Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4874 del 11/03/2016


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 4874 Anno 2016
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: ARIENZO ROSA

SENTENZA
sul ricorso 21342-2014 proposto da:
AZIENDA SANITARIA LOCALE CA , RTA, in persona del
Direttore Generale, elettivamente domic liata in ROMA, VIA
POMPEO MAGNO 7, presso lo studio d n’avvocato VINCENZA
DI MARTINO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato
ANTONIO VALLEBONA giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente contro
CARLUCCI LUIGI, CHIRICO GABRIELLA, PERROTIA
PASQUALINA, CAMMUSO GIUSEPPE, elettivamente domiciliati
in ROMA, VIA GABI 24, presso lo studio dell’av-vocato GREZZI

Data pubblicazione: 11/03/2016

LUCIO, rappresentati e difesi dagli avvocati ANDREA FERRARE),
VINCENZO MIRRA, PAOLO GALLUCCIO giusta procura a
margine del controricorso;

contradcorrenti –

NAPOLI del 23/01/2014, depositata il 04/03/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
10/02/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ROSA ARIENZO;
udito l’Avvocato Antonio Vallebona Antonio difensore della ricorrente
che si riporta agli scritti;
udito l’Avvocato Vincenzo Mirra difensore dei controricorrenti che si
riporta agli scritti.
FATTO
Con l’impugnata sentenza, la Corte di appello di Napoli rigettava il
gravame proposto dall’ASL di Caserta avverso la decisione del Tribunale
di S. Maria C.V. che, in accoglimento della domanda proposta dagli
attuali controricorrenti, aveva accertato il diritto di questi ultimi a percepire
la retribuzione per il lavoro straordinario prestato, su imposizione
datoriale, nella misura di 15 minuti per giorno lavorativo nel periodo
indicato in ricorso, condannando l’Azienda al pagamento della relativa
somma da liquidarsi in separato giudizio.
La Corte territoriale rilevava che l’eccezione di nullità del ricorso
introduttivo del giudizio era stata correttamente disattesa dal primo
giudice in quanto la domanda proposta al Tribunale (di accertare che il
prolungamento dell’orario lavorativo di 15 minuti preteso dall’azienda per
ogni giornata in cui veniva erogato un buono pasto e per il periodo
indicato integrava lavoro straordinario) configurava un’azione di
accertamento in cui erano stati allegati tutti gli elementi essenziali
costituiti: – dalla indicazione delle fonti contrattuali collettive che
regolamentavano l’istituto della mensa (art. 29 c.c.n.l. Comparto Sanità

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avverso la sentenza n. 621/2014 della CORTE D’APPELLO di

del 20/9/2001); – dalla circostanze di fatto che il dipendente si era visto
prolungare l’orario lavorativo in relazione alle giornate di effettiva
percezione dei buoni pasto; – dalle numerose disposizioni aziendali
sull’argomento. Precisava, altresì, la Corte che la specificazione delle
concrete unità temporali in cui erano state rese le prestazioni di lavoro

configurare la domanda di accertamento ma al solo fine di formulare
domanda di condanna determinata al pagamento delle differenze
retributive per il lavoro straordinario reso. Nel merito osservava che
correttamente il primo giudice aveva rilevato la insussistenza dei
presupposti per la pretesa da parte dell’azienda nei confronti dei
lavoratori del recupero giornaliero di 15 minuti di orario lavorativo come
contropartita per la fruizione dei buoni pasto ai medesimi corrisposti in
sostituzione del soppresso servizio di mensa aziendale in quanto: – non
erano stati predisposti turni di sospensione dell’orario lavorativo necessari
per il consumo del pasto nonostante l’azienda fosse a ciò obbligata dal
disposto dell’art. 29 del c.c.n.l. citato; – la conseguente mancata
interruzione dell’attività lavorativa faceva sì che il recupero di 15 minuti
imposto altro non era se non una indebita imposizione di lavoro
straordinario. Evidenziava, quindi, la Corte: – che con l’Accordo integrativo
del 13/12/1996 le 00.SS. e la direzione generale dell’azienda avevano
regolato l’esercizio del diritto al pasto dei dipendenti stabilendo che il
pasto andava consumato fuori dall’orario lavorativo; – che detto Accordo
era stato trasfuso nella nota n. 820 del 17/2/1997 in cui era previsto un
prolungamento dell’orario di uscita dal servizio di 30 minuti
(successivamente ridotto a 15 minuti) nell’arco della stessa giornata di
consumo del pasto da attuarsi previa la predisposizione di un sistema di
turnazione da parte delle direzioni delle strutture sanitarie e dei servizi
atto ad evitare la interruzione delle attività assistenziali; – che con le
circolari in data 27/1/1999 e 20/9/2000 il Direttore generale dell’ASL
ricorrente aveva disposto che l’orario di uscita dei dipendenti era
posticipato alle 15.15 per il recupero di 15 minuti al fine della fruizione del
ticket giornaliero; – che la mancata attuazione del sistema delle turnazioni
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eccedente l’orario ordinario non assumeva valore essenziale nel

(circostanza questa da ritenere provata oltre che dalla difesa spiegata
dall’azienda, soprattutto dalla documentazione prodotta dalla quale era
emerso che non erano stati mai stabiliti i turni per la consumazione dei
pasti secondo le esigenze di servizio di ciascun presidio) escludeva la
possibilità di effettive pause per la fruizione dei buoni pasto e, dunque,

minuti dell’orario ordinario di lavoro, visto che non vi era nessuna pausa
da recuperare e, quindi, i buoni pasto erano spendibili solo fuori del detto
orario lavorativo. La Corte di Appello sottolineava che non poteva
sussistere un rapporto di corrispettività contrattuale tra concessione di
buoni pasto fruibili solo fuori dell’orario di lavoro (senza alcuna incidenza
sulla continuità temporale della prestazione lavorativa per le ragioni
esposte) ed il preteso recupero dell’orario di lavoro attraverso il
prolungamento dello stesso in misura di 15 minuti al giorno.
Per la cassazione di tale decisione propone ricorso l’ASL Caserta
affidato a due motivi.
Resistono, con controricorso, i lavoratori.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 cod.
proc. civ..

DIRITTO
1. Con il primo motivo di ricorso viene denunziata violazione e falsa
applicazione degli artt. 99, 100 e 414 cod. proc. civ. in relazione all’art.
360, n. 4, cod. proc. civ., per avere la Corte del merito erroneamente
affermato l’interesse ad agire in accertamento dell’asserito diritto alla
retribuzione di prestazioni aggiuntive senza “la specificazione delle
concrete unità temporali in cui sono state rese le prestazioni di lavoro
eccedente” considerando tale specificazione come priva di “valore
essenziale”. Si sostiene che l’azione in giudizio è data solo per accertare
diritti soggettivi e non per chiedere parere al giudice su situazioni astratte
ed ipotetiche e che o era carente l’interesse ad agire, essendo richiesto
non l’accertamento di diritti soggettivi ma un mero parere sulla
qualificazione di un’ipotesi, o il ricorso era da ritenere nullo per omessa

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non poteva trovare giustificazione alcuna il preteso prolungamento di 15

deduzione dei concreti specifici fatti costitutivi del diritto al compenso
dell’asserito lavoro straordinario.
2. Con il secondo motivo viene dedotta violazione e falsa
applicazione degli artt. 2108 e 2697 cod. civ. e degli arti. 4 e 5 d.lgs. n.
66/2003, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per asserita

lavoro straordinario grava sul lavoratore. Osserva la ricorrente che la
domanda si fondava su un’asserita mancata effettuazione della pausa
che avrebbe determinato, insieme al recupero che la presupponeva, un
lavoro straordinario pari al tempo della pausa non effettuata, essendo
pacifica l’effettuazione del recupero, e che in tale situazione l’onere di
deduzione e prova della mancata effettuazione della pausa dovuta,
avendola lavorata in ciascun giorno dei numerosi anni oggetto di causa,
gravava sui lavoratori ricorrenti. Richiama, in proposito, la costante
giurisprudenza di questa Corte in materia di indennità per ferie non
godute secondo cui il riconoscimento di detta indennità è condizionato
all’onere di deduzione e prova del lavoro svolto nell’intero anno e quindi
del mancato godimento della pausa feriale.
3. Il primo motivo è infondato.
Vale ricordare che l’interesse ad agire con un’azione di mero
accertamento non implica necessariamente l’attuale verificarsi della
lesione di un diritto o una contestazione, essendo sufficiente uno stato di
incertezza oggettiva sull’esistenza di un rapporto giuridico o sulla esatta
portata dei diritti e degli obblighi da esso scaturenti, non superabile se
non con l’intervento del giudice (cfr. Cass. n. 13556 del 26 maggio 2008;
Cass. n. 17026 del 26 luglio 2006).
La sezione lavoro di questa Corte ha ulteriormente precisato che
detto stato di incertezza oggettiva può anche non essere preesistente
rispetto al processo con la conseguenza che in materia di lavoro
subordinato, l’azione di accertamento può riguardare l’esatta
determinazione dei compensi spettanti, anche laddove non siano ancora
maturati i presupposti di fatto di tutte le voci della retribuzione ed il

