Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4875 del 23/02/2021

Cassazione civile sez. VI, 23/02/2021, (ud. 10/11/2020, dep. 23/02/2021), n.4875

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27016-2019 proposto da:

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA,

(OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

F.C., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

ALESSIO ARIOTTO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 411/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 03/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. LUCIA

ESPOSITO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

La Corte d’Appello di Torino, per quanto in questa sede interessa, in riforma della sentenza di primo grado, ha accolto la domanda avanzata da F.C., appartenente all’area del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario della scuola, nei confronti del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e Ricerca, volta al riconoscimento ai fini giuridici ed economici dell’anzianità dalla stessa maturata nel corso del servizio pre-ruolo svolto in costanza di lavoro a tempo determinato e delle relative differenze retributive;

la Corte territoriale rilevava che le disposizioni previste nel D.Lgs. n. 297 del 1994, contemplanti per il personale ATA stabilizzato il riconoscimento del servizio pre ruolo in misura parziale per il periodo successivo al primo triennio, collidevano con la clausola 4 dell’Accordo Quadro allegato alla Dir. n. 1999/70/CE, finalizzata a escludere ogni disparità di trattamento non obiettivamente giustificata nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, e ha disapplicato, pertanto, le norme di diritto interno;

per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, sulla base di un unico motivo;

F.C. ha resistito con controricorso;

la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata notificata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Il ricorrente denuncia, con un unico motivo formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e/o falsa applicazione della clausola 4 dell’accordo quadro allegato alla Dir. n. 1999/70/CE, e del D.Lgs. 16 aprile 1994, n. 297, artt. 569 e 570, sostenendo che ha errato il giudice di merito nell’applicare alla fattispecie i medesimi principi affermati da questa Corte in relazione alla differente questione della progressione stipendiale in corso di rapporto a termine;

osserva che la clausola Europea lascia un cospicuo margine di discrezionalità in capo agli Stati membri e consente espressamente deroghe per ragioni o motivazioni oggettive, che non è ravvisabile alcuna disparità di trattamento, poichè tutti i supplenti assunti ottengono la ricostruzione secondo i medesimi coefficienti e che la norma non poteva essere disapplicata dalla Corte d’appello, tanto più che l’Istituto della ricostruzione della carriera costituisce “un privilegio storico del personale scolastico”;

questa Corte (Cass. n. 31150 del 28/11/2019), chiamata a pronunciarsi sulla conformità al diritto dell’Unione della disciplina interna relativa alla ricostruzione della carriera del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA) della scuola, nei casi in cui l’immissione in ruolo sia stata preceduta da rapporti a termine, ha evidenziato alcune peculiarità della disciplina dettata per il personale non docente della scuola;

ha rilevato, in primo luogo, che al personale non docente della scuola non si applica la L. n. 124 del 1999, art. 11, comma 14, che, intervenendo sul testo dell’art. 489, ha previsto l’equiparazione all’anno scolastico intero del servizio di insegnamento “se ha avuto la durata di almeno 180 giorni oppure se il servizio sia stato prestato ininterrottamente dal 10 febbraio fino al termine delle operazioni di scrutinio finale” ed, invece, si applica un abbattimento che opera solo sulla quota eccedente i primi tre anni di anzianità, oggetto di riconoscimento integrale, con l’effetto di penalizzare i precari di lunga data, non già quelli che ottengano l’immissione in ruolo entro il limite massimo per il quale opera il principio della totale valorizzazione del servizio;

ha osservato che la norma, se poteva dirsi non priva di ragionevolezza in relazione ad un sistema di reclutamento (analizzato con la sentenza n. 22552/2016 e altre successive) che per il personale ATA della quarta qualifica funzionale prevedeva l’indizione annuale di concorsi per titoli su base provinciale e la formazione di graduatorie permanenti dalle quali attingere i nominativi dei destinatari della proposta di assunzione con definitiva immissione in ruolo, giustificandosi l’abbattimento oltre il primo triennio in relazione al criterio meritocratico (teso a consentire ai più meritevoli di ottenere la tempestiva immissione nei ruoli, attesa la prevista periodicità dei concorsi e dei provvedimenti di inquadramento definitivo nei ruoli dell’amministrazione scolastica), non ha trovato giustificazione in seguito, poichè, come è stato dato atto nelle plurime pronunce della Corte di Giustizia, della Corte Costituzionale e di questa Corte, le immissioni in ruolo non sono avvenute con la periodicità originariamente pensata dal legislatore e ciò ha determinato, quale conseguenza, che il personale “stabilizzato”, sia per effetto di interventi normativi che hanno previsto piani straordinari di reclutamento sia nel rispetto delle norme dettate dal T.U., si è trovato per lo più a vantare, al momento dell’immissione in ruolo, un’anzianità di servizio di gran lunga superiore a quella per la quale il riconoscimento opera in misura integrale, anzianità che è stata oggetto dell’abbattimento della cui conformità al diritto dell’Unione qui si discute;

