Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 487 del 11/01/2017

Cassazione civile, sez. lav., 11/01/2017, (ud. 12/10/2016, dep.11/01/2017),  n. 487

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VENUTI Pietro – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Enrica – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16018-2011 proposto da:

BANCA MONTE PASCHI SIENA, C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO

VITTORIO EMANUELE II N. 326, presso lo studio degli avvocati RENATO

SCOGNAMIGLIO, CLAUDIO SCOGNAMIGLIO che la rappresentano e difendono,

giusta procura speciale notarile in atti;

– ricorrente –

contro

B.D., C.F. (OMISSIS), PI.SI. C.F. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI 20,

presso lo studio degli avvocati FRANCESCO ROTONDI, NICOLA PETRACCA,

ANGELO QUARTO che li rappresentano e difendono, giusta delega in

atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 139/2010 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 05/06/2010 R.G.N. 411/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/10/2016 dal Consigliere Dott. MATILDE LORITO;

udito l’Avvocato PORCELLI VINCENZO per delega Avvocato SCOGNAMIGLIO

RENATO;

udito l’Avvocato SOLFANELLI ANDREA per delega Avvocato PETRACCA

NICOLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Banca Agricola Mantovana con separati ricorsi ex art. 414 c.p.c., conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Mantova gli ex dipendenti B.D. e Pi.Si. chiedendone la condanna al pagamento di importi spettanti a titolo di penale per l’omesso adempimento del patto di stabilità con il quale il preavviso di dimissioni da loro dovuto era stato pattuito in dodici mesi, e a titolo di restituzione dei corrispettivi ricevuti nel corso del rapporto di lavoro per la remunerazione del patto medesimo. I convenuti, resistevano alla domanda e proponevano ricorso incidentale onde conseguire la riduzione della clausola penale inserita nei contratti inter partes per manifesta onerosità.

Il giudice adito accoglieva il ricorso principale, respingeva i ricorsi incidentali e condannava B. e Pi. al pagamento rispettivamente, delle somme di Euro 47.578,54 e 62.323,01 in favore dell’istituto di credito.

Detta pronuncia veniva parzialmente riformata dalla Corte d’Appello di Brescia che riteneva non spettante in favore della Banca, la restituzione delle somme ricevute dai dipendenti quale corrispettivo del patto di stabilità. Riteneva inoltre eccessivo l’ammontare della penale richiesta e lo riduceva ad otto mensilità di retribuzione; dichiarava dovuto in favore dell’Istituto di credito il compenso per il patto di stabilità maturato dall’ultimo pagamento alla data della risoluzione del rapporto per dimissioni e condannava la Banca alla restituzione delle maggiori somme percepite in forza della sentenza di primo grado.

Avverso tale decisione interpone ricorso per Cassazione la Banca Monte dei Paschi di Siena, (già Banca Agricola Mantovana) affidato a due motivi. Resistono con controricorso gli intimati.

Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art.378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente deve darsi atto che il Collegio ha autorizzato la stesura di motivazione in forma semplificata, ai sensi del decreto del Primo Presidente in data 14/9/2016.

2. Con il primo e il secondo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1382, 1384, 1453 e 2118 c.c., nonchè carenza e contraddittorietà della motivazione.

Si duole della qualificazione giuridica in termini di patto di stabilità o di clausola penale dell’accordo intervenuto fra le parti per il prolungamento del preavviso, disposta dalla Corte di merito. Deduce, per contro, che la pattuizione andava correttamente inquadrata nella disciplina di cui all’art. 2118 c.c., sicchè, in applicazione del comma 2 disposizione, in mancanza di preavviso, il recedente doveva ritenersi tenuto verso l’altra parte ad una indennità equivalente all’importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso.

3. Precisa che le parti avevano pattuito una durata del preavviso pari a dodici mesi, affiancando tale clausola con l’impegno per l’istituto, di versare ai lavoratori ulteriori importi a conferma e corrispettivo per il prolungamento del periodo di preavviso in caso di dimissioni.

Alla stregua di tale inquadramento giuridico della fattispecie scrutinata, deduce l’erroneità degli approdi ai quali è pervenuta la Corte distrettuale riducendo la penale, trattandosi di indennità di preavviso, e riconducendo anche a tale qualificazione del patto inter partes, l’obbligo di restituzione delle somme che erano state versate proprio per la pattuizione del maggior preavviso.

4. I motivi, che possono congiuntamente trattarsi per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse, devono essere in via pregiudiziale, dichiarati inammissibili per inosservanza dei requisiti sanciti dall’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 6.

L’esposizione dei fatti processuali e sostanziali recata in ricorso, non rispecchia i requisiti richiesti dalla giurisprudenza di questa Corte per il rispetto dei dettami di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3.

