Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4874 del 28/02/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 4874 Anno 2014
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: D’ASCOLA PASQUALE

SENTENZA

sul ricorso 7493-2008 proposto da:
DITTA ELETTRONICA S. MARCO di DE SANTIS MATTEO, p.iva
02314820651, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
CARLO MIRABELLO 25, presso lo studio dell’avvocato
PRUNAS FRANCESCO, rappresentata e difesa dall’avvocato
MONTERA AMERICO;
– ricorrente –

2013
contro

2519

ANASTASIO MATILDE,

DE CHIARA GENNARO, DE CHIARA

ANTONIO;
– intimati –

Data pubblicazione: 28/02/2014

avverso la sentenza n. 486/2007 della CORTE D’APPELLO
di SALERNO, depositata il 06/09/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 03/12/2013 dal Consigliere Dott. PASQUALE
D’ASCOLA;
con delega
l’Avvocato AMERCQ MeNTERA,
nok~A
A
della
difensore
EsiPte~ny- PRUNAS
dell’Avvocato
ricorrente, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FRANCESCA CERONI che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

udito

Svolgimento del processo
l) Nel 1994 la «Ditta Elettronica San Marco di De Santis
Matteo», con sede in Mercato San Severino, domandò al tribunale
di Salerno la condanna di Anastasio Matilde, De Chiara Gennaro e
Antonio al pagamento di circa 37 milioni quale corrispettivo della

sostenne che ne erano stati pagati solo 4 di acconto sulla fattura
n. 14, di 5.950.000 lire.
I convenuti resistettero sostenendo di aver appaltato i lavori ad
altra impresa cumulativamente e non all’elettricista.
Il Tribunale accolse la domanda; ritenne i lavori usufruiti ed
effettivamente eseguiti, non ritrovando negli stati di avanzamento
la prova del pagamento fatto al Sisolfi, appaltatore principale,
per la voce impianto elettrico.
La Corte di Appello di Salerno con sentenza 6 settembre 2007
accolse le doglianze dei convenuti e rigettò la domanda.
La ditta attrice ha proposto ricorso per cassazione articolato in
due motivi.
I signori Anastasio-De Chiara sono rimasti intimati.
Motivi della decisione
2) Il ricorso è soggetto

ratione temporis

(Cass 7119/10) alla

disciplina di cui all’art. 366 bis c.p.c.
Con il primo motivo parte ricorrente denuncia “errore e falsa
applicazione ex art 360 n. 3 c.p.c. dell’art. 1362 c.c.”
La censura si conclude con quesito di diritto del seguente tenore:
“Dica la Suprema Corte se è legittimo e conforme all’ordinamento
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realizzazione di un impianto elettrico in una loro abitazione e

in essere interpretare un contratto senza considerare il
comportamento delle parti durante l’esecuzione delle prestazioni
che ne costituiscono l’oggetto”.
Trattasi di quesito inammissibile, perché – senza alcun aggancio
concreto alla fattispecie – tautologicamente invoca una

nella parte in cui stabilisce che per determinare la comune
intenzione delle parti occorre valutare il comportamento
complessivo di esse.
Il quesito di diritto deve essere invece conferente rispetto alla
fattispecie dedotta in giudizio e rilevante per la decisione della
controversia (Cass. 80/11) e non può risolversi in una generica
istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge
denunziata nel motivo (SU 21672/13); deve costituire una sintesi
logico-giuridica della questione (Cass. 7197/09), cosi’ da
consentire al giudice di legittimita’ di enunciare una
luris”

“regula

suscettibile di ricevere applicazione anche in casi

ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata.
Di ciò nel caso in esame non vi è traccia.
La doglianza esposta si sostanzia nella censura di un vizio di
motivazione ed è congiunta e sovrapponibile in buona parte con
quella esposta nel secondo motivo.
3) In esso la ditta San Marco critica la sentenza impugnata per
avere negato la sussistenza del rapporto contrattuale con i
convenuti senza considerare: a) che i lavori eseguiti dalla essa
risultano maggiori rispetto a quelli elencati nel contratto di
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disposizione del codice civile, il secondo comma dell’art. 1362

appalto; b) “la committenza dei lavori relativi all’impianto
elettrico”, che sarebbe stata fornita con il deposito agli atti di
una fattura emessa dall’attrice e intestata ad Antonio De Chiara e
con il deposito di fatture di acquisto di materiale elettrico da
parte della ditta attrice.

Va detto in primo luogo che essa costituisce inammissibilmente una
richiesta di riesame degli apprezzamenti di merito espressi dal
giudice di appello.
Le risultanze che si assumono malvalutate non hanno portata
decisiva tale da giustificare la cassazione della decisione.
Essa è fondata infatti su una complessiva valutazione degli
elementi addotti dalle parti, che ha condotto i giudici di appello
a riconoscere che l’esecuzione degli impianti elettrici era
ricompresa nell’appalto affidato dai convenuti alla ditta Sisolfi
e non alla ditta San Marco, intervenuta sul cantiere, come
sostenuto dai De Chiara, non perché da essi incaricata, ma in
forza, evidentemente, di accordi con l’appaltatore del restauro
dell’immobile.
In particolare la Corte d’appello, correggendo un vistoso errore
del giudice di primo grado, ha rilevato che negli stati di
avanzamento presentati dal Sisolfi era previsto e rendicontato
l’inizio di lavori impianto elettrico (s.a.1 5), il pagamento di
importi per 11 milioni di lire e il credito di altri 15 (s.a.l. 8
e 9), imputati a una serie completa, puntualmente specificata, di
opere di natura elettrica.
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La censura è priva di fondamento.

