Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4881 del 24/02/2020

Cassazione civile sez. lav., 24/02/2020, (ud. 26/11/2019, dep. 24/02/2020), n.4881

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4941-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA,

alla VIA DEI PORTOGHESI N. 12;

– ricorrente –

contro

R.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE XXIV APRILE

12, presso lo studio dell’avvocato ANTONELLA MINIERI, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 49/2012 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 07/02/2012 R.G.N. 344/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/11/2019 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CIMMINO Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ANTONELLA MINIERI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Brescia, con la sentenza n. 49 del 2012, pronunciando sull’impugnazione proposta dall’Agenzia delle Dogane nei confronti di R.A., avente ad oggetto la sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di Brescia, confermava la giurisdizione del giudice ordinario e rigettava nel merito l’appello.

2. Il Tribunale di Brescia aveva ritenuto sussistere la propria giurisdizione e aveva condannato l’Agenzia delle Dogare al pagamento in favore della lavoratrice della somma di Euro 24.324,36, o tre interessi legali dalle singole scadenze al saldo, a titolo d, risarcimento del danno consistente nelle differenze retributive che la stessa avrebbe dovuto percepire qualora fosse intervenuto il tempestivo riconoscimento della qualifica superiore.

3. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre L’Agenzia delle Dogane prospettando quattro motivi di impugnazione.

4. Resiste la lavoratrice con controricorso.

5. Poichè veniva posta questione di giurisdizione, con l’ordinanza interlocutoria n. 30715 del 2017, la causa veniva emessa al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

6. Con ordinanza n. 10246 del 2019, le Sezioni Unite di questa Corte hanno ritenuto sussistere la giurisdizione ordinaria cosi disattendendo il primo motivo di ricorso, e hanno rimesso la controversa alla Sezione semplice per l’esame dei restanti motivi di ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Occorre premettere (come già rilevato da Cass. n. 24571 del 2016, in analoga fattispecie; si v. anche Cass., S U., n. 24571 del 2016) che nel 1992 il Ministero delle Finanze bandiva un concorso interno per la copertura di numerosi posti di funzionario tributario (ottava qualifica).

La graduatoria finale, approvata in data 24 giugno 1996, veniva annullata dal TAR Lazio che, con sentenza n. 3679/2000, ne dichiarava l’illegittimità perchè alcuni dei partecipanti alla prova selettiva non avrebbero potuto parteciparvi, in mancanza dei necessari requisiti.

In ottemperanza alle statuizioni del giudice amministrativo, il Commissario ad acta aveva provveduto a stilare una nuova graduatoria, dalla quale erano stati depennati i vincitori privi dei necessari requisiti, e nella quale erano stati invece inseriti, al loro posto, gli idonei.

In tale nuova graduatoria, approvata con determinazione del 6 febbraio 2004, era stato collocata anche l’odierna controricorrente.

1.1. La lavoratrice si era rivolta al Tribunale di Brescia per ottenere l’accertamento del diritto al riconoscimento della decorrenza economica sin dal 1996, e quindi dal tempo della prima graduatoria, con la condanna dell’Agenzia al pagamento in proprio favore delle differenze sul trattamento retributivo, e al risarcimento del danno.

2. Con il primo motivo di ricorso, nel censurare il rigetto da parte della Corte d’Appello dell’eccepito difetto di giurisdizione, è stata posta questione di giurisdizione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 1.

La domanda della R. avente ad oggetto la decorrenza economica dell’inquadramento nell’VIII qualifica funzionale era relativa ad un bando del 1992 e la graduatoria era stata approvata il 24.6.1996: gli atti ed i loro effetti di cui era causa si collocavano ed esaurivano in un periodo precedente il 30.6.1998 e, quindi, ad avviso dell’Agenzia, la domanda andava proposta al giudice amministrativo.

2.1. Il motivo di ricorso è stato rigettano dalle Sezioni Unite con l’ordinanza n. 10246 del 2019, le cui motivazioni si richiamano ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c..

3. Con il secondo motivo di ricorso si allega la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c..

Non era stato esaminato il motivo di appello con il quale si deduceva che, in ragione degli effetti della sentenza del TAR Lazio n. 3679/2000, l’Agenzia non aveva alcun obbligo di riconoscere l’inquadramento nell’VIII qualifica funzionale, dal 2.9.1996, anche a coloro che non erano state parti del giudizio che si era concluso con la suddetta sentenza del TAR Lazio.

3.1. Il motivo non è fondato.

3.2. Va premesso che la giurisprudenza amministrativa ha, anche di recente, esaminato il tema degli effetti delle sentenze amministrative (Cons. Stato, Ad. Plen, nn. 4 e 5 del 2019), affermando che i casi di giudicato amministrativo con effetti ultra partes sono eccezionali e si giustificano in ragione dell’inscindibilità degli effetti dell’atto o dell’inscindibilità del vizio dedotto.

In particolare, l’indivisibilità degli effetti del giudicato presuppone l’esistenza di un legame altrettanto indivisibile fra le posizioni dei destinatari, in modo da rendere inconcepibile – logicamente, ancor prima che giuridicamente – che l’atto annullato possa continuare ad esistere per quei destinatari che non lo hanno impugnato.

3.3. Tanto premesso, si rileva che come afferma lo stesso ricorrente (pag. 17 del ricorso per cassazione) a seguito della sentenza del TAR Lazio l’Amministrazione, nella determinazione 14 gennaio 2004, riformulava la graduatoria, attribuendo ai ricorrenti vittoriosi una migliore collocazione.

