Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4873 del 24/02/2020

Cassazione civile sez. lav., 24/02/2020, (ud. 06/11/2019, dep. 24/02/2020), n.4873

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRUTI Giuseppe Maria – Presidente –

Dott. PETTI Giovanni B. – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9501-2015 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

EUROPA 190, presso la sede della Società (avvocato ANTONIO

SEBASTIANO CAMPISI), rappresentata e difesa dall’avvocato ANDREA

AMBROZ;

– ricorrente –

contro

L.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ITALO CARLO

FALBO 22, presso lo studio dell’avvocato ANGELO COLUCCI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MASSIMO MONALDI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 583/2014 delta CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 07/10/2014, R. G. N. 305/2014.

Fatto

RILEVATO

1. Che con sentenza n. 583/2014 la Corte di appello di Ancona ha confermato la sentenza di primo grado la quale, in parziale accoglimento dell’opposizione proposta da L.G. avverso il decreto ingiuntivo ottenuto da Poste Italiane s.p.a. per la somma di Euro 31.146,15, aveva condannato l’opponente alla restituzione alla società della minor somma di Euro 19.667,00; tale somma corrispondeva a quella corrisposta da Poste Italiane s.p.a. in esecuzione di sentenza, poi riformata, la quale, nel disporre la conversione del rapporto di lavoro a termine in rapporto a tempo indeterminato, aveva condannato la società al pagamento in favore della lavoratrice delle retribuzioni medio tempore maturate;

1.1. che il giudice di appello ha ritenuto che l’obbligo di restituzione a carico della lavoratrice concernesse le sole somme effettivamente corrisposte dalla società datrice di lavoro a titolo di retribuzione, somme da calcolarsi, quindi, al netto e non al lordo delle ritenute fiscali e previdenziali; ha, inoltre, ritenuto non provata la ulteriore pretesa restitutoria di Poste Italiane riferita alla somma di Euro 1462,50 asseritamente pagata alla L. a titolo di rimborso delle spese legali;

3. che per la cassazione della decisione ha proposto ricorso Poste Italiane s.p.a. sulla base di cinque motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

1. Che con il primo motivo Poste Italiane s.p.a., deducendo violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 in correlazione alle circolari e risoluzioni dell’amministrazione finanziaria, censura la sentenza impugnata per avere escluso il diritto del datore di lavoro ad ottenere dal lavoratore anche il pagamento delle somme versate all’erario nella sua veste di sostituto di imposta. Argomenta in particolare dal carattere tassativo, non suscettibile di estensione analogica, delle ipotesi di diritto a rimborso contemplate dall’art. 38 D.P.R. cit. alle quali non sarebbe riconducibile la concreta fattispecie non essendo le ritenute in questione frutto di errore, come previsto dal citato art. 38, ma costituendo adempimento di un obbligo di legge scaturente dalla esecuzione di un provvedimento giudiziale di primo grado;

2. che con il secondo motivo, deducendo violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 come interpretato dalla giurisprudenza di legittimità in ordine al profilo relativo alla legittimazione a presentare la domanda di rimborso, censura la sentenza impugnata sul rilievo che la legittimazione ad ottenere il rimborso delle somme versate all’erario dal datore di lavoro spettava al solo lavoratore sostituito, quale debitore principale;

3. che con il terzo motivo deduce violazione del D.P.R. n. 692 del 1973, art. 38 come interpretato dalle risoluzioni e prassi dell’amministrazione. Sostiene, in sintesi, che, in base a consolidato orientamento dell’Amministrazione finanziaria, alla datrice di lavoro era precluso l’accesso al meccanismo di rimborso previsto dall’art. 38 cit. ed invoca a conferma la previsione della possibilità di deduzioni in favore del sostituito di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 17;

4. che con il quarto motivo deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21 osservando che la società non avrebbe giammai potuto ottenere il rimborso delle ritenute ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21 norma avente natura residuale; evidenzia che la società si trovava nella necessità, normativamente documentata, di esperire il recupero al lordo, pena un indebito impoverimento economico;

5. che con il quinto motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 414 c.p.c., comma 1, n. 5 e dell’art. 2697 c.c., censura la sentenza impugnata per avere ritenuto non provato pagamento della somma di Euro 1.462,50 a titolo di spese legali. In particolare, assume che controparte non aveva contestato la circostanza e che il doc. n. 5 della procedura monitoria conteneva tutti gli elementi utili a configurare l’avvenuto pagamento della somma in questione;

6. che i primi quattro motivi di ricorso, trattati congiuntamente per connessione, devono essere respinti in quanto infondati. La sentenza impugnata, laddove riconosce il diritto alla ripetizione delle sole somme effettivamente corrisposte da Poste Italiane s.p.a. alla lavoratrice, e, quindi, al netto delle ritenute fiscali e previdenziali, risulta, infatti, coerente con la condivisibile giurisprudenza di questa Corte secondo la quale, in caso di riforma, totale o parziale, della sentenza di condanna del datore di lavoro al pagamento di somme in favore del lavoratore, il datore di lavoro ha diritto a ripetere quanto il lavoratore abbia effettivamente percepito e non può, pertanto, pretendere la restituzione di importi al lordo di ritenute fiscali mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente; il caso del venir meno, con effetto “ex tunc”, dell’obbligo fiscale a seguito della riforma della sentenza da cui esso è sorto ricade, infatti, nel raggio di applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, comma 1, secondo cui il diritto al rimborso fiscale nei confronti dell’amministrazione finanziaria spetta in via principale a colui che ha eseguito il versamento non solo nelle ipotesi di errore materiale e duplicazione, ma anche in quelle di inesistenza totale o parziale dell’obbligo (Cass. n. 13530 del 2019, Cass. 8614 del 2019, Cass. n. 19735 del 2018, Cass. n. 1464 del 2012);

