Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4880 del 01/03/2018


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Civile Ord. Sez. L Num. 4880 Anno 2018
Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: BLASUTTO DANIELA

ORDINANZA

sul ricorso 24644-2012 proposto da:
DI BLASI

TERESA DBLMTR54R44C351D,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA DEI GRACCHI 187, presso lo
studio dell’avvocato MARCELLO MAGNANO DI SAN LIO,
rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNA CARUSO,
giusta delega in atti;
– ricorrente contro
2017
4097

ASSESSORATO REGIONALE BENI CULTURALI, AMBIENTALI E
DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE DELLA REGIONE SICILIANA, in
persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA

Data pubblicazione: 01/03/2018

DEI PORTOGHESI, 12 ope legis;
– controrícorrente

avverso la sentenza n. 774/2011 della CORTE D’APPELLO
di CATANIA, depositata il 19/10/2011 R.G.N.

1076/2008;

R.G. n. 24644/2012

RILEVATO CHE
1.

Con sentenza n. 774/2011 la Corte di appello di Catania ha riformato la pronuncia del

Tribunale di Siracusa che, in accoglimento della domanda proposta da De Blasi Teresa nei
confronti dell’Assessorato Regionale dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana (già
Assessorato ai Beni Culturali ed Ambientali della Regione Siciliana), aveva dichiarato il
diritto della ricorrente all’inquadramento nella terza fascia dirigenziale con decorrenza
giuridica ed economica dal decreto di nomina e con attribuzione del trattamento economico

2. L’originaria ricorrente era risultata vincitrice di un concorso per n. 70 posti di dirigente
archeologo del ruolo tecnico dei beni culturali, VIII qualifica funzionale, bandito nel marzo
2000 dalla Regione Sicilia, ma la sua assunzione era avvenuta successivamente
all’approvazione della Legge regionale n. 10 del 2000, con la quale era stata rimodulata
l’organizzazione dell’Ente sulla base del modello delineato dal D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 1 e
successive modificazioni, ora D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1.
2.1. Nel contesto della nuova articolazione delle strutture operative era stata prefigurata,
previa contrattazione sindacale, una nuova classificazione del personale non inquadrato
nelle qualifiche dirigenziali (art. 5) e, quanto alla dirigenza, era stato previsto un ruolo unico
“articolato in due fasce, in relazione al livello di professionalità e di responsabilità”. In sede
di prima applicazione della legge, era stata altresì istituita una terza fascia in cui era
inquadrato il personale con la qualifica di dirigente amministrativo e tecnico o equiparato ai
sensi della normativa previgente in servizio alla data di entrata in vigore della legge (art. 6).
2.2.

Con i decreti del Presidente della Regione Sicilia n. 9 e n.10 del 2001, recanti

rispettivamente la riclassificazione del personale regionale ai sensi dell’art. 5 L.R. 15 maggio
2000, n. 10 e il recepimento dell’accordo per il rinnovo contrattuale del personale regionale
con qualifiche non dirigenziali e nuovo ordinamento professionale del personale, era stato
così interamente innovato il sistema di classificazione del personale.
2.3. All’esito dei concorsi banditi anteriormente alla L.R. n. 10/2000 e in applicazione del
nuovo sistema di classificazione, la Regione Sicilia aveva inquadrato i vincitori nella nuova
categoria D, posizione economica Dl. Tale inquadramento veniva contestato in sede
giudiziale dalla odierna ricorrente che, al pari degli altri vincitori, pretendeva
l’inquadramento nella nuova terza fascia dirigenziale prevista dall’art. 6 o, in subordine,
l’inquadramento in posizione economica apicale all’interno della categoria D.
3. La Corte di appello, nel rigettare la domanda principale, ha osservato, in adesione
all’orientamento espresso da Cass. sez. lav. sent. n. 20544/2010: a) che la terza fascia
prevista dall’art. 6 L.r. n. 10/2000 aveva un evidente carattere di eccezione rispetto alla
configurazione normale della categoria dirigenziale ed un esplicito carattere transitorio,

corrispondente.