La citata disposizione è infatti volta a garantire la regolare e completa instaurazione del contraddittorio e non risponde ad un’esigenza di mero formalismo, essendo intesa a consentire un retto inquadramento delle censure svolte. Essa può ritenersi soddisfatta senza necessità che dia luogo ad una premessa autonoma e distinta rispetto ai motivi ove il contenuto del ricorso consenta al giudice di legittimità, in relazione ai motivi proposti, di avere una chiara e completa cognizione dei fatti che hanno originato la controversia e dell’oggetto dell’impugnazione, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (vedi Cass. sez. un. 18/5/2006 n. 11653).

5. Ai detti fini è necessario, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, che in esso vengano indicati, in maniera specifica e puntuale, tutti gli elementi utili perchè il giudice di legittimità possa avere la completa cognizione dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti del processo, ivi compresa la sentenza impugnata, così da acquisire un quadro degli elementi fondamentali in cui si colloca la decisione censurata e i motivi delle doglianze prospettate (in tali sensi vedi Cass. 12/6/2008 n.15808).

E’ indispensabile, dunque, per il superamento del vaglio di ammissibilità del ricorso attraverso il filtro della richiamata disposizione, che l’esposizione sommaria dei fatti consenta di ricavare le reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, lo svolgimento della vicenda processuale in tutte le sue articolazioni, le argomentazioni essenziali in fatto e in diritto della sentenza impugnata e sulle quali si richiede, nei limiti del giudizio di legittimità, una valutazione giuridica diversa da quella asseritamente erronea, compiuta dal giudice di merito (vedi in tali sensi in motivazione, Cass. 29/9/2015 n.19218).

6. Nello specifico detti principi non appaiono rispettati, giacche la ricorrente si è limitata a riportare una insufficiente descrizione della vicenda processuale, senza richiamare, in particolare, il tenore dell’atto introduttivo del giudizio, essenziale al fine della definizione del thema decidendum, e della verifica circa la ritualità delle difese assunte nel successivo giudizio di gravame e nel presente giudizio di legittimità, anche sotto il profilo della coerenza delle questioni di diritto o dei temi di contestazione in questa sede trattati, rispetto a quelli dedotti nel giudizio di merito. Neanche, poi, risulta riprodotto il tenore delle difese assunte da ciascuna delle parti nel corso della vicenda processuale, anche in relazione alla posizione avversaria, non consentendo, siffatta carenza, il raggiungimento dello scopo di porre questa Corte di legittimità in condizione di giudicare (cfr. Cass. cit. n.19218 del 2015).

7. Il ricorso, palesa altresì l’evidenza della mancanza di una completa riproduzione degli atti e documenti del giudizio di merito (segnatamente gli accordi fra la Banca Agricola Mantovana e il B., in data 4/4/2006 e quello stipulato fra l’istituto ed il Pi. in data 10/6/2002 la cui interpretazione è dibattuta nella presente sede), con specifica indicazione della sede processuale del giudizio di merito in cui la produzione è avvenuta e della sede in cui, nel fascicolo d’ufficio o in quelli di parte, essa è rinvenibile, secondo le prescrizioni di cui al citato art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3.

Tale prescrizione che, come rammentato dalle sezioni unite di questa Corte, richiede la “specifica” indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, al fine di realizzare l’assoluta precisa delimitazione del “thema decidendum”, attraverso la preclusione per il giudice di legittimità di esorbitare dall’ambito dei quesiti che gli vengono sottoposti e di porre a fondamento della sua decisione risultanze diverse da quelle emergenti dagli atti e dai documenti specificamente indicati dal ricorrente (vedi Cass. S.U. 31/10/2007 n. 23019), va correlata all’ulteriore requisito di procedibilità di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (vedi Cass. 23/9/2009 n. 20535) per cui deve ritenersi che tale puntuale indicazione, quando riguardi un documento prodotto in giudizio, postula che si individui dove sia stato prodotto nelle fasi di merito, e, in ragione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, anche che esso sia prodotto in sede di legittimità, con la conseguenza che, in caso di omissione di tale adempimento, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Anche sotto il descritto profilo il ricorso si presenta carente giacchè gli atti della cui interpretazione si controverte, non solo non vengono integralmente riportati nel loro contenuto, ma neanche risultano ritualmente prodotti in coerenza coi dettami di cui al disposto dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4.

8. In definitiva, va rimarcato che la violazione del compendio delle disposizioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6 nonchè dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 interpretato in via sistematica da questa Corte con gli interventi innanzi richiamati, si traduce i termini di inammissibilità del ricorso, non ponendo la Corte nella condizione di poter valutare la fondatezza o meno delle critiche rivolte alla sentenza impugnata, concernenti la interpretazione degli accordi intercorsi fra le parti.

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna della società alla rifusione in favore dei controricorrenti, delle spese inerenti al presente giudizio di legittimità nella misura in dispositivo liquidata.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 12 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2017

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