Oltre a ciò, che costituiva attuazione del dictum del giudice amministrativo, il Ministero procedeva anche a collocare la ricorrente in posizione utile all’inquadramento superiore, con decorrenza giuridica retrodatata, così rivedendo anche per l’odierna ricorrente la precedente determinazione.

Consegue a ciò, che nella fattispecie in esame l’Amministrazione, a seguito dell’accertamento dell’illegittimità del proprio operato in relazione alla graduatoria del 1996, ha inteso, con la delibera del 2004, ricondurre la posizione della R. a quella dei ricorrenti vittoriosi in sede giurisdizionale, onde evitare una disparità di trattamento conseguente ad un proprio agire ritenuto illegittimo dal giudice amministrativo.

Tale agire risponde a quanto previsto anche dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 5, comma 1, secondo il quale “Le amministrazioni pubbliche assumono ogni determinazione organizzativa al fine di assicurare l’attuazione dei principi di cui all’art. 2, comma 1, e la rispondenza al pubblico interesse dell’azione amministrativa”, atteso che la Pubblica amministrazione “conserva pur sempre – anche in presenza di un rapporto di lavoro ormai contrattualizzato – una connotazione peculiare”, essendo tenuta “al rispetto dei principi costituzionali di legalità, imparzialità e buon andamento cui è estranea.

3.4. Occorre osservare, altresì, che come questa Corte ha già affermato la costituzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, intervenuta tardivamente, a seguito dell’accertamento giudiziale dell’illegittimo operato dell’Amministrazione, può avvenire con retrodatazione giuridica dell’assunzione stessa, ma non con retrodatazione economica, in quanto non si determina un diritto alle retribuzioni per il periodo antecedente all’assunzione in cui la prestazione lavorativa non è stata svolta, ma un diritto al risarcimento del danno (Cass., n. 14772 del 2017).

Analoghi principi valgono con riguardo ad un tardivo inquadramento in una qualifica superiore.

4. Con il terzo motivo si allega la violazione dell’art. 112 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., n. 4.

Nell’ambito dell’intero giudizio di primo grado ed in appello, la fattispecie era stata qualificata come una pretesa da responsabilità aquiliana dell’Amministrazione, ma la condanna intervenute in appello era stata fondata sulla responsabilità contrattuale dell’Amministrazione, che non era stata dedotta.

Vi era, pertanto, un vizio di ultrapetizione.

4.1. Il motivo è inammissibile.

In caso di denuncia di errores in procedendo del giudice di merito, la Corte di cassazione è anche giudice del fatto, inteso, ovviamente, come fatto processuale (tra le tante: Cass. n. 14098 del 2009; Cass. n. 11039 del 2006).

Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 8077 del 2012, ranno precisato che, in ogni caso, la proposizione del motivo di censura resa soggetta alle regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, nel senso che la parte ha l’onere di rispettare il principio di specificità del ricorso e le condizioni di procedibilità di esso (in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4,), “sicchè l’esame diretto degli atti che la Corte è chiamato a compiere è pur sempre circoscritto a quegli atti ed a quei documenti che a parte abbia specificamente indicato ed allegato”.

L’osservanza di tali principi comporta, nel caso in esame – in cui si deduce vizio di ultrapetizione in cui sarebbe incorso del giudice di appello in ragione del contenuto della sentenza di primo grado e dei motivi di appello dell’Amministrazione – l’onere per la ricorrente non solo di trascrivere i motivi formulati nell’atto di gravame, ma anche di trascrivere o riportare con precisione le argomentazioni della parte motiva della sentenza di primo grado, il cui contenuto costituisce l’imprescindibile termine di riferimento per la verifica in concreto del rispetto dell’art. 112 c.p.c. (cfr., Cass., n. 3194 del 2019).

Pertanto, la mancata trascrizione del contenuto della sentenza di primo grado, impedisce la necessaria verifica di rispondenza della sentenza di appello al thema decidendum devoluto al giudice di secondo grado.

5. Con il quarto motivo di ricorso, si allega la violazione dell’art. 2948 c.c., n. 4: il termine prescrizionale doveva decorrere dal 24.6.1996 data di approvazione della graduatoria, e pertanto era interamente decorso.

5.1. Il motivo non è fondato, in ragione dei principi già affermati da questa Corte, con specifico riferimento al contenzioso derivante dalla sentenza n. 3679 del 2000 del Tar Lazio.

Le Sezioni Unite (Cass. S.U. n. 579 e 580 del 2014, n. 2705 del 2012, si v. pure Cass. 24571 del 2016), nel decidere su analoga fattispecie sia pure ai fini del riparto di giurisdizione, hanno affermato che la nuova graduatoria, favorevole al ricorrente, era stata approvata nel 2004, consentendo, solo da tale data, la presentazione della domanda per ottenere, a titolo risarcitorio, le dovute differenze retributive.

Tale statuizione rileva anche con riguardo alla censura in esame, atteso che solo da tale data poteva decorrere la prescrizione del diritto azionato, non assumendo valore in proposito la retrodatazione della decorrenza giuridica.

6. Il ricorso deve essere rigettato.

7. Le spese seguono la soccombenza, e sono liquidate come in dispositivo.

8. Come ritenuto dalle Sezioni Unite della Corte, con sentenza n. 9938 del 2014, stante la non debenza delle amministrazioni pubbliche del versamento del contributo unificato, non deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al primo periodo del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 ai fini del raddoppio del contributo per i casi di impugnazione respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 200,00, per esborsi, Euro 5.000,00, per compensi professionali, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2020

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