Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4875 del 24/02/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 24/02/2017, (ud. 10/01/2017, dep.24/02/2017),  n. 4875

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 2957-2016 proposto da:

T.M.C., elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZA CAVOUR presso la CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato O.A. giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

R.A.; RA.Gi., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA FLAMINIA 441, presso lo studio dell’avvocato PAOLO MARINI,

rappresentati e difesi dall’avvocato ANTONINO LICCIARDELLO giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1030/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANIA del

15/06/2015, depositata il 10/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/01/2017 dal Consigliere Relatore Dott. AUGUSTO

TATANGELO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

T.M.C. agì in giudizio nei confronti di Ra.Gi. ed R.A. per ottenere la dichiarazione di nullità di un contratto di locazione già dichiarato risolto in suo danno per morosità, per essere l’immobile locato inidoneo alla destinazione pattuita, nonchè il rimborso di spese effettuate per la ristrutturazione dello stesso e il risarcimento dei danni.

La domanda fu rigettata dal Tribunale di Catania – sezione distaccata di Belpasso.

La Corte di Appello di Catania ha confermato la decisione di primo grado, con una correzione della motivazione.

Ricorre il T., sulla base di quattro motivi.

Resistono con controricorso la Ra. ed il R..

Il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375, 376 e 380-bis c.p.c., in quanto ritenuto destinato ad essere rigettato e/o dichiarato inammissibile.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso principale si denunzia che “la sentenza impugnata va cassata in quanto essa applica in maniera errata e difforme le norme di diritto con riferimento all’art. 360 c.p.c., commi 3 e 5; violazione e falsa applicazione degli artt. 295 e 421 c.p.c. con riferimento all’art. 34 Cost.; violazione e falsa applicazione dell’art. 134 c.p.c.”.

Il motivo è inammissibile per difetto di specificità, nella parte in cui ribadisce la tesi dell’invalidità degli atti istruttori compiuti in primo grado dal G.O.T. non assegnatario del fascicolo, tesi già motivatamente disattesa dal giudice di appello, il quale ha rilevato che l’eventuale inosservanza del principio di immutabilità del giudice istruttore costituisce mera irregolarità non determinante alcuna invalidità degli atti processuali o della sentenza (principio peraltro conforme alla giurisprudenza di questa Corte: cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 24370 del 16/11/2006, Rv. 593351; Sez. 3, Sentenza n. 2745 del 08/02/2007, Rv. 595794; Sez. 2, Sentenza n. 26327 del 14/12/2007, Rv. 601037; Sez. 3, Sentenza n. 7622 del 30/03/2010, Rv. 612236; Sez. 3, Sentenza n. 12912 del 24/07/2012, Rv. 623419).

Con la censura in esame il ricorrente non indica in alcun modo i motivi per i quali la pronunzia impugnata non sarebbe corretta sul punto, limitandosi a ribadire la mera enunciazione del contrario assunto.

Il motivo è altresì inammissibile, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, nella parte in cui lamenta l’illegittimità del provvedimento con il quale il suddetto G.O.T. ha deciso di chiudere l’istruttoria (in primo grado) senza sentire gli ulteriori testi indicati da parte attrice, dal momento che si tratta di una questione nuova, che il ricorrente non indica in quali atti ed in quale fase processuale sarebbe stata introdotta nel corso del giudizio di merito, e la cui proposizione quale specifico motivo di gravame non risulta comunque dalla sentenza impugnata.

2. Con il secondo motivo del ricorso si denunzia che “la sentenza impugnata va cassata in quanto essa applica in maniera errata e difforme le norme di diritto con riferimento all’art. 360 c.p.c., commi 3 e 5; violazione e falsa applicazione dell’art. 1341 c.c., comma 2, artt. 1366 e 1370 c.c.; violazione e falsa applicazione degli artt. 1575 e 1578 c.c.”.

Il motivo è inammissibile, per difetto di specificità.

