Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4877 del 11/03/2016


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 4877 Anno 2016
Presidente: IACOBELLIS MARCELLO
Relatore: CARACCIOLO GIUSEPPE

ORDINANZA
sul ricorso 22670-2013 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE 11210661002, in persona del
Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;

– ricorrente contro
DI FOLCO SABRINA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
GIUSEPPE FERRARI 35, presso lo studio dell’avvocato SAMAN
DADMAN, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato
GIANNI DI MATTEO, giusta procura speciale a margine del
controricorso;

– controricorrente –

Data pubblicazione: 11/03/2016

avverso la sentenza n. 349/39/2012 della COMMISSIONE
TRIBUTARIA REGIONALE SEZIONE DISTACCATA di
LATINA del 30/05/2012, depositata il 12/07/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
04/02/2016 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE

udito l’Avvocato GIANNI DI MATTEO, difensore del
controricorrente, chiede che vengano accolte le tesi difensive.

Ric. 2013 n. 22670 sez. MT – ud. 04-02-2016
-2-

CARACCIOLO;

La Corte,
ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in
cancelleria la seguente relazione:
Il relatore cons. Giuseppe Caracciolo,
letti gli atti depositati,

La CTR di Roma ha respinto l’appello dell’Agenzia -appello proposto contro la
sentenza n.217/10/2009 della CTP di Frosinone che aveva accolto il ricorso di
Di Folco Sabrina- ed ha così annullato l’avviso di accertamento per IVA- IRAP
per l’anno 2003 (e la conseguente cartella di pagamento) a mezzo del quale era
stato recuperato a tassazione reddito di impresa derivante da ricavi non
dichiarati (con la relativa IVA) e da costi non inerenti, il primo sulla scorta di
accertamenti bancari effettuati anche a carico di conti correnti intestati a
prossimi congiunti o a convivente della Di Folco ovvero ad essa Di Folco
medesima; i secondi per effetto del disconoscimento della attività agricola che la
Di Folco aveva dichiarato di esercitare, sul presupposto che a mezzo di questa la
Di Folco intendesse ottenere il rilascio di una licenza edilizia altrimenti non
spettantele ed indebite deduzioni di costi e detrazioni di IVA.
La predetta CTR ha motivato la decisione dichiarando di condividere la
decisione del giudice di primo grado, sia in ordine al fatto che la presunzione
legale in tema di conti correnti intestati a terzi “non è ammissibile senza la prova
da parte dell’ufficio dell’ascrivibilità delle movimentazioni al soggetto
indagato” (nella specie, per tre dei cinque conti correnti la Di Folco non era
intestataria né cointestataria né soggetto autorizzato ad effettuare operazioni ;
per gli altri due vi era copiosa documentazione che gli assegni emessi e versati
nel 2003 non riguardavano la gestione dell’impresa individuale); sia in ordine al
fatto che l’art.32 comma 3 del DPR n.600/1973 non consente di considerare la
documentazione prodotta successivamente alla chiusura del PVC solo con
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osserva:

riferimento ad atti specificamente richiesti e di cui sia stata rifiutata l’esibizione,
ciò che non era avvenuto in concreto; sia in ordine al fatto che il recupero era
relativo ad azienda agricola e a fatture regolarmente emesse e riferite a materiali
e lavori di costruzione di un fabbricato da adibire a sede dell’attività e perciò
pertinente all’attività esercitata.