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violazione del principio per cui l’onere di deduzione e prova dell’asserito

lavoratore non chieda alcuna condanna a carico del datore di lavoro (cfr.
Cass. n. 4496 del 21 febbraio 2008).
E’ stata pure ribadita la ammissibilità, anche nel rito del lavoro, di una
sentenza di condanna generica (non limitata alle ipotesi di sentenza non
definitiva con rinvio della liquidazione del “quantum” alla prosecuzione del

all’accertamento deran”, con conseguente pronuncia di condanna
generica, che definisce il giudizio, e connesso onere della parte
interessata di introdurre un autonomo giudizio per la liquidazione del

“quantum” (si vedano Cass. n. 4587 del 26 febbraio 2014; Cass. n. 8576
del 5 maggio 2004).
Orbene, proprio alla luce dei riportati principi è evidente la ricorrenza
di un interesse ad agire degli originari ricorrenti i quali, stante lo stato di
incertezza oggettiva sulla esatta portata dei diritti e degli obblighi da
scaturenti dal rapporto di lavoro con la ASL di Caserta e relativo alla
qualificazione o meno di “lavoro straordinario” del prolungamento
dell’orario ordinario di lavoro di 15 minuti preteso dall’azienda nel periodo
precisato in ricorso, hanno chiesto l’intervento del giudice per superarlo.
Peraltro, risulta evidente che nel caso in esame non è stato chiesto
l’accertamento dell’infondatezza di una pretesa avanzata nei confronti
della dipendente da parte dell’ASL, bensì il positivo accertamento che il
prolungamento dell’orario lavorativo già verificatosi (per quanto appresso
si dirà) era da qualificarsi come “lavoro straordinario”, in vista dell’utile
risultato di poter richiedere, in un separato giudizio di quantificazione, la
condanna al pagamento di differenze retributive calcolate in relazione ai
giorni in cui effettivamente detto prolungamento dell’orario lavorativo
sarebbe stato rigorosamente provato.
Da quanto esposto discende la correttezza dell’affermazione della
Corte di merito laddove chiarisce che la domanda proposta non era
affetta da nullità essendo stati idoneamente allegati i fatti rilevanti e le
fonti regolatrici del rapporto obbligatorio dedotto in causa e che la
specificazione delle concrete unità temporali in cui erano state rese le

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giudizio), ben potendo la domanda essere limitata fin dall’inizio

prestazioni di lavoro eccedenti l’orario ordinario non assumeva valore
essenziale nel configurare la domanda di accertamento.
Che la parte, attraverso l’indicazione delle circostanze di fatto rilevanti
e delle fonti regolatrici del rapporto obbligatorio dedotto in causa nei
termini sopra specificati, avesse correttamente prospettato l’esigenza di

senza l’intervento del giudice, era emerso, del resto, dalla stessa
posizione difensiva della società che, come si evince anche dalla
sentenza impugnata, era stata non solo “piena” in rapporto alle deduzioni
attoree ma decisamente finalizzata a contrastare, con l’offerta
ricostruzione delle condotte aziendali e sindacali realizzatesi nel corso del
tempo, la riferita eliminazione di una pausa mensa e contestuale
imposizione di un recupero giornaliero non retribuito.
4. Del pari infondato è il secondo motivo.
Nello storico di lite sono stati riportati i passaggi logici percorsi dalla
Corte di merito per giungere a ritenere che il prolungamento dell’orario
lavorativo preteso dall’ASL in concomitanza dell’erogazione dei buoni
pasto non andava a compensare alcuna pausa effettuata per fruire dei
detti buoni. Ed infatti, il giudice del gravame, una volta acclarato che l’ASL
non aveva provveduto a stabilire dei turni per consentire la fruizione dei
buoni pasto stante la necessità di garantire la continuità assistenziale ha
ritenuto provata la mancata effettuazione della pausa.
Peraltro, nella impugnata sentenza è stato anche sottolineato come
la difesa della ASL non aveva negato la mancata predisposizione di turni
ma aveva dedotto che, comunque, la dipendente aveva speso i “tickets
restaurant” assegnatile mensilmente e che non poteva sussistere un

rapporto di corrispettività contrattuale tra la concessione di buoni pasto
fruibili solo fuori dell’orario di lavoro, senza alcuna incidenza sulla
continuità temporale della prestazione lavorativa quotidiana, ed il preteso
recupero dell’orario di lavoro attraverso il prolungamento dello stesso in
misura di 15 minuti.
In effetti l’ASL, non negando di aver preteso il prolungamento
dell’orario di lavoro ordinario (circostanza risultante documentalmente),
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ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile

