Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4876 del 24/02/2020

Cassazione civile sez. lav., 24/02/2020, (ud. 12/11/2019, dep. 24/02/2020), n.4876

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DELLA BASILICATA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA

DEI PORTOGHESI n. 12;

– ricorrente principale –

contro

O.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BORGHESANO

LUCCHESE n. 24, presso lo studio dell’avvocato KATIA NOBILETTI,

rappresentato e difeso dall’avvocato VINCENZO SANTANGELO;

– controricorrente ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 244/2014 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 06/05/2014 R.G.N. 88/2012;

il P.M., ha depositato conclusioni scritte.

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte d’Appello di Potenza, in riforma della sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva respinto integralmente la domanda, ha accolto in parte il ricorso proposto da O.L. nei confronti dell’Università degli Studi della Basilicata e, riconosciuto il diritto dell’appellante ad essere inquadrato nella prima fascia del ruolo dirigenziale con decorrenza dal 2 ottobre 2002, ha condannato l’Amministrazione convenuta al pagamento delle differenze retributive maturate, quantificate in Euro 182.991,86, oltre agli interessi legali;

2. la Corte territoriale ha premesso in punto di fatto che l’appellante, dipendente dell’Università dal 1 maggio 1994 al 30 giugno 2007, aveva svolto per oltre cinque anni le funzioni di Direttore amministrativo ed aveva domandato l’inquadramento nella prima fascia, invocando il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 23, come modificato dalla L. n. 145 del 2002, art. 3, comma 4;

3. il giudice d’appello ha rilevato che la norma, nella sua versione originaria, prevedeva il passaggio solo in favore dei dirigenti che avessero ricoperto incarichi di direzione di uffici dirigenziali generali ai sensi dell’art. 19, comma 11, e quindi presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero degli Affari Esteri e le amministrazioni con competenza in materia di difesa, sicurezza dello Stato, polizia e giustizia;

4. con la riformulazione ad opera della L. n. 145 del 2002, art. 23, il beneficio è stato riconosciuto a tutti i dirigenti generali e non solo a quelli rientranti nell’ambito della categoria sopra indicata, alla quale il legislatore ha continuato a fare riferimento ai soli fini di individuare i dirigenti equivalenti a quelli generali;

5. il giudice d’appello ha però escluso che l’ O. potesse anche invocare il regime più favorevole introdotto dal D.L. n. 115 del 2005, che aveva ridotto da cinque a tre anni il periodo di permanenza nella seconda fascia, perchè alla data di entrata in vigore della nuova normativa il ricorrente aveva già maturato il quinquennio;

6. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’Università degli Studi della Basilicata sulla base di sei motivi, ai quali O.L. ha replicato con tempestivo controricorso, proponendo anche ricorso incidentale affidato a due censure ed ulteriormente illustrato da memoria;

7. il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto di entrambe le impugnazioni.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo la ricorrente principale denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1, comma 2, artt. 6,13,19 e 23 e rileva in sintesi che tutte le disposizioni del richiamato D.Lgs., inerenti la dirigenza si applicano alle sole amministrazioni dello Stato e pertanto non riguardano il rapporto dirigenziale che si instaura con le università le quali, ai sensi della L. n. 168 del 1989, nel rispetto dei principi di autonomia stabiliti dall’art. 33 Cost., sono disciplinate esclusivamente dalle norme legislative che ad esse si riferiscono, oltre che dai rispettivi statuti e regolamenti;

2. la seconda censura del ricorso principale addebita alla sentenza impugnata la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 27,L. n. 240 del 2010, art. 2 e della L. n. 168 del 1989, art. 6, perchè l’estensione alle amministrazioni diverse dallo Stato della disciplina dettata in tema di dirigenza pubblica statale riguarda solo i principi di cui all’art. 4 del D.Lgs. e cioè i limiti delle funzioni di indirizzo politico ed amministrativo, le attribuzioni dei dirigenti, le connesse responsabilità, la distinzione tra indirizzo e controllo da un lato e attuazione e gestione dall’altro;

2.1. deduce la ricorrente principale che solo con la L. n. 240 del 2010, il direttore amministrativo è stato sostituito dal direttore generale ed aggiunge che la sostituzione, giustificata dalla diversa organizzazione data agli Atenei, dimostra che nell’assetto precedente il direttore amministrativo non poteva essere equiparato al dirigente generale;

3. la terza critica, formulata sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, torna a denunciare la violazione della L. n. 240 del 2010, art. 2 e L. n. 168 del 1989, art. 6, oltre che “del D.M. 23 maggio 2001 e del D.M. 21 luglio 2001” i quali “ancorano ad una griglia particolare e specifica la graduazione della retribuzione dei direttori amministrativi delle università”;