R.G. n. 24644/2012

riguardante il solo personale già in servizio alla data di entrata in vigore della legge, mentre
la sua estensione oltre i limiti delineati dalla norma comporterebbe l’accesso alla qualifica
dirigenziale senza il superamento del concorso, in forte sospetto di contrarietà all’art. 97
Cost.; c) che in tale contesto normativo la disposizione contenuta nell’art. 5, comma 3 L.R.
n. 10/2000, secondo la quale “fino al 31 dicembre 2003 è fatto divieto all’Amministrazione
regionale di indire concorsi per l’assunzione di nuovo personale, fermi restando i concorsi
già banditi…”, valeva solo a derogare in parte al divieto di nuove assunzioni, ma non
costituiva norma di equiparazione fra il personale già in servizio e quello che all’esito del

3.1. La Corte di appello ha ritenuto infondata anche la domanda subordinata, osservando:
a) che, come affermato da Cass. n. 15039/2007, il contratto individuale di lavoro con le
pubbliche amministrazioni deve conformarsi al contratto collettivo e l’abolizione, a seguito
della contrattazione collettiva, della qualifica per la quale era stato originariamente bandito
il concorso, operava come ius superveniens, rendendo impossibile l’inquadramento previsto
dal bando; b) che, a norma dell’art. 19, comma 3, del Contratto collettivo regionale di
lavoro 2002/2005 (applicabile

ratione temporis,

avuto riguardo al momento

dell’assunzione), “nelle categorie è previsto un unico accesso dall’esterno della posizione
iniziale (Al, 131, Cl, D1)” e che, anche in considerazione degli artt. 20, 23, 31, 84, 85,
nonché dell’Allegato A dello stesso contratto, doveva ritenersi legittimo l’inquadramento dei
vincitori dei concorsi banditi anteriormente nella posizione economica iniziale della categoria
D del personale non dirigenziale.
4.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la lavoratrice sulla base di un

unico, articolato motivo. L’Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana della
Regione Sicilia resiste con controricorso.
5. La ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c., inserito dall’art. 1, lett. f,
del D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. n. 25 ottobre 2016, n. 197.

CONSIDERATO CHE
1.

Con unico motivo di ricorso si censura l’interpretazione secondo cui la previsione

contenuta nell’art. 6 della Legge regionale n. 10/2000 avrebbe carattere transitorio e non
consentirebbe di inquadrare nella terza fascia dirigenziale il personale assunto in servizio
dopo la data del 17 maggio 2000. Si denuncia l’erronea interpretazione dell’art. 5 della
Legge regionale n. 10/2000 nella parte in cui ha fatto salvi i concorsi già banditi, con
previsione idonea a ingenerare nei vincitori il legittimo affidamento nella conclusione del
concorso secondo le regole contenute nel bando. Si contesta l’argomento secondo cui le
regole contenute nel bando di concorso sarebbero suscettibili di subire gli effetti dello ius
superveniens. Infine, si denuncia l’erroneità del rigetto della domanda subordinata per
mancato esame della riconducibilità della ex VIIII qualifica funzionale nella posizione apicale

2

concorso avrebbe maturato il diritto all’assunzione.

R.G. n. 24644/2012

della categoria D, nonché per erronea interpretazione delle norme della contrattazione
collettiva regionale richiamate dalla Corte territoriale e per erronea interpretazione della
Tabella A, allegata al decreto del Presidente della regione Siciliana n 9 del 2001.
1.1. In via subordinata, il ricorso denuncia l’illegittimità costituzionale dell’art. 6 della Legge
della Regione Sicilia del 15 maggio 2000, n. 10, nell’interpretazione che – in combinato
disposto con l’art.5 della medesima Legge – ne hanno dato l’Amministrazione e la Corte di
appello, per contrasto con gli artt. 3, 4, 35, 36 e 97 Cost..
2. Il ricorso è infondato per le ragioni che seguono.