Esso, infatti, non coglie la effettiva ragione della decisione in ordine alla questione del risarcimento dei danni per la pretesa inidoneità dell’immobile locato all’uso pattuito.

La corte di appello, escluso che sul punto la pronunzia di convalida dello sfratto per morosità potesse costituire giudicato, ha ritenuto che le caratteristiche dell’immobile locato, la sua idoneità alla destinazione pattuita e il suo perfetto stato locativo, fossero state conosciute ed accettate espressamente dal conduttore, e pertanto egli non avesse diritto ad alcun risarcimento.

La censura non attinge in alcun modo la suddetta ratio decidendi (ed è appena il caso di rilevare che la questione della validità e della specifica approvazione per iscritto di eventuali clausole vessatorie risulta avanzata per la prima volta in sede di legittimità, per quanto risulta dalla sentenza impugnata, senza che il ricorrente alleghi e/o dimostri il contrario).

3. Con il terzo motivo del ricorso principale si denunzia che “la sentenza impugnata va cassata in quanto essa applica in maniera errata e difforme le norme di diritto con riferimento all’art. 360 c.p.c., commi 3 e 5; violazione e falsa applicazione degli artt. 61 e 233 c.p.c.”.

Il motivo è inammissibile, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e comunque per difetto di specificità.

Ed infatti con esso si lamenta la mancata ammissione di una consulenza tecnica di ufficio della quale non è indicato l’oggetto e di un giuramento decisorio del quale non sono neanche trascritti i capitoli.

In ogni caso, la sentenza impugnata contiene adeguata motivazione in ordine all’inammissibilità dei suddetti mezzi istruttori, motivazione le cui ragioni non sono specificamente criticate dal ricorrente con la censura in oggetto.

4. Con il quarto motivo del ricorso principale si denunzia “la sentenza impugnata va cassata in quanto essa applica in maniera errata e difforme le norme di diritto con riferimento all’art. 360 c.p.c., commi 3 e 5; violazione e falsa applicazione degli artt. 2041 e 2042 c.c.”.

Anche questo motivo è inammissibile per difetto di specificità, ancor prima che infondato.

La corte di appello ha infatti dichiarato inammissibile per difetto di specificità il quarto motivo del gravame proposto dal T. avverso la sentenza di primo grado, avente ad oggetto proprio il capo della decisione con il quale era stata rigettata la sua domanda subordinata di ingiustificato arricchimento, e il motivo di ricorso in esame non censura in alcun modo tale ratio decidendi.

Nella pronunzia di primo grado, comunque, il punto in contestazione era stato deciso facendo corretta applicazione dei principi di diritto costantemente affermati da questa Corte in tema di sussidiarietà dell’azione di ingiustificato arricchimento, secondo cui “tale azione, stante il suo carattere sussidiario, deve ritenersi esclusa in ogni caso in cui il danneggiato, secondo una valutazione da compiersi in astratto, prescindendo quindi dalla previsione del suo esito, possa esercitare un’altra azione per farsi indennizzare il pregiudizio subito; ne consegue, sotto quest’ultimo profilo, che mentre l’azione di arricchimento può essere esercitata quando il giudice abbia dichiarato l’altra azione astrattamente improponibile, affermando così che la pretesa sostanziale è sfornita di una diversa tutela giuridica, essa non è invece ammissibile quando l’altra azione sia stata rigettata, ad esempio per avvenuta prescrizione o decadenza” (Cass., Sez. U, Sentenza n. 9531 del 04/11/1996, Rv. 500297; conf.: Sez. U, Sentenza n. 28042 del 25/11/2008, Rv. 606448; Sez. U, Sentenza n. 28042 del 25/11/2008, Rv. 606448; Sez. 3, Sentenza n. 17317 del 11/10/2012, Rv. 623829; Sez. L, Sentenza n. 25461 del 16/12/2010, Rv. 615626).

5. Il ricorso è rigettato.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti, liquidandole in complessivi Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2017

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