ha dedotto che lo stesso era in rapporto di corrispettività con la fruizione
dei buoni pasto ed integrava un recupero della pausa attuata dai
dipendenti per consumare il buono pasto. In siffatta situazione
correttamente il giudice del merito ha ritenuto che dalla mancata
predisposizione dei turni si potesse desumere la insussistenza di pause

presupposto per il preteso loro recupero attraverso il prolungamento
dell’orario lavorativo.
Ciò invero non confligge con il principio dell’onere della prova posto
che, desunta la prestazione ininterrotta dagli indicati elementi (erogazione
dei buoni pasto utilizzabili solo al di fuori dell’orario di lavoro; mancata
predisposizione dei turni per usufruire del servizio mensa sostitutivo pur in
presenza di un obbligo contrattuale in tal senso, in un contesto di
continuità assistenziale) non poteva che essere a carico dell’Azienda la
prova contraria.
Nessun rilievo, infine, possono avere in questa sede le metagiuridiche
considerazioni in merito alla compatibilità di una pausa di 15 minuti
pranzo con la continuità assistenziale.
5. Alla luce di quanto esposto il ricorso va, dunque, rigettato.
6. Quanto alla domanda ex art. 96 cod. proc. civ. formulata dalla
difesa dei controricorrenti, questa Corte osserva che la condanna per
lite temeraria può essere pronunciata solo se la parte ha agito o resistito
con mala fede o colpa grave. Con riguardo al giudizio di cassazione ai
fini della responsabilità aggravata ex art. 96 cod. proc. civ., l’istanza di
condanna deve essere formulata con una prospettazione della
temerarietà della lite riferita a tutti i motivi del ricorso, essendo altrimenti
impedito alla Corte l’accertamento complessivo della soccombenza
dolosa o gravemente colposa, la quale deve valutarsi riguardo all’esito
globale della controversia e, quindi, rispetto al ricorso nella sua
interezza (cfr. Cass. n. 21805 del 5 dicembre 2012; Cass. n. 20914
dell’I 1 ottobre 2011); inoltre il ricorso può considerarsi temerario solo
allorquando, oltre ad essere erroneo in diritto, sia tale da palesare la
consapevolezza della non spettanza del diritto fatto valere, o evidenzi
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durante l’orario lavorativo ordinario destinate al consumo dei pasti

un grado di imprudenza, imperizia o negligenza accentuatamente
anormali (Cass. 2 giugno 1995, n. 6190; conf. Cass. 26 giugno 2007, n.
14789).
Applicando i detti principi al caso di specie si osserva che la
domanda di condanna per lite temeraria, oltre a non essere stata

come sopra precisato, di tipo processuale) è avulsa dal presupposto
imprescindibile (prova dell’altrui malafede ovvero di un grado di
imprudenza, imperizia o negligenza nell’agire in giudizio
accentuatamente anormale, ciò sempre con riferimento a tutti i motivi di
ricorso), oltre che ingiustificata, per la mancanza di allegazione e prova
di un danno subito a causa della condotta temeraria della controparte,
diverso ed ulteriore rispetto alla necessità di doversi difendere in
giudizio (risultando, a tal fine, del tutto inidoneo il richiamo a principi
affermati con riguardo alla legge n. 89/2001).
L’istanza ex art. 96 cod. proc. civ., pertanto, non può essere accolta.
7. Per il principio della soccombenza le spese del presente giudizio
sono poste a carico della ricorrente e vengono liquidate come da
dispositivo con attribuzione in favore degli avv. Vincenzo Mirra, Paolo
Ferraro e Antonio Galluccio per dichiarato anticipo fattone.
8. lI ricorso è stato notificato in data successiva a quella (31/1/2013)
di entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (art. 1, comma 17
della legge 24 dicembre 2012, n. 228 del 2012), che ha integrato l’art. 13
del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, aggiungendovi il comma 1 quater del
seguente tenore: “Quando l’impugnazione, anche incidentale è respinta
integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che
l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o
incidentale, a norma art. 1 bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della
sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di
pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”.
Essendo il ricorso in questione integralmente da respingersi, deve
provvedersi in conformità.
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prospettata con riferimento a tutti i motivi di ricorso (il primo dei quali è,

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle
spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 100,00 per
esborsi ed euro 2.000,00 per compensi professionali, oltre accessori
come per legge, nonché al rimborso delle spese generali in misura del

Galluccio
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della
ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, il 10.2.2016.

15%, con attribuzione ai difensori antistatari, avv.ti Mirra, Ferraro e

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