udienza del 5 giugno 2012 e depositate il 2 ottobre successivo (Cass. S.U. nn. da 16728/12
a 16734/12), hanno affrontato tutte le questioni che qui vengono in rilievo e, dopo avere
ricostruito il quadro normativo di riferimento, hanno affermato i seguenti principi di diritto:
– In tema di impiego pubblico privatizzato, il diritto del candidato vincitore ad assumere
l’inquadramento previsto dal bando di concorso, espletato dalla P.A. per il reclutamento dei
propri dipendenti, è subordinato alla permanenza, al momento dell’adozione del
provvedimento di nomina, dell’assetto organizzativo degli uffici in forza del quale il bando
era stato emesso (in tal senso si erano già espresse Cass. n. 15039 del 2007, nn. 8192 e
9384 del 2006, n. 7219 del 2005).
– La legge Regione Sicilia 15 maggio 2000, n. 10 ha articolato il rapporto di lavoro dei
dirigenti in base a due fasce, riservando una terza, di carattere transitorio, ai dipendenti già
in servizio. In tale contesto, il comma terzo dell’art. 5 di detta legge, il quale faceva divieto
all’amministrazione regionale di indire concorsi per l’assunzione di nuovo personale fino al
31 dicembre 2003, “fermi restando i concorsi già banditi”, intendeva derogare,
limitatamente ai posti compresi in questi ultimi, al divieto di nuovi reclutamenti, senza
tuttavia equiparare la posizione del personale già in servizio a quella di coloro che avrebbero
maturato il diritto all’assunzione all’esito dei concorsi stessi.
3.1. Tale orientamento ha confermato la soluzione interpretativa già espressa nei
precedenti giurisprudenziali menzionati dalla Corte di appello nella sentenza impugnata. Alla
pronuncia delle Sezioni Unite hanno fatto seguito altre sentenze, tutte conformi, di questa
Corte: sentenze nn. 1403, 7558, 9088 e 9293 del 2014, n. 25393 del 2015.
3.2. Il principio della rilevanza dello ius superveniens

prima della nomina è stato altresì

ribadito (in diverso contenzioso) da Cass. n. 12679 del 2016, secondo cui il diritto del
candidato vincitore ad assumere l’inquadramento previsto dal bando di concorso, espletato
in regime di pubblico impiego privatizzato, è subordinato alla permanenza, al momento
dell’adozione del provvedimento di nomina, dell’assetto organizzativo degli uffici in forza del
quale il bando è stato emesso.

3

3. Le Sezioni Unite di questa Corte, con le sentenze gemelle pronunciate alla medesima

R.G. n. 24644/2012

4.

Le Sezioni Unite hanno ritenuto manifestamente infondate le eccezioni di

incostituzionalità sollevate, in relazione all’art. 97 Cost., dai vincitori dei concorsi banditi
dalla Regione Sicilia anteriormente alla L.R. n. 10/2000. Nel confermare l’orientamento già
espresso da Cass. n. 20544 e nn. 20568 e 20569 del 2010, pronunziate in fattispecie
analoghe a quella ora in considerazione, premesso che il mancato inquadramento nella
fascia funzionale prevista era conseguenza dello ius superveniens, che aveva procurato in
sede di contrattazione collettiva la soppressione della vecchia qualifica funzionale, le Sezioni
Unite hanno osservato che “tale conclusione è conforme al principio desumibile dall’art. 97

conformare la propria azione ai principi di imparzialità, efficienza e legalità (Corte cost.
8.03.00 n. 75, la quale afferma, anzi, che da detto art. 97 deriva direttamente l’esistenza di
un potere-dovere della P.A. di annullare i provvedimenti che abbiano disposto gli
inquadramenti illegittimi)” e che

