Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4869 del 01/03/2018


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 4869 Anno 2018
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: TEDESCO GIUSEPPE

SENTENZA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 17844/2013 R.G. proposto da
FORTUNATO Antonio, FORTUNATO Giuseppe, rappresentati e
difesi, in forza di procura speciale a margine del ricorso, dall’avv.
Carlo Sica, con domicilio eletto in Salerno, via Luigi Guercio 44,
presso lo studio del difensore;
– ricorrenti contro
FORTUNATO Alfonso, rappresentato e difeso, in forza di procura
speciale a margine del controricorso, dagli avv. Gaetano Lambiasi e
Antonio D’Ascoli, con domicilio eletto in Roma, via G. Puccini 10,
presso lo studio dell’avv. Giancarlo Ferri;
-controricorrenteavverso la sentenza della Corte d’Appello di Salerno n. 357/13,
depositata il 21 maggio 2013.

Data pubblicazione: 01/03/2018

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17
dicembre 2017 dal Consigliere Giuseppe Tedesco;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Corrado Mistri che ha concluso chiedendo l’accoglimento del
sesto e del nono motivo di ricorso;

FATTI DI CAUSA
1. Alfonso Fortunato ha chiamato in giudizio innanzi al tribunale di
Salerno Antonio Fortunato e Giuseppe Fortunato, proprietari di
porzioni immobiliari confinanti, al fine di sentirli condannare alla
demolizione di opere realizzate su terreno di proprietà comune o
comunque in violazione delle norme sulle distanze, nonché alla
regolarizzazione di luci e all’adempimento della scrittura del 9 marzo
1981, con la quale l’attore aveva rinunciato a una servitù di
passaggio su un cortile che egli riteneva per errore dei soli convenuti,
ottenendo da costoro la costituzione di una servitù di passaggio su
altre particelle di loro proprietà

e l’assunzione dell’obbligo di

trasferirgli una striscia di terreno.
Alfonso Fortunato iniziava poi un ulteriore giudizio davanti al
medesimo tribunale nei confronti del solo Giuseppe Fortunato, del
quale chiedeva la condanna alla demolizione di fabbriche realizzate in
violazione delle norme sulle distanze e al ripristino di beni comuni
demoliti o modificati.
I convenuti si costituivano nei due giudizi e proponevano
domanda riconvenzionale, con cui, a loro volta, facevano valere la
violazione delle norme sulle distanze in cui era incorso l’attore in
attività di edificazione sul proprio fondo.
2.

Il tribunale, riuniti i giudizi, pronunciava sentenza non

definitiva con la quale rilevava che le opere, oggetto delle
contrapposte domande di demolizione, erano state reciprocamente
autorizzate, pur senza il rispetto delle distanze. Il tribunale accertava
-2-

udito l’avv. Giancarlo Ferri per il controricorrente.

ancora che con la scrittura del 9 marzo 1981 l’attore aveva rinunciato
alla comproprietà del cortile, ricevendo in cambio una striscia di
terreno e la costituzione di una servitù di passaggio.
3.

Contro la sentenza Alfonso Fortunato proponeva appello

immediato e i convenuti appello incidentale. Analoghe impugnazioni
erano proposte contro la sentenza definitiva, che disponeva, in favore

di Alfonso Fortunato, il trasferimento della striscia di terreno e la
costituzione della servitù di passaggio secondo le previsioni della
scrittura del 9 marzo 1981.
4. La corte d’Appello di Salerno accoglieva l’appello principale e
pronunciava le consequenziali condanne con cui imponeva ai
convenuti di arretrare i fabbricati realizzati a distanza dal confine
inferiore a quella prescritta e rendere le luci conformi alle prescrizioni
dell’art. 901 c.c.

Inoltre condannava il solo Antonio Fortunato a

demolire i manufatti realizzati sul cortile comune, disconoscendo
l’usucapione eccepita dai convenuti.
La corte distrettuale rigettava l’appello incidentale di Fortunato
Antonio e Giuseppe Fortunato
5. Per la cassazione della sentenza della corte d’Appello Antonio
Fortunato e Giuseppe Fortunato hanno proposto ricorso sulla base di
undici motivi, cui Fortunato Alfonso ha resistito con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE.

1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione o falsa
applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma
primo, n. 4, c.p.c.
Si denuncia la sentenza per omissione di pronuncia sulla
deduzione con cui i convenuti avevano eccepito la nullità della
domanda di Alfonso Fortunato a causa della mancata indicazione, nei
due atti di citazione, dell’epoca di realizzazione dei manufatti e della
normativa edilizia comunale vigente in quel momento.
-3L

1.1. Il motivo è infondato. La corte d’appello ha considerato
l’eccezione e l’ha rigettata, in quanto «ha ritenuto analiticamente
descritti i fatti costitutivi posti a fondamento delle domande».
«Il giudice non è tenuto ad occuparsi espressamente e
singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione

4, c.p.c. che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in
diritto posti a fondamento della sua decisione, e dovendo ritenersi per
implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure
non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione
adottata e con liter” argomentativo seguito. Ne consegue che il vizio
di omessa pronuncia – configurabile allorché risulti completamente
omesso il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione
del caso concreto – non ricorre nel caso in cui, seppure manchi una
specifica argomentazione, la decisione adottata in contrasto con la
pretesa fatta valere dalla parte ne comporti il rigetto (Cass. n
407/2006)».
2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa
applicazione degli art. 111 Cost. e 132, comma secondo, n. 4, c.p.c.
in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4, c.p.c.
Il motivo ripropone le medesime censure cui si riferisce il motivo
precedente sotto il profilo della nullità della sentenza per difetto di
motivazione. Secondo i ricorrenti la corte distrettuale ha
immotivatamente ritenuto ritualmente proposta la domanda di
demolizione, nonostante non fossero stati indicati lo strumento
urbanistico invocato e l’epoca di realizzazione dei fabbricati.
2.1. Il motivo è inammissibile. La riformulazione dell’art. 360
c.p.c., n. 5), disposta con il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54,
convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, secondo
cui è deducibile esclusivamente lomesso esame circa un fatto
decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”,
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delle parti, risultando necessario e sufficiente, in base all’art. 132, n.

deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati
dall’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del
sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui
l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo
quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente

dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le
risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna
rilevanza del difetto di “sufficienza”, nella “mancanza assoluta di
motