzato separatamente.

7) Il quarto motivo è infondato.

Costituisce infatti principio costantemente affermato da questa Corte che, in presenza di un’unica vicenda espropriativa, non sono concepibili due distinti crediti, l’uno a titolo di indennità di espropriazione e l’altro a titolo di risarcimento del danno per il deprezzamento che abbiano subito le parti residue del bene espropriato; nè rileva la circostanza che detti effetti negativi si siano realizzati su zone estranee alla dichiarazione di pubblica utilità, se determinati da opere previste e conformi al progetto dell’opera pubblica. Pertanto, qualora si tratti di un compendio a destinazione unitaria agricola, il danno alla residua proprietà trova riconoscimento solo nel quadro della perdita di valore della parte non interessata dal provvedimento ablativo, secondo il metodo tracciato dalla L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 40, con la conseguenza che l’accettazione dell’indennità di esproprio comporta il rigetto della domanda in ordine ai danni lamentati alle particelle contigue a quelle espropriate e facenti parte del complessivo fondo, sul quale è stata realizzata l’opera (Cass. S.U. n. 10502/012, Cass. n. 6926/016).

Diversa è, invece, l’ipotesi prevista dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 44, che, come risulta chiaro dal suo inserimento nel capo 8 del D.P.R. cit. (rubricato “indennità dovuta al titolare del bene non espropriato”), riguarda quei soggetti che, quand’anche un procedimento espropriativo vi sia stato, ne siano rimasti completamente estranei (in quanto proprietari di suoli contigui a quelli sui quali è stata eseguita l’opera) e siano rimasti gravati da una servitù, od abbiano subito un danno, non per effetto della mera separazione (per esproprio) di una parte di suolo, ma in conseguenza dell’opera eseguita sulla parte non espropriata ed indipendentemente dall’espropriazione stessa: l’indennizzo dovuto a tale specifico titolo non compete, pertanto, al proprietario del fondo espropriato, ma esclusivamente ai proprietari degli immobili circostanti l’opera pubblica, non assoggettati alla procedura espropriativa. (Cass. n. 6926/016 cit., n. 19972/2009).

In conclusione, il ricorso deve essere integralmente respinto.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

PQM

La Corte, pronunciando a S.U., rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 3.000, oltre spese prenotate e prenotande a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 febbraio 2017

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