Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4883 del 01/03/2010

Cassazione civile sez. trib., 01/03/2010, (ud. 13/01/2010, dep. 01/03/2010), n.4883

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – rel. Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

M.E., elettivamente domiciliato in Roma, Via Gregorio

VII n. 382, presso lo studio dell’avv. ZUCCHERETTI Maurizio, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DEL TERRITORIO, in persona del direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Lazio, sez. 10^, n. 127, depositata il 6 luglio 2007.

Letta la relazione scritta redatta dal Consigliere relatore Dott.

Aurelio Cappabianca;

udito, per il contribuente, l’avv. Maurizio Zuccheretti;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio, che ha chiesto il rinvio della causa in pubblica

udienza, riscontrando un non univoco indirizzo giurisprudenziale sul

tema di cui al primo motivo di ricorso;

constatata la regolarità delle comunicazioni di cui all’art. 380 bis

c.p.c., comma 3.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Premesso:

– che il contribuente propone ricorso per cassazione in due motivi, illustrati anche con memoria, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio indicata in epigrafe, che, nel respingerne l’appello, aveva confermato la sentenza del giudice di primo grado reiettiva del suo ricorso contro atto di classamento di immobile sito in Civitavecchia;

– che l’Agenzia del Territorio resiste con controricorso;

rilevato:

– che, con il primo motivo di ricorso, il contribuente deduce “violazione di norme di diritto e specificamente del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 33 e dell’art. 112 c.p.c.” e formula i seguenti quesiti; “… se la Commissione Tributaria Regionale di Roma con la sentenza n. 127/10/07 del 12.3.2007 abbia violato il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 33 e l’art. 112 c.p.c., per non avere pronunciato sul motivo di appello concernente la nullità della sentenza n. 241/46/05 del 2.5.2005 della Commissione Tributaria Provinciale di Roma sul ricorso n. (OMISSIS) per aver violato la richiesta del ricorrente con l’atto introduttivo del giudizio tributario di trattare la controversia in pubblica udienza; 2) … se tale omissione determini la nullità anche della sentenza n. 127/10/07 del 12.3.2007 della Commissione Tributaria Regionale di Roma”;

che, con il secondo motivo di ricorso, il contribuente deduce “omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”;

osservato, quanto al primo motivo:

che la censura svolta con riferimento alla previsione dell’art. 112 c.p.c. è inammissibile;

– che, infatti, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di una espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto, il che non si verifica quando, come nel caso di specie, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte implichi logicamente, pur in assenza di specifica argomentazione, il rigetto di detta pretesa (cfr. Cass. 10636/07, 4279/03, 4317/00);

che la censura svolta con riferimento alla dedotta violazione della previsione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 33 è, invece, infondata;

che essa invero, concretandosi nella mera prospettazione dell’inosservanza di legittima istanza D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 33, non tiene conto del fatto che, nel giudizio dinanzi alle commissioni tributarie, l’omessa celebrazione della pubblica udienza, pur ritualmente richiesta dalla parte, non comporta ineludibilmente la nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa; ciò perchè l’art. 360 c.p.c., n. 4, nel consentire la denuncia di vizi di attività del giudice che comportino la nullità della sentenza o del procedimento, non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in dipendenza del denunciato error in procedendo, sicchè, posto che la discussione in pubblica udienza ha una funzione meramente illustrativa delle posizioni già assunte e delle tesi già svolte nei precedenti atti difensivi e non è sostitutiva delle difese scritte, per l’utile prospettazione della censura non basta la generica denunzia della mancata discussione, ma è necessario indicare gli specifici profili per i quali l’omissione, impedendo di integrare argomenti e rilievi già contenuti nei precedenti atti difensivi o di colmarne le lacune, si è tradotta in concreta violazione del diritto di difesa (cfr.

Cass. 7108/08, 2948/06);

– che la richiamata portata della previsione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4 – costituendo oggetto di consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. 4435/08, 16630/07, S.U. 16898/06, 7759/05, 18618/03, 12594/02) ed essendo, peraltro, conforme al generale principio di economia che deve sempre informare il processo, soprattutto alla luce del novellato art. 111 Cost. – impone di dar seguito, in merito alla particolare questione della violazione dell’istanza D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 33, all’orientamento sopra evocato ed espresso dalle decisioni citate, che, traendo naturale corollario dal (consolidato) principio generale, ha superato, sul tema specifico, precedente contraria interpretazione;

osservato, quanto al secondo motivo:

– che la censura è inammissibile, in quanto si pone in contrasto con le prescrizioni di cui all’art. 366 bis c.p.c., che sono violate, quando il fatto controverso coinvolto dal motivo in relazione al quale si assuma omessa, contraddittoria od insufficiente la motivazione, e le ragioni, per cui la motivazione medesima sia reputata inidonea a sorreggere la decisione, s’identifichino solo in esito alla completa lettura del motivo e non in base alla specifica sintesi offertane dal ricorrente al fine dell’osservanza del requisito sancito dall’art. 366 bis c.p.c. (v. Cass. 4311/08, 4309/08, 20603/07, 16002/07);

che peraltro, ancorchè prospettando vizio di motivazione, il motivo richiede, sostanzialmente, a questa Corte, un inammissibile diverso apprezzamento delle risultanze processuali, rispetto a quello legittimamente effettuato dai giudici del merito;

che infatti – a fronte di una decisione sinteticamente ima coerentemente motivata sugli esiti di un rinnovato sopralluogo, sulle caratteriste del complesso edilizio e sulla valutazione dotati delle medesime caratteristiche – la censura tende, in realtà, a rimettere in discussione accertamenti in fatto del giudice del merito, che, espressi con motivazione in sè coerente e immune da vizi logici (nemmeno evocati), si sottraggono al sindacato di legittimità, giacchè, nell’ambito di tale sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del mento, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza, e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr. Cass. 22901/05, 15693/04, 11936/03);

ritenuto:

che il ricorso si rivela, pertanto, manifestamente infondato, sicchè va respinto nelle forme di cui agli artt. 375 e 380 bis c.p.c.;

– che, per la natura della controversia e le peculiarità della fattispecie, si ravvisano le condizioni per disporre la compensazione delle spese del giudizio.

P.Q.M.

la Corte: respinge il ricorso; compensa le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2010

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