6.1. che le questioni che prospettano con riferimento alla normativa fiscale l’errore di diritto della soluzione condivisa dalla Corte di merito risultano superate dai condivisibili approdi sul punto ai quali è pervenuta la giurisprudenza di legittimità. E’ stato, infatti, chiarito che, nella ipotesi – qui ricorrente – nella quale il datore di lavoro, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 23 abbia operato la ritenuta d’acconto dell’imposta sui redditi delle persone fisiche su somme corrisposte al lavoratore, divenute, come nel caso di specie, non dovute per effetto della riforma della sentenza in forza della quale, le somme in questione erano state erogate, si ricade nell’ambito della inesistenza, totale o parziale, dell’obbligo fiscale, venuto meno secondo una fisiologica dinamica processuale, con effetto ex tunc (Cass. n. 990 del 2019, Cass. n. 19735 del 2018, Cass. n. 6072 del 2012, Cass. n. 8829 del 2007). In tal senso, del resto, Cass. n. 21699 del 2011 ha ben evidenziato che l’azione di restituzione e riduzione in pristino, che venga proposta a seguito della riforma o cassazione della sentenza contenente il titolo del pagamento, si collega ad un’esigenza di restaurazione della situazione patrimoniale anteriore a detta sentenza con riferimento a prestazioni eseguite e ricevute nella comune consapevolezza della rescindibilità del titolo e della provvisorietà dei suoi effetti, e quindi giuridicamente di un pagamento non dovuto;

6.2. che legittimati a richiedere alla Amministrazione finanziaria il rimborso delle somme non dovute e ad impugnare l’eventuale rifiuto dinanzi al giudice tributario sono sia il soggetto che ha effettuato il versamento – cd. “sostituto di imposta” -, sia il percipiente delle somme assoggettate a ritenuta – cd. “sostituito” – (cfr., tra le altre, Cass. n. 517 del 2019, Cass. n. 19735 /2018 cit., Cass. n. 16105 del 2015, Cass. n. 14911 del 2015, Cass.5653 del 2014);

6.3. che in ipotesi di concreta inutilizzabilità da parte di Poste Italiane del rimedio previsto dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, comma 1, per decorso del termine di presentazione dell’istanza di rimborso, ivi stabilito, a pena di decadenza, in quarantotto mesi dalla data del “versamento” delle somme non dovute, trova applicazione il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2, avente carattere residuale e di chiusura del sistema, secondo il quale l’istanza di rimborso può essere presentata entro due anni dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione (Cass. 12919 del 2019, Cass. n. 82 del 2014);

6.4. che quanto ora osservato rende ininfluenti, al fine dell’accoglimento della tesi della restituzione al lordo e non al netto delle ritenute fiscali, le argomentazioni formulate dalla società in tema di possibilità per il sostituito di recuperare le ritenute fiscali divenute non dovute attraverso il meccanismo della deducibilità D.P.R. n. 917 del 1986, ex art. 10, comma 1, lett. d) bis;

7. che il quinto motivo di ricorso è inammissibile. La sentenza impugnata ha dato atto dell’avvenuta contestazione, “di fatto”, degli importi asseritamente ricevuti, a titolo di rimborso delle spese legali, da parte della lavoratrice (sentenza, pag. 3, terzo capoverso). Tale affermazione non è validamente contrastata dalla odierna ricorrente posto che non viene trascritto nè il contenuto del ricorso monitorio della società nè il contenuto ricorso in opposizione della L. in termini idonei a dimostrare, sulla base della sola lettura del ricorso per cassazione, che la circostanza dell’avvenuto pagamento delle spese legali non era stata contestata dalla lavoratrice (Cass. n. 24062 del 2017);

7.1. che parimenti inammissibile è la deduzione di violazione di norme di diritto in quanto non incentrata sulla interpretazione e portata applicativa delle norme richiamate ma intesa, in realtà, a censurare il concreto accertamento del giudice del merito, in termini, peraltro non coerenti con l’attuale configurazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (neppure formalmente dedotto), applicabile ratione temporis; il documento n. 5 (tabulato di Poste) allegato al ricorso monitorio è stato, infatti, espressamente preso in considerazione dalla Corte di merito e il documento n. 6, riprodotto nel ricorso per cassazione, è privo di decisività configurandosi quale atto di diffida nei confronti della L., proveniente dalla società medesima, intrinsecamente inidoneo a dare contezza dell’avvenuta erogazione delle somme dovute a titolo di spese legali sulla base della sentenza di primo grado, poi riformata, resa nel giudizio avente ad oggetto la nullità del termine apposto al contratto e le relative conseguenze economiche;

8. che a tutto quanto sopra consegue il rigetto del ricorso e la condanna della società alla rifusione delle spese di lite e, sussistendone i presupposti processuali, al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019);

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge. Con distrazione.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 6 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2020

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