4. con il quarto motivo la ricorrente principale si duole della violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 23 e 19 e degli artt. 12 e 14 disp. gen. e, oltre ad insistere sull’inapplicabilità dell’art. 23 alle istituzioni universitarie, addebita alla sentenza impugnata di avere erroneamente interpretato la norma che si riferisce ai soli dirigenti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero degli affari esteri nonchè alle amministrazioni che esercitano competenze in materia di difesa, sicurezza dello Stato, polizia e giustizia;

5. la violazione delle norme di legge sopra richiamate è denunciata anche con la quinta censura del ricorso principale con la quale l’Università torna a sostenere che la proposizione incidentale “in base ai particolari ordinamenti di cui all’art. 19”, tenuto conto del tenore letterale della disposizione, è riferibile all’intera locuzione “direttore di uffici dirigenziali generali o equivalenti”;

6. infine la sesta critica, erroneamente numerata, addebita al giudice d’appello di avere violato del D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 23 e 52, nonchè l’art. 97 Cost., estendendo il beneficio specifico, espressamente previsto da una norma di carattere speciale per particolari tipi di figure professionali, all’intera dirigenza;

7. il ricorrente incidentale si duole, con il primo motivo, della violazione e falsa applicazione del D.L. n. 115 del 2005, convertito in L. n. 168 del 2005, e sostiene, in sintesi, che le differenze retributive dovevano essere riconosciute a partire dal 1 gennaio 1999 perchè la modifica normativa doveva riguardare anche i dirigenti che avevano già maturato il quinquennio al fine di scongiurare ingiustificate discriminazioni “tra coloro che avevano dovuto aspettare cinque anni e coloro che all’improvviso hanno visto ridurre l’anzianità a tre anni”;

8. con la seconda censura O.L. assume che la Corte territoriale avrebbe violato il disposto dell’art. 91 c.p.c., nel compensare parzialmente le spese di entrambi gradi di giudizio nonchè quelle della consulenza tecnica d’ufficio senza motivare adeguatamente sulle ragioni della compensazione;

9. il ricorso principale, i cui motivi devono essere trattati unitariamente in considerazione della loro connessione logico-giuridica, è fondato, sia pure per ragioni parzialmente diverse da quelle sulle quali ha fatto leva l’Università ricorrente;

10. al riguardo si deve premettere che, attesa la funzione del giudizio di legittimità di garantire l’osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, nonchè sulla base della previsione di cui ai commi 2 e 4 c.p.c., è consentito alla Corte di cassazione, nell’esercizio del potere di qualificazione in diritto dei fatti, di ritenere fondata la questione, sollevata dal ricorso, per una ragione giuridica diversa da quella specificamente indicata dalla parte e individuata d’ufficio, con il solo limite che tale individuazione deve avvenire sulla base dei fatti per come accertati nelle fasi di merito ed esposti nel ricorso per cassazione e nella stessa sentenza impugnata, senza cioè che sia necessario l’esperimento di ulteriori indagini di fatto, e fermo restando che l’esercizio del potere di qualificazione non deve inoltre confliggere con il principio del monopolio della parte nell’esercizio della domanda e delle eccezioni in senso stretto (cfr. fra le tante Cass. n. 18775/2017, Cass. n. 11868/2016, Cass. n. 3437/2014);

11. il ricorso prospetta una lettura del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 27, non condivisibile, in quanto della norma deve essere fornita un’interpretazione che la renda coerente con la nuova formulazione dell’art. 117 Cost. e con i principi affermati dalla Corte Costituzionale, la quale da tempo ha evidenziato che la disciplina del rapporto di impiego pubblico, anche dirigenziale, rientra nella materia dell’ordinamento civile, riservata alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, al fine di garantire, nell’intero territorio nazionale e nel rispetto del principio di eguaglianza, l’uniformità della disciplina dettata per i rapporti interprivati (Corte Cost. sentenze n. 251 del 2016, n. 61 del 2014, n. 286 e n. 225 del 2013, n. 290 e n. 215 del 2012, n. 339 e n. 77 del 2011, n. 332 e n. 151 del 2010);