La contribuente si è difesa con controricorso.
Il ricorso — ai sensi dell’art.380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore,
componente della sezione di cui all’art.376 cpc- può essere definito ai sensi
dell’art.375 cpc.
Infatti, con il primo motivo di impugnazione (improntato alla nullità della
motivazione siccome meramente apparente; alla violazione degli art.112 cpc e
36 D.Lgs.54611992) la parte ricorrente -dopo avere fatto constare la totale
identità anche letterale, rispetto a quelli della sentenza di primo grado, degli
argomenti utilizzati dal giudice del secondo grado- si duole che la sentenza del
giudice di appello, sia assolutamente acritica e monca rispetto ai motivi di
impugnazione, giacchè “per relationem” pura e semplice alla sentenza di primo
grado.
Il motivo appare manifestamente infondato, alla luce della pregressa
giurisprudenza di questa Corte:”E legittima la motivazione “per relationem”
della sentenza pronunciata in sede di gravame, purchè il giudice
d’appello,facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure
in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai
motivi di impugnazione proposti, in modo che il percorso argomentativo
desumibile attraverso la parte motiva delle due sentenze risulti appagante e
corretto. Deve viceversa essere cassata la sentenza d’appello allorquando la
laconicità della motivazione adottata, formulata in termini di mera adesione, non
consenta in alcun modo di ritenere che all’affermazione di condivisione del
giudizio di primo grado il giudice di appello sia pervenuto attraverso l’esame e la
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L’Agenzia ha interposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.

valutazione di infondatezza dei motivi di gravame. (Sez. 3, Sentenza n. 15483
del 11/06/2008; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 7347 del 11/05/2012; Cass. Sez. 3,
Sentenza n. 2268 del 02/02/2006).
Nella specie di causa, il riesame originale della materia di causa da parte del
giudice di appello risulta dalla circostanza che quest’ultimo ha dato adeguato

primo grado aveva raggiunto il suo convincimento —così palesando di averli
esaminati e considerati analiticamente- senza necessità di dover fare analitico
esame delle censure che sono state proposte dall’appellante società, siccome con
queste (a considerare quanto riferisce la parte ricorrente con la sintesi dei motivi
di censura proposti in appello) si era inteso semplicemente riproporre lo stesso
materiale di contestazioni formulato in primo grado.
Quanto al secondo motivo (centrato sulla violazione degli art.32 comma 1, 39 e
40 del DPR n.600/1973; degli art.51 comma 2 e 54 del DPR n.600/1972, anche
in riferimento all’art.2697 cod civ), con esso la parte ricorrente si duole che il
giudicante abbia ritenuto che sia onere dell’Amministrazione dare prova
dell’interposizione fittizia sui tre conti correnti bancari intestati a terzi, senza che
potessero considerarsi elementi indiziari idonei a invertire l’onere della prova lo
stretto legame familiare esistente con i formali intestatari e le ingenti
movimentazioni riscontrate in essi.
Il motivo appare fondato e da condividersi.
Con il suo apodittico assunto, non ulteriormente argomentato (in ordine alla

conto di quali erano stati gli specifici argomenti in ragione dei quali il giudice di

necessità che l’Amministrazione fornisca specifica prova della riferibilità
all’indagata dei conti correnti intestati a terzi), il giudicante ha violato il
principio tante volte insegnato da codesta Corte secondo il quale.”In tema di
accertamento dell’IVA, i movimenti bancari operati sui conti personali di
soggetti legati al contribuente da stretto rapporto familiare o da particolari
rapporti contrattuali (nella specie, l’amministratore unico della società, il suo
gestore di fatto e la figlia di quest’ultimo nonché socia) possono essere riferiti al
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contribuente, salva la prova contraria a suo carico, al fine di determinarne i
maggiori ricavi non dichiarati, in quanto tali rapporti di contiguità rappresentano
elementi indiziari che assumono consistenza di prova presuntiva legale, ove il
soggetto formalmente titolare del conto non sia in grado di fornire indicazioni
sulle somme prelevate o versate e non disponga di proventi diversi o ulteriori