“tale obbligo, nel caso di ius superveniens, impone

all’Amministrazione – ove non abbia ritenuto di ricorrere alla revoca o all’annullamento della
procedura concorsuale intervenuto prima della nomina dei vincitori (consentita dalla
giurisprudenza amministrativa, v. TAR Lazio, Sez. 2, 14.11.96 n. 2051) – di adottare il
provvedimento di inquadramento del vincitore del concorso sulla base della norma (di
natura legislativa o collettiva)vigente al momento dell’adozione dell’atto”.
4.1. Sempre in ordine all’art. 97 Cost., le S.U. hanno pure evidenziato che:”…essendo
l’istituzione della terza fascia frutto di una disposizione eccezionale (“nella prima
applicazione della presente legge…”) a carattere transitorio, riservata ad una specifica
categoria di dipendenti regionali, sarebbe del tutto incongruo ritenere che detta istituzione
costituisca per i nuovi assunti una porta di accesso alla dirigenza senza passare per lo
specifico concorso previsto dalla legge (diverso da quello da loro espletato). Ove
interpretata in questo senso, la norma dell’art. 6, comma 1, si porrebbe in contrasto con il
principio sancito dall’art. 97 Cost., comma 3, per il quale agli impieghi della Pubblica
amministrazione si accede solo a seguito di pubblico concorso”.
4.2. Tali principi sono stati ribaditi, da ultimo, da Cass. n. 12679 del 2016, che ha pure
ricordato che, secondo consolidato indirizzo della Corte costituzionale, l’art. 97, quarto
comma, Cost. prescrive che “l’accesso ad un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni
più elevate ed è soggetto, pertanto, quale figura di reclutamento, alla regola del pubblico
concorso” (Corte cost. sentenze n. 37 del 2015; n. 194 del 2002; ex plurimis, inoltre,
sentenze n. 217 del 2012, n. 7 e 108 del 2011, n. 150 del 2010, n. 293 del 2009; n. 159
del 2005, n. 34 del 2004, n. 218 e n. 194 del 2002, n. 1 del 1999) e che l’adempimento
dell’obbligo di assunzione nei limiti fissati dal nuovo assetto organizzativo “non impone la
valutazione alla luce dei principi di buona fede e di correttezza, i quali non operano come
fonti autonome ed ulteriori di diritti se non nei limiti della previsione contrattuale (vedi, per

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Cost., per il quale la Pubblica Amministrazione nell’organizzare i suoi uffici è tenuta a

R.G. n. 24644/2012

tutte: Cass. SU, 2 ottobre 2012, n. 16728; Cass. 23 gennaio 2014, n. 1403; Cass. 4 luglio
2007, n. 15039; Cass. 21 aprile 2006, n. 9384)”.
4.3.

Del pari manifestamente infondata è la prospettata violazione dei principi di

uguaglianza (art. 3 Cost.), della tutela del lavoro (art. 35, primo comma, Cost.) e della
giusta retribuzione (art. 36, primo comma, Cost.), in quanto, come già affermato da Cass.
n. 1403 del 2014, occorre dare “…rilievo alla diversità esistente tra le posizioni di coloro che
potevano vantare l’esercizio di un servizio amministrativo e di quelli che per il medesimo
servizio avevano maturato soltanto un’idoneità a seguito del superamento del concorso, ed

venissero ammessi ope legis solo coloro che avessero già ricoperto le relative mansioni”.

Del

resto, anche nella giurisprudenza della Corte costituzionale è stato affermato che la scelta
operata dal legislatore di accordare un particolare trattamento alle qualifiche ad
esaurimento non comporta alcuna violazione del principio di buon andamento ed
imparzialità della P.A., basandosi essa sul riconoscimento di un maggiore profilo attitudinale
derivante dalla esperienza precedente e dalla qualifica rivestita, né si pone in contrasto con
gli artt. 35 e 36 Cost., in quanto tiene conto delle differenze di esperienze professionali e di
livelli giuridici e retributivi (C.Cost. n. 228 del 1997).
5.

Quanto alla domanda diretta a contestare l’inquadramento riconosciuto

dall’Amministrazione, va premesso che le Sezioni Unite, con le pronunce più volte citate,
hanno affermato che

“il datore di lavoro pubblico non ha il potere di attribuire

inquadramenti in violazione del contratto collettivo, ma ha solo la possibilità di adattare i
profili professionali, indicati a titolo esemplificativo nel contratto collettivo, alle sue esigenze
organizzative, senza modificare la posizione giuridica ed economica stabilita dalle norme
pattizie, in quanto il rapporto è regolato esclusivamente dai contratti collettivi e dalle leggi
sul rapporto di lavoro privato. E’ conseguentemente nullo l’atto in deroga, anche in melius,
alle disposizioni del contratto collettivo… “. Nello stesso senso si è espressa anche Cass. n.
1403/2014.
5.1. Tanto premesso, va rilevato che la Corte di appello, interpretando il Contratto
collettivo regionale di lavoro del comparto non dirigenziale della Regione Sicilia, ha
affermato che, ai sensi dell’art. 19, “nelle categorie è previsto un unico accesso dall’esterno
nella posizione iniziale (posizioni Al, Bl, Cl, D.1)”, ed ha osservato che la legittimità
dell’inquadramento nella posizione iniziale della categoria apicale D era avvalorata dalla
lettura sistematica di altre norme del medesimo contratto collettivo (e precisamente dagli
artt. 20, 23, 31, 84, 85, nonché dall’Allegato A) in materia di classificazione, accesso e
progressione all’interno delle categorie.
5.2. La censura che verte sull’interpretazione delle disposizioni del contratto regionale di
lavoro è inammissibile, atteso che in tema di contratti collettivi di lavoro relativi al pubblico