11.1. l’art. 27, pertanto, nella parte in cui prescrive alle regioni a statuto ordinario, agli enti pubblici non economici ed alle altre pubbliche amministrazioni diverse da quella statale di adeguare i propri ordinamenti ai principi fissati dal capo II del D.Lgs. n. 165 del 2001, è norma tesa a valorizzare l’autonomia organizzativa di detti enti, che però va esercitata, per ragioni di uniformità, nel rispetto dei principi generali dettati dal legislatore, ma detta norma non attribuisce il potere di intervenire sulla disciplina del rapporto di lavoro del dirigente, con la conseguenza che dall’ambito della disposizione citata vanno escluse le materie direttamente attinenti alla regolamentazione del contratto, prima fra tutte quella relativa al trattamento economico, rispetto alle quali nessun potere di adeguamento è riconosciuto alle amministrazioni diverse da quelle statali, perchè la disciplina dettata dal legislatore nazionale si impone ed ha diretta attuazione;

12. parimenti non è condivisibile l’esegesi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 23, comma 1, come modificato dalla L. n. 145 del 2002, art. 3, comma 4, sulla quale si incentrano il quarto, il quinto ed il sesto motivo di ricorso, perchè la disposizione si riferisce a tutti i dirigenti dello Stato e non solo a quelli assegnati alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, al Ministero degli Affari Esteri ed alle amministrazioni che esercitano competenze in materia di difesa e sicurezza;

12.1. la norma in commento, nella sua versione originaria, prevedeva al comma 1, l’istituzione del ruolo unico della dirigenza statale, articolato in due fasce, agli effetti del trattamento economico e, nei limiti fissati dall’art. 19, del conferimento degli incarichi di dirigenza generale;

12.2. il comma 3, rinviava a norme regolamentari la disciplina delle modalità di costituzione e tenuta del ruolo unico ed il comma 2, stabiliva che “alla prima fascia appartengono i dirigenti generali in servizio all’entrata in vigore del regolamento di cui al comma 3 e i dirigenti della seconda fascia che abbiano ricoperto incarichi di direzione di uffici dirigenziali generali ai sensi dell’art. 19 per un tempo pari ad almeno cinque anni, senza essere incorsi nelle misure previste dall’art. 21, comma 2, per le ipotesi di responsabilità dirigenziale”;

12.3. con la riforma del 2002 il legislatore, nel dettare disposizioni di riordino della dirigenza statale, ha previsto che il ruolo unico dovesse essere sostituito da singoli ruoli istituiti presso ogni amministrazione dello Stato, ma ha lasciato inalterata la distinzione fra prima e seconda fascia, stabilendo che “i dirigenti della seconda fascia transitano nella prima qualora abbiano ricoperto incarichi di direzione di uffici dirigenziali generali o equivalenti, in base ai particolari ordinamenti di cui all’art. 19, comma 11, per un periodo pari ad almeno cinque anni senza essere incorsi nelle misure previste dall’art. 21, per le ipotesi di responsabilità dirigenziale”;

12.4. la norma, come riformulata, va letta in combinato disposto con le disposizioni che la precedono, ed in particolare alla luce degli artt. 15, 16, 17 e 19, che, oltre a ribadire l’articolazione della dirigenza in due fasce, definiscono le funzioni dei dirigenti generali e non generali, e fissano i principi per il conferimento dei relativi incarichi, rispetto al quale rileva, seppure senza essere determinante, l’appartenenza alla fascia più elevata;

12.5. si tratta, cioè, di un insieme di disposizioni fondate sulla distinzione fra uffici dirigenziali generali ed uffici non generali, distinzione che rileva ai fini dell’individuazione delle rispettive competenze, dei poteri attribuiti ai dirigenti, delle modalità di conferimento degli incarichi, correlandosi anche alla fascia di appartenenza del dirigente, e ciò spiega perchè il legislatore abbia tenuto a precisare, dell’art. 19, comma 11, che “per la Presidenza del Consiglio dei ministri, per il Ministero degli affari esteri nonchè per le amministrazioni che esercitano competenze in materia di difesa e sicurezza dello Stato, di polizia e di giustizia, la ripartizione tra livelli differenziati differenti è demandata ai rispettivi ordinamenti”;

12.6. l’art. 23, nella riformulazione operata dalla L. n. 145 del 2002, si riferisce, pertanto, a tutti i dirigenti che abbiano ricoperto incarichi di direzione di uffici dirigenziali generali nonchè a quelli che, in relazione ai diversi ordinamenti di cui dell’art. 19, comma 11, abbiano svolto incarichi da ritenersi equivalenti ai primi, sulla base del diverso criterio di differenziazione fissato dalla disciplina di settore;

