Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4883 del 24/02/2020

Cassazione civile sez. lav., 24/02/2020, (ud. 10/12/2019, dep. 24/02/2020), n.4883

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24508-2018 proposto da:

ALITALIA S.A.I. SOCIETA’ AEREA ITALIANA S.P.A. IN AMMINISTRAZIONE

STRAORDINARIA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 23, presso lo

studio degli avvocati CARLO BOURSIER NIUTTA, ENRICO BOURSIER NIUTTA

che la rappresentano e difendono;

– ricorrente –

contro

V.L., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA

DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli

avvocati SERGIO ROMANOTTO, TIZIANA LARATTA, FRANCESCA VERDURA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 120/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 21/02/2018 R.G.N. 649/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/12/2019 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ENRICO BOURSIER NIUTTA;

udito l’Avvocato GIULIA PERIN per delega verbale Avvocato TIZIANA

LARATTA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 21 febbraio 2018, ha respinto l’appello proposto da Alitalia SAI Spa nei confronti di V.L. ed ha confermato la sentenza del locale Tribunale con cui era stata accertata l’illegittimità del licenziamento intimato in data 3 settembre 2015, era stato dichiarato il diritto del lavoratore alla prosecuzione del rapporto di lavoro già in essere con CAI First Spa alle dipendenze di Alitalia SAI Spa ai sensi dell’art. 2112 c.c. ed era stata condannata la società convenuta a ricostituire la funzionalità del rapporto di lavoro con il ricorrente e a corrispondergli le retribuzioni maturate, oltre le spese di lite.

2. La Corte ha condiviso con il primo giudice l’assunto che CAI First Spa avesse ceduto l’intero compendio aziendale, unitamente ai propri dipendenti, ad Alitalia SAI Spa, la quale aveva proseguito l’attività di trasporto aereo, realizzando un trasferimento di azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c., come confermato anche dal fatto che “in data 20 novembre 2015 CAI First Spa si è fusa per incorporazione in Alitalia SAI Spa”.

“Alla luce, quindi, di tali evenienze – secondo la Corte territoriale – il lavoratore, reintegrato in servizio presso Alitalia CAI a seguito dell’accertamento dell’inefficacia del termine apposto al contratto di lavoro del 4.3.2010, dev’essere considerato per gli effetti ripristinatori ex tunc della sentenza – parte integrante dell’azienda al momento della sua cessione e, quindi, trasferito ex lege alle dirette dipendenze del cessionario, non essendo preclusa l’applicazione dell’art. 2112 c.c. dalla circostanza che il rapporto di lavoro non sia, di fatto, operante al momento del trasferimento, rilevando che il rapporto con il cedente sia, o possa essere, in atto de iure anche se non de facto (per effetto di controversia giudiziaria anche successiva al trasferimento)”. Da ciò deriva per la Corte che “il licenziamento irrogato da CAI First interviene, quindi, quando il lavoratore è già transitato ex lege alle dipendenze della società cessionaria”.

Nella sentenza qui impugnata si aggiunge poi: “in ogni caso, il trasferimento d’azienda non può mai costituire una ipotesi di giustificato motivo oggettivo di licenziamento in quanto non determina la soppressione dei posti di lavoro ma la prosecuzione dell’attività lavorativa da parte di un altro datore di lavoro: il licenziamento motivato dalla cessione d’azienda è, infatti, vietato sia dall’art. 2112 c.c. che dall’art. 4 Direttiva 2001/23/CE con la conseguenza che il recesso deve essere considerato nullo”.

3. La Corte di Appello ha inoltre disatteso l’eccezione di decadenza formulata dalla società ai sensi della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 4, lett. d), per non avere il lavoratore fatto precedere l’azione giudiziale da rituale impugnazione.

4. Infine la Corte milanese ha respinto il motivo di gravame con cui Alitalia censurava il capo di sentenza che aveva ordinato alla società “di ripristinare il rapporto di lavoro del Sig. V.”, ritenendo inapplicabile il D.Lgs. n. 23 del 2015, art. 1, comma 2, atteso che la “conversione giudiziaria” aveva riguardato, “sebbene intervenuta in periodo successivo all’entrata in vigore del decreto legislativo, un contratto a termine stipulato nel marzo 2010 e cessato nel settembre 2010”.

5. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso Alitalia SAI – Società Aerea Italiana Spa in Amministrazione Straordinaria con 3 motivi, cui ha resistito V.L. con controricorso.

Entrambe le parti hanno comunicato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 c.c., nonchè della L. n. 604 del 1966, art. 7, dell’art. 1324 c.c. e artt. 1362 e ss., dell’art. 2730 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Si contesta la configurabilità nella specie di un trasferimento di azienda, per non avere il compendio ceduto conservato la sua identità in quanto “interessato dà ben tre operazioni, distinte giuridicamente e non contestuali nel tempo”.