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apparendo perciò razionale che ad una qualifica strategica, quale quella dirigenziale,

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impiego privatizzato, l’art. 63, comma 5, del D.Lgs. n. 165 del 2001, che consente di
denunciare direttamente in sede di legittimità la violazione o falsa applicazione dei contratti
ed accordi collettivi nazionali di cui all’art. 40 del predetto D.Lgs., è norma di stretta
interpretazione, sicché non può trovare applicazione ai contratti collettivi regionali ivi non
contemplati (Cass. n.7671 del 2016). L’interpretazione di tali contratti spetta al giudice di
merito e il sindacato di legittimità può essere esercitato soltanto con riguardo ai vizi di
motivazione del provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.
(nella specie, nel testo antecedente al d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. nella I. n. 134

violazione delle norme di cui agli artt. 1362 e segg. c.c., a condizione, per detta ipotesi, che
i motivi di ricorso non si limitino a contrapporre una diversa interpretazione rispetto a quella
del provvedimento gravato, ma prospettino, sotto molteplici profili, l’inadeguatezza della
motivazione anche con riferimento alle norme del codice civile di ermeneutica negoziale
come canone esterno di commisurazione dell’esattezza e congruità della motivazione stessa
(Cass. n. 21888 del 2016; Cass. n. 17716 del 2016). Nessuna delle ipotesi che consentono
il sindacato di legittimità sulla disciplina della contrattazione collettiva è ravvisabile nella
specie.
5.3. Occorre, da ultimo, rilevare che sussiste un ulteriore profilo di inammissibilità
consistente nella mancata trascrizione del testo della norme contrattuali di cui la Corte
appello ha fatto applicazione e la cui interpretazione è ora censurata; parimenti, non sono
stati trascritti i decreti del Presidente della Regione Sicilia nn. 9 e 10 del 2001. Tale
omissione viola il disposto di cui all’art. 366 n. 6 c.p.c.: come più volte affermato da questa
Corte (ex plurimis, Cass. n. 26174 del 2014, n. 2966 del 2014, n. 15628 del 2009; cfr. pure
Cass. Sez. Un. n. 28547 del 2008; Cass. n. 22302 del 2008, n. 4220 del 2012, n. 8569 del
2013 n. 14784 del 2015 e, tra le più recenti, Cass. n. 6556 del 14 marzo 2013, n. 16900 del
2015), vi è un duplice onere a carico del ricorrente, quello di produrre il documento e quello
di indicarne il contenuto. Il primo onere va adempiuto indicando esattamente nel ricorso in
quale fase processuale e in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione; il
secondo deve essere adempiuto trascrivendo o riassumendo nel ricorso il contenuto del
documento. La violazione anche di uno soltanto di tali oneri si riflette in un vizio di
inammissibilità della censura.
6. In conclusione, il ricorso va rigettato. L’onere delle spese del giudizio di legittimità resta a
carico di parte ricorrente, in applicazione della regola generale della soccombenza. Pur
rilevato che l’orientamento espresso dalle Sezioni Unite è successivo alla proposizione del
ricorso per cassazione, va considerata la possibilità della parte ricorrente che riscontri il
formarsi di un orientamento interpretativo a sé sfavorevole di rinunciare al ricorso.
P.Q.M.

6

del 2012, ratione temporis applicabile), ovvero ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, per

R.G. n. 24644/2012

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del

presente

giudizio, che liquida in € 4.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
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Così deciso nella Adunanza camerate del 19 ottobre 2017

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