Ha ritenuto – e la valutazione è logica e congrua – che tale
documentazione costituiva già di per sé prova dell’affidamento e
del pagamento dei lavori a Sisolfi, “escludendosi così la stipula
di un autonomo contratto con l’appellata”.
Ha aggiunto, indicando altre circostanze valutate a favore degli

la committente aveva sollecitato il completamento dell’impianto
rivolgendosi per iscritto all’appaltatore Sisolfi e non
all’impiantista San Marco e ha rilevato la circostanza che anche
la ditta del De Santis nel febbraio 1994 aveva abbandonato il
cantiere, insieme all’impresa Sisolfi esecutrice dei lavori.
Trattasi di circostanze, soprattutto la seconda, di grande
rilievo, giacché emerge un comportamento dell’attrice gregario
rispetto a quello dell’impresa appaltatrice, nonché la
consapevolezza dei committenti di non potere conseguire nemmeno
una parziale ripresa e completamento dell’impianto, che in
astratto avrebbe potuto essere isolato dal resto dei lavori. Se
ciò fosse stato possibile grazie a un preesistente autonomo
contratto, i committenti si sarebbero infatti senz’altro
direttamente rivolti al De Santis.
3.1)Va detto ancora che ulteriore riscontro è stato individuato
dai giudici di appello nelle testimonianze acquisite che, senza
poter dire nulla di determinante circa l’effettività dei lavori,m
hanno ammesso “una contiguità tra l’impresa elettrica e
l’appaltatore”

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intimati, che perfino nel maggio 1994 (i lavori risalgono al 1993)

Ora, a fronte di così ricca e argomentata motivazione, è
inconsistente la portata delle ipotesi congetturali fondate sui
fatti di cui ai punti a) e b) sopra riportati.
Il fatto che i lavori eseguiti fossero maggiori di quelli
inizialmente pattuiti con Sisolfi è insignificante ai fini di

da sostituire gli accordi con Sisolfi, che è il vero tema del
decidere. E’infatti normale che, nei contratti di appalto relativi
ad immobili, in corso d’opera vengano commissionate opere
inizialmente non previste, ma ciò, salvo specifica prova
contraria, avviene in ampliamento del contratto di appalto
esistente e non con stralciando le opere dall’appalto per
affidarle a un terzo.
Né rileva, a fronte di contratto scritto e delle altre risultanze
illustrate, che esecutivamente siano intercorsi colloqui diretti
(ricorso pag.8) tra i committenti e l’impresa elettrica. I primi
devono infatti assumere contatti anche con chi dall’appaltatore è
materialmente incaricato dell’opera, per economicità di rapporti e
sicurezza nella fedele esecuzione.
Del tutto speciose sono quindi, in sede di legittimità, le
questioni su quali e quanti materiali siano stati materialmente
procurati dai committenti o da Sisolfi o da San Marco.
Quest’ultima, posto che l’appalto anche elettrico era stato
affidato a Sisolfi e che con essa aveva rappoorti, poteva e
doveva, agli occhi dei committenti, svolgere anche l’opera di

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stabilire se esistesse un autonomo contratto con De Santis, tale

procacciamento dei materiali non in forza di contratto autonomo,
ma in virtù degli accordi con l’appaltatore.
3.2) Anche l’emissione nel dicembre 1993 di una fattura diretta da
San Marco a De Chiara non costituisce prova di nuovi e diversi
accordi, come ha ritenuto la Corte di appello.

parte attrice afferma di aver ricevuto non risulta mai quietanzato
e che non risulta prova neppure dell’inoltro della fattura al De
Chiara.
Solo quest’ultima circostanza è contestata in ricorso, ove si fa
notare che in sede di libero interrogatorio il De Chiara ammise di
conoscere la fattura.
Con ogni evidenza si tratta di contestazione priva di qualsiasi
portata probatoria, giacche conoscere l’esistenza di una fattura
non significa né ammettere di averla ritualmente ricevuta quale
atto esecutivo di un contratto sempre negato. Né l’emissione della
fattura vale a provare l’avvenuto pagamento diretto di una
consistente parte essa (4milioni su circa 6), affermato dagli
attori senza neppure aver emesso la relativa quietanza parziale,
omissione ben più significativa, opportunamente valorizzata dalla
Corte di appello.
E’ l’insieme del ricorso, che ruota tutto intorno a ipotesi,
suggestioni e circostanze secondarie e non decisive a rivelare
quindi l’inconsistenza della critica alla puntuale sentenza della
Corte campana, che ha selezionato, come era in suo potere, le
circostanze rilevanti e determinanti, giungendo a conclusione che
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Quest’ultima ha osservato che il preteso acconto di 4 milioni che

merita piena conferma, non essendo scalfita dalle valutazioni
contrarie proposte dalla ricorrente.
Il ricorso è rigettato.
Nulla per le spese, in mancanza di costituzione degli intimati.
PQM

Così deciso in Roma nella Camera di consiglio della 2^ sezione
civile tenuta il 3 dicembre 2013
Il Consigliere est.

Il Presidente

La Corte rigetta il ricorso.

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