5, Sentenza n. 20668 del 01/10/2014; in precedenza Cass. Sez. 5, Sentenza n.
18083 del 04/08/2010).
Nella specie, infatti, non si trattava di terzi qualsiasi ma di soggetti collegati alla
contribuente da qualificati rapporti familiari o affettivi, sicchè non avrebbe
potuto non trovare applicazione l’indirizzo dianzi menzionato in ordine alla
legittimità e rilevanza di indagini bancarie estese ai congiunti del contribuente
persona fisica, dovendosi reputare il rapporto familiare sufficiente a giustificare,
salva prova contraria, la riferibilità al contribuente indagato delle operazioni
riscontrate su conti correnti bancari degli indicati soggetti.
D’altronde, è già stato più volte ricordato che la presunzione di operazioni
commerciali non registrate, discendente dalla movimentazione di somme su
conti formalmente intestati a terzi non è qualificabile come presunzione di
doppio grado, dovendosi escludere simile conclusione quando, per disposizione
di legge (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2), i singoli dati ed
elementi risultanti dall’indagine bancaria debbono essere posti a base delle
rettifiche e degli accertamenti, “se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto
conto nelle dichiarazioni o che non si riferiscono ad operazioni imponibili” (tra
le altre, Cass. n. 27032/2007).
Con il secondo motivo di impugnazione (centrato sul vizio di omessa
motivazione) la Agenzia ricorrente si duole della modalità apodittica con la
quale il giudicante ha ritenuto di pervenire all’esclusione delle risultanze di
indagine sui conti correnti bancari intestati direttamente alla contribuente, in

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rispetto a quelli derivanti dalla gestione dell’attività imprenditoriale” (Cass. Sez.

considerazione di “copiosa documentazione” utile a comprovare che gli assegni
emessi e versati non riguardano la gestione dell’impresa individuale.
Anche questo motivo appare fondato e da accogliersi.
Con modalità adeguate al canone di autosufficienza l’Agenzia ricorrente ha
evidenziato a quali specifiche movimentazioni di conto corrente si sia fatto

considerato non condivisibili le giustificazioni rese dalla parte contribuente a
fronte di ciascuna singola movimentazione, e —purtuttavia- il giudicante ha
risolto tutti i contrasti di valutazione facendo riferimento a generica
“documentazione” di cui non ha ritenuto di dover precisare la consistenza e la
rilevanza.
Non può che ritenersi, perciò, fondata la censura di omessa motivazione, con la
inevitabile conseguenza dell’accoglimento del motivo.
Del pari fondato appare il terzo motivo di impugnazione (centrato sul vizio di
omessa motivazione della sentenza), con il quale la parte ricorrente lamenta la
omessa considerazione del fatto decisivo per cui il disconoscimento dei costi era
giustificato non già dal difetto di astratta inerenza all’attività agricola ma dal
rilievo che la Di Folco non poteva avere esercitato attività agricola (non avendo
fatto ricorso a manodopera esterna o a dipendenti e non avendo mai acquistato
prodotti per le esigenze connesse con siffatta attività), sicché i costi avrebbero
dovuto considerarsi semmai riferibili all’attività alla Di Folco in precedenza
intestata (siccome socia accomandataria della “Euroservice sas”) e poi
fittiziamente cessata nel maggio 2005, ma concretamente protrattasi anche
successivamente, ragione per la quale i costi fittiziamente attribuiti ad attività
diversa da quella per cui erano stati sostenuti non erano stati ritenuti “inerenti”.
Anche per detto motivo appaiono analiticamente descritte le circostanze di fatto
che ne costituiscono il sostrato, ed anche a questo proposito non può che
ritenersi apodittico ed ingiustificato l’argomento con il quale il giudice del
merito ha risolto le questioni poste dalle censure alla pronuncia di primo grado,
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riferimento ai fini della ripresa a tassazione e le ragioni per le quali ha

argomento che prescinde totalmente dall’esame del motivo di doglianza e si
conchiude nella pura e semplice riaffermazione dell’astratta pertinenza tra i costi
sostenuti e l’attività d’impresa asseritamente esercitata.
Pertanto, si ritiene che il ricorso —in riferimento ai motivi secondo, terzo e
quarto- possa essere deciso in camera di consiglio per manifesta fondatezza,

Roma, 30 marzo 2015

ritenuto inoltre:
che la relazione è stata notificata agli avvocati delle parti;
che non sono state depositate conclusioni scritte, né memorie;
che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide
i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va
accolto;
che le spese di lite posso essere regolate dal giudice del rinvio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo ed accoglie il secondo, terzo e quarto motivo di
ricorso. Cassa la decisione impugnata in relazione a quanto accolto e rinvia all
CTR Lazio che, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese di lite
del presente giudizio.
Così deciso in Roma il 4 febbraio 2016
Il Presid nte

nonché possa essere deciso per manifesta infondatezza del primo motivo.

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