12.7. resta, però, fermo, ed è questo l’aspetto che la Corte ritiene decisivo ai fini dell’accoglimento del ricorso, che l’equivalenza opera solo a condizione che abbia una base normativa (Cass. n. 28276/2008 e Cass. n. 10320/2017) con la conseguenza che non è predicabile a fronte di incarichi diversi sia da quelli di direzione generale di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 16, sia da quelli equiparabili, ex art. 19, comma 11 dello stesso Decreto, sia, infine, da quelli che le amministrazioni non statali, nell’adeguarsi ai principi ispiratori della riforma e nell’esercizio del loro potere organizzativo, abbiano previsto come implicanti le competenze, i poteri e le responsabilità della dirigenza di livello generale e si iscrivano fra quelli disciplinati, sul piano contrattuale, dal D.Lgs. n. 165 del 2001;

12.8. ciò perchè l’organizzazione degli uffici, l’individuazione di quelli di maggiore rilevanza ed i modi di conferimento della titolarità dei medesimi sono riservati, sulla base dei principi generali dettati dalla legge, ad atti organizzativi di natura pubblicistica, sia normativa che amministrativa;

13. venendo alla questione qui controversa è da escludere, sulla base dei principi sopra enunciati, che l’incarico di direttore amministrativo dell’Università possa essere equiparato a quello di dirigente di ufficio dirigenziale generale ai fini dell’applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 23, perchè le norme speciali che allo stesso si riferiscono, richiamate dalla ricorrente nel terzo motivo di ricorso, escludono qualsiasi assimilazione agli incarichi di cui all’art. 19 del richiamato D.Lgs.;

13.1. la L. n. 127 del 1997, art. 17, comma 110, prevede che “il contratto di lavoro del direttore amministrativo, scelto tra dirigenti delle università, di altre amministrazioni pubbliche, ovvero anche fra estranei alle amministrazioni pubbliche, è a tempo determinato di durata superiore a cinque anni, rinnovabile” ed aggiunge che allo stesso si applica il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 3, comma 8, secondo cui per i pubblici dipendenti la nomina determina il collocamento in aspettativa senza assegni, ed il periodo di aspettativa è utile ai soli fini del trattamento di quiescenza e di previdenza e della conservazione dell’anzianità di servizio;

13.2. con la L. n. 370 del 1999, successivo art. 8, è stato precisato che “il rapporto di lavoro del direttore amministrativo delle università è di tipo subordinato, con trattamento economico determinato in conformità a criteri e parametri individuati con decreti del Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, di concerto con i Ministri del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e per la funzione pubblica”;

13.3. sulla base di detta disposizione il trattamento economico del direttore amministrativo è stato determinato dal decreto interministeriale 23.5.2001, pubblicato sulla G.U. del 15.9.2001 n. 215, che ha valorizzato parametri legati alle caratteristiche dell’Ateneo (corsi di studio attivati, numero di dipendenti e di studenti, presenza di strutture di eccellenza, F.F.O.) ed ha assunto solo come “base parametrale di partenza” la posizione di vertice di un dirigente del comparto Università;

13.4. va, poi, sottolineato che la L. n. 240 del 2010, non applicabile alla fattispecie ratione temporis, ha sostituito la figura del direttore amministrativo con quella del direttore generale, definendolo organo dell’Università, ed ha previsto: l’assunzione con contratto di lavoro a tempo determinato, espressamente qualificato di diritto privato; il collocamento in aspettativa senza assegni per i dipendenti pubblici; la determinazione del trattamento economico sulla base dei criteri fissati con decreto ministeriale;

13.5. si tratta, quindi, di una disciplina speciale rispetto a quella del lavoro dirigenziale, dal quale il rapporto che si instaura con il direttore amministrativo si differenzia, sia per le diverse modalità di costituzione che per gli aspetti economici, sottratti all’intervento della contrattazione collettiva, sicchè, per le medesime ragioni già evidenziate da Cass. n. 28276/2008 in una fattispecie nella quale veniva in rilievo l’incarico, egualmente speciale, di direttore dell’agenzia regionale dell’impiego, si deve escludere che lo svolgimento delle funzioni, comportante il collocamento in aspettativa del dirigente, possa essere poi da quest’ultimo fatto valere per rivendicare l’inquadramento nella prima fascia del ruolo dirigenziale;

13.6. sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso principale deve essere accolto, con conseguente assorbimento del ricorso incidentale, e, previa cassazione della sentenza impugnata, la causa deve essere decisa nel merito, ex art. 384 c.p.c., comma 2, con il rigetto della domanda;

14. la complessità e la novità della questione giuridica nonchè l’esito alterno dei gradi di merito giustificano l’integrale compensazione fra le parti delle spese dell’intero giudizio;

15. non sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, comma 2.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei termini indicati in motivazione, con assorbimento del ricorso incidentale e, decidendo nel merito, rigetta la domanda. Compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 18 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2020

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