Anche a voler seguire l’impostazione seguita dai giudici del merito, si critica l’interpretazione dell’atto di recesso fornita dalla Corte territoriale – secondo cui il licenziamento sarebbe stato diretta conseguenza della cessione d’azienda – e si eccepisce che il trasferimento d’azienda non rappresenta di per sè una condizione ostativa al licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

Si censura, poi, l’assunto secondo cui “il licenziamento sarebbe intervenuto allorquando, per effetto del trasferimento d’azienda, il lavoratore sarebbe già transitato alle dipendenze della cessionaria”, atteso che la conversione del contratto a termine stipulato dalla società CAI nel 2010 avrebbe effetti ex tunc; si sostiene che, in seguito all’introduzione della L. n. 183 del 2010, art. 32, nei casi di conversione “il rapporto di lavoro dovrà ritenersi (ri)costituito solo a seguito e, comunque, non prima della pronuncia che accerta la nullità del termine apposto al contratto a tempo determinato”.

2. Il motivo, in tutte le censure in cui è articolato, non è meritevole di accoglimento.

L’accertamento in fatto degli elementi che nel loro insieme inducono il convincimento circa la sussistenza di un trasferimento d’azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c. appartiene alla competenza del giudice del merito e l’apprezzamento di tali elementi non è sindacabile in sede di legittimità, tanto più in una ipotesi – ricorrente nella specie – di cd. “doppia conforme” (Cass. n. 26674 del 2016; conf. Cass. n. 20994 del 2019), quantunque la censura sia mascherata sotto la forma, non corrispondente alla sostanza, della violazione e della falsa applicazione della legge che, per essere tale, presuppone invece una ricostruzione della vicenda storica quale è quella narrata nella sentenza impugnata (tra molte: Cass. n. 6035 del 2018; Cass. n. 18715 del 2016).

Parimenti è un accertamento di fatto l’interpretazione dell’atto di recesso, al pari dell’interpretazione di ogni atto negoziale (ex multis: Cass. n. 12360 del 2014; Cass. n. 9070 del 2013; Cass. n. 17067 del 2007; Cass. n. 11756 del 2006), non essendo sufficiente che rispetto all’esegesi offerta dai giudici del merito, sicuramente plausibile avuto riguardo alla lettera di licenziamento del V., si offra altra interpretazione, pure parimenti plausibile, per condurre alla cassazione della sentenza (cfr. Cass. n. 10131 e 18375 del 2006).

Posto dunque che la sussistenza di un trasferimento d’azienda supera nella specie il vaglio di legittimità, assume il rango di autonoma ratio decidendi – idonea a sorreggere, di per sè sola, la decisione di condanna della società cessionaria a ripristinare la funzionalità del rapporto di lavoro con il V. l’assunto che “il lavoratore, reintegrato in servizio presso Alitalia CAI a seguito dell’accertamento dell’inefficacia del termine apposto al contratto di lavoro del 4.3.2010, dev’essere considerato – per gli effetti ripristinatori ex tunc della sentenza – parte integrante dell’azienda al momento della sua cessione e, quindi, trasferito ex lege alle dirette dipendenze del cessionario”, conseguendo per la Corte territoriale che “il licenziamento irrogato da CAI First interviene, quindi, quando il lavoratore è già transitato ex lege alle dipendenze della società cessionaria”.

La Corte milanese correttamente rammenta in proposito l’orientamento di legittimità secondo il quale l’applicazione dell’art. 2112 c.c. non risulta preclusa dalla circostanza che il rapporto di lavoro in questione non sia, di fatto, operante al momento del trasferimento, rilevando che il rapporto con il cedente sia, o possa essere, in atto de iure anche se non de facto, per effetto di controversia giudiziaria anche successiva al trasferimento (Cass. n. 5909 del 1998; Cass. n. 8228 del 2003, Cass. n. 1220 del 2013).

Inoltre è infondata la censura formulata da parte ricorrente secondo cui, in seguito all’entrata in vigore del cd. “Collegato lavoro”, così come interpretato dalla L. n. 92 del 2012, sarebbe mutata la natura della pronuncia che accerta la nullità del termine apposto ad un contratto a tempo determinato, operando ex nunc e non ex tunc.

Infatti questa Corte ha di recente affermato, anche dopo l’intervento della L. 28 giugno 2012, n. 92, che con l’art. 1, comma 13, ha introdotto una disposizione di interpretazione autentica della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, il seguente principio: “In tema di contratti di lavoro a tempo determinato, la sentenza che accerta la nullità della clausola appositiva del termine e ordina la ricostituzione del rapporto illegittimamente interrotto, cui è connesso l’obbligo del datore di riammettere in servizio il lavoratore, ha natura dichiarativa e non costitutiva; ne consegue che la conversione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato opera con effetto “ex tunc” dalla illegittima stipulazione del contratto a termine” (Cass. n. 8385 del 2019).