ha evidenziato, quanto alla comparabilità degli assunti a tempo determinato con il personale stabilmente immesso nei ruoli dell’amministrazione, che non sussistono ragioni oggettive che sole potrebbero giustificare la disparità di trattamento, non potendosi fare leva sulla natura non di ruolo del rapporto di impiego, sulla novità di ogni singolo contratto rispetto al precedente, sulle modalità di reclutamento del personale e sulle esigenze che il sistema mira ad assicurare, perchè la giurisprudenza della Corte di Giustizia, richiamata anche nella sentenza 20.9.2018, Motter, è ferma nel ritenere che la giustificazione deve essere fondata su “elementi precisi e concreti che contraddistinguono la condizione di impiego di cui trattasi” e che “possono risultare segnatamente dalla particolare natura delle mansioni per l’espletamento delle quali sono stati conclusi contratti a tempo determinato… o, eventualmente da una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro”;

d’altra parte la totale sovrapponibilità delle mansioni espletate dagli assunti a tempo determinato e dai dipendenti stabilmente immessi nei ruoli emerge dalla disciplina dettata dalle parti collettive, perchè tutti i CCNL succedutisi nel tempo non hanno mai operato differenziazioni fra le due tipologie di rapporto quanto all’inquadramento dei lavoratori ed all’espletamento dei compiti propri dell’area, ossia delle “funzioni amministrative, contabili, gestionali, strumentali, operative e di sorveglianza connesse all’attività delle istituzioni scolastiche” (art. 49 CCNL 1995), tenuto anche conto che è lo stesso legislatore a smentire la tesi della non assimilabilità del servizio lì dove riconosce integralmente l’anzianità per i primi tre anni;

nella citata sentenza, quindi, questa Corte ha stabilito che, una volta esclusa la sussistenza di ragioni oggettive che possano giustificare la disparità di trattamento quanto alla valutazione dell’anzianità di servizio, correttamente la Corte territoriale ha disapplicato la norma di diritto interno che prevede l’abbattimento dell’anzianità riconoscibile dopo l’immissione in ruolo perchè la clausola 4 dell’accordo quadro ha effetto diretto ed i giudici nazionali, tenuti ad assicurare ai singoli la tutela giurisdizionale che deriva dalle norme del diritto dell’Unione ed a garantirne la piena efficacia, debbono disapplicare, ove risulti preclusa l’interpretazione conforme, qualsiasi contraria disposizione del diritto interno (Corte di Giustizia 8.11.2011, Rosado Santana punti da 49 a 56);

in via conclusiva il ricorso deve essere rigettato, perchè la sentenza impugnata è conforme al principio di diritto già enunciato da questa Corte nei termini che seguono: “Il D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 569, relativo al riconoscimento dei servizi preruolo del personale amministrativo tecnico ed ausiliario della scuola si pone in contrasto con la clausola 4 dell’Accordo Quadro CES, UNICE e CEEP allegato alla Dir. n. 1999/70/CE, nella parte in cui prevede che il servizio effettivo prestato, calcolato ai sensi del cit. decreto, art. 570, sia utile integralmente a fini giuridici ed economici solo limitatamente al primo triennio e per la quota residua rilevi a fini economici nei limiti dei due terzi. Il giudice, una volta accertata la violazione della richiamata clausola 4, è tenuto a disapplicare la norma di diritto interno in contrasto con la direttiva ed a riconoscere ad ogni effetto al lavoratore a termine, poi immesso nei ruoli dell’amministrazione, l’intero servizio effettivo prestato”;

la soluzione della questione in tempi recenti da parte della giurisprudenza di legittimità giustifica la compensazione delle spese di giudizio;

non sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, perchè la norma non può trovare applicazione nei confronti di quelle parti che, come le Amministrazioni dello Stato, mediante il meccanismo della prenotazione a debito siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo (Cass. S.U. n. 9938/2014; Cass. n. 1778/2016; Cass. n. 28250/2017).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Spese compensate.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2021

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