Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4876 del 23/02/2021

Cassazione civile sez. VI, 23/02/2021, (ud. 10/11/2020, dep. 23/02/2021), n.4876

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27164-2019 proposto da:

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIUSEPPE

MAZZINI 145, presso lo studio dell’avvocato FABIO SANTORO,

rappresentato e difeso dall’avvocato SILVIA AMATI;

– ricorrente –

contro

ROMA UNION SECURITY SRL, in persona del legale rappresentate pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SISTINA 42, presso

lo studio dell’avvocato GIOVANNI GALOPPI, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3028/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 18/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. LUCIA

ESPOSITO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

La Corte d’appello di Roma, decidendo in sede di reclamo ex L. n. 92 del 2012, in riforma della sentenza resa in sede di opposizione della L. n. 92 del 2012, ex art. 1 comma 49, del 18/6/2018, dichiarava la legittimità del licenziamento intimato da da Roman Union Security s.r.l. a C.M., dipendente con mansioni di guardia particolare giurata, in relazione ai fatti contestati (l’aver svolto l’attività di DJ nelle ore serali del (OMISSIS), pur a seguito di attestazione di malattia relativa alla medesima giornata, durante la quale era stato assente dal lavoro, e l’aver svolto l’attività di DJ nelle ore serali del (OMISSIS) e fino alle 1,35 del giorno (OMISSIS), in cui avrebbe dovuto prestare servizio dalle ore 6 alle ore 14 ma aveva fruito di un permesso ex L. n. 104 del 1992, per prestare assistenza alla consorte invalida);

rilevava, tra l’altro, la Corte che l’attività di DJ era svolta dal C. in modo non occasionale, perchè impegnato tutti i venerdì e sabato in orari serali e notturni, sì da risultare tale attività incompatibile, per le descritte modalità, con le mansioni svolte spesso in turni in fascia oraria 6 – 14, in quanto pregiudicanti i requisiti soggettivi psico fisici richiesti per lo svolgimento di tali funzioni, con pericolo di danno all’incolumità propria e di terzi e per i beni sottoposti a vigilanza;

la Corte rilevava, inoltre, che il sintomo dichiarato in occasione dell’assenza del (OMISSIS) (vertigini), attestava uno stato di alterazione incompatibile con lo svolgimento di attività di DJ nella notte di Halloween (in presenza di giochi di luce, ambiente caotico, assenza di sonno, elevato volume, movimenti convulsi), tale da esporre il lavoratore ad aggravamenti, così ravvisandosi in capo allo stesso la violazione degli obblighi di correttezza e buona fede, oltre che degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, in ragione del verosimile pregiudizio che tale attività esterna reca alla guarigione, oltre a possibile ritardo al rientro in servizio;

per quanto riguarda il secondo episodio contestato, rilevava che il permesso era stato chiesto e utilizzato per garantire la programmata prestazione di DJ nelle prime ore del mattino e sottrarsi al turno che il lavoratore avrebbe dovuto sostenere poche ore dopo;

avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione C.M. sulla base di due motivi, illustrati con memoria;

la società ha resistito con controricorso;

la proposta del relatore è stata comunicata alle parti – unitamente al decreto di fissazione dell’udienza – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con il primo motivo il ricorrente deduce violazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, degli artt. 1175, 1176 e 2119 c.c., e della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, comma 4, rilevando che la Corte aveva erroneamente applicato i principi di diritto di cui alle indicate norme, ponendo a carico del lavoratore la prova diabolica della dimostrazione della compatibilità dell’attività svolta con il proprio momentaneo stato di malattia;

con il secondo motivo deduce, ex art. 360 c.p.c., n. 3, violazione del principio dell’immutabilità della contestazione disciplinare di cui allo Statuto dei Lavoratori, art. 7 e alla L. n. 604 del 1966, art. 2, nonchè dell’art. 2119 c.c. e art. 112 c.p.c., poichè la Corte territoriale era passata dall’addebito dell’abuso del permesso della L. n. 104 del 1992, ex art. 33, alla contestazione dell’abitualità di utilizzo strumentale dei permessi tutti i venerdì e sabato;

il primo motivo è infondato;

va rilevato, per un verso, che la Corte, nel rispetto del riparto dell’onere probatorio, utilizza il ragionamento presuntivo – del quale il ricorrente non deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’illogicità sotto il profilo motivazionale – traendone la sussistenza dell’illecito disciplinare;

per altro verso, si osserva che non è stata formulata specifica censura (non potendo la memoria ex art. 380 bis c.p.c., contenere nuove censure, ma solo illustrare quelle già proposte, ex multis Cass. n. 17893 del 27/08/2020) riguardo alla non compatibilità della malattia con l’attività svolta e al pregiudizio potenzialmente ad essa connesso in ragione della malattia dichiarata, valutato ex ante in conformità al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 10416 del 2017, Cass. n. 26496 del 19/10/2018: “Lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente, durante lo stato di malattia, configura la violazione degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà nonchè dei doveri generali di correttezza e buona fede, oltre che nell’ipotesi in cui tale attività esterna sia, di per sè, sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, anche nel caso in cui la medesima attività, valutata con giudizio “ex ante” in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione o il rientro in servizio. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la decisione di merito, la quale aveva ritenuto legittimo il licenziamento di un lavoratore – addetto al lavaggio di automezzi – che, nel periodo di malattia conseguente a “dolenzia alla spalla destra determinata da un lipoma”, aveva svolto presso un cantiere attività di sbancamento di terreno con mezzi meccanici e manuali”);

il secondo motivo è manifestamente infondato, perchè la Corte nella sentenza non ha mutato l’addebito contestato ma ha utilizzato gli altri elementi desumibili dall’istruttoria, quali la constatata frequenza dell’utilizzo di permessi in prossimità di giorni festivi, in quanto significativi, ai soli limitati fini della connotazione della condotta contestata, in funzione della valutazione della buona fede e correttezza del lavoratore;

in base alle svolte argomentazioni il ricorso va rigettato, con liquidazione delle spese secondo soccombenza, con distrazione in favore del difensore, dichiaratosi antistatario;

in considerazione della statuizione, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 3.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge, con distrazione in favore del procuratore anticipatario.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 10 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2021

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