3. Con il secondo motivo si denuncia “violazione dell’art. 32, comma 4, della L. n. 183 del 2010, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”; si sostiene che il V. avrebbe dovuto far precedere l’azione giudiziale proposta nei confronti della società Alitalia dal meccanismo di impugnazione previsto dal cd. “Collegato lavoro” a pena di decadenza.

4. Il motivo è infondato alla stregua di recenti pronunce di questa Corte secondo le quali, nell’ipotesi di trasferimento d’azienda, la domanda del lavoratore volta all’accertamento del passaggio del rapporto di lavoro in capo al cessionario (che è il caso che ci occupa) non è soggetta a termini di decadenza, perchè non vi è alcun onere di far accertare formalmente, nei confronti del cessionario, l’avvenuta prosecuzione del rapporto di lavoro, in particolare applicandosi la L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 4, lett. c), ai soli provvedimenti datoriali che il lavoratore intenda impugnare, al fine di contestarne la legittimità o la validità (cfr. Cass. n. 9469 del 2019; Cass. n. 13648 del 2019).

A fortiori non risulta applicabile la L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 4, lett. d), la quale comunque postula l’invocazione della illegittimità o invalidità di atti posti in essere da un datore di lavoro solo formale in fenomeni dal carattere propriamente interpositorio e trattandosi di norma di chiusura di carattere eccezionale, non suscettibile, pertanto, di disciplinare la fattispecie di cui all’art. 2112 c.c. già contemplata dalla lettera precedente (Cass. n. 28750 del 2019; v. pure Cass. n. 13179 del 2017).

5. Il terzo mezzo denuncia “violazione del D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23, art. 1, comma 2, e art. 2, comma 1, dell’art. 18 Stat. Lav., e dell’art. 2112 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Si sostiene che la norma di cui al D.Lgs. n. 23 del 2015, art. 1, comma 2, secondo cui le disposizioni dei decreto “si applicano anche nei casi di conversione, successiva all’entrata in vigore del presente decreto, di contratto a tempo determinato o di apprendistato in contratto a tempo indeterminato”, opera in tutti i casi di conversione, sia giudiziale che convenzionale, successiva all’entrata in vigore del decreto e, quindi, anche nella controversia esaminata dai giudici milanesi.

Si eccepisce quindi che la Corte non avrebbe potuto avallare una tutela ripristinatoria, atteso che il licenziamento in violazione dell’art. 2112 c.c. non sarebbe nullo e quindi non sarebbe “riconducibile agli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge” cui il D.Lgs. n. 23 del 2015, art. 2, comma 1, riconosce la tutela reintegratoria.

6. Il motivo non può trovare accoglimento per difetto di rilevanza.

Infatti, una volta acquisita come ragione idonea a sorreggere il decisum circa il ripristino della funzionalità del rapporto di lavoro con Alitalia l’argomentazione della Corte territoriale in base alla quale il V. doveva considerarsi “trasferito ex lege alle dirette dipendenze del cessionario” sulla scorta dell’art. 2112 c.c. (sicchè – secondo la stessa Corte territoriale — “il licenziamento irrogato da CAI First interviene quando il lavoratore è già transitato ex lege alle dipendenze della società cessionaria”), perde di rilievo decisivo ogni questione circa la disciplina applicabile a detto licenziamento in relazione al D.Lgs. n. 23 del 2015, perchè tale recesso è successivo al trasferimento ritenuto dalla Corte di Appello ed inflitto a non domino, per cui tutte le considerazioni spese in proposito circa l’ambito di operatività del richiamato decreto legislativo attengono ad una seconda ratio decidendi, il cui vizio comunque non condurrebbe alla cassazione della sentenza impugnata perchè la motivazione di essa sarebbe comunque sostenuta dalla prima ratio in ordine alla prosecuzione del rapporto di lavoro ex art. 2112 c.c..

Come noto, secondo la giurisprudenza di questa Corte, qualora la sentenza impugnata sia basata su una motivazione strutturata in una pluralità di ordini di ragioni, convergenti o alternativi, autonomi l’uno dallo altro, e ciascuno, di per sè solo, idoneo a supportare il relativo dictum, la resistenza di una di queste rationes agli appunti mossigli con l’impugnazione comporta che la decisione deve essere tenuta ferma sulla base del profilo della sua ratio non, o mal, censurato privando in tal modo l’impugnazione dell’idoneità al raggiungimento del suo obiettivo funzionale, rappresentato dalla rimozione della pronuncia contestata (cfr., tra molte, Cass. n. 4349 del 2001, Cass. n. 4424 del 2001; Cass. n. 24540 del 2009).

7. Conclusivamente il ricorso va respinto, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.

Occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 5.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e spese generali al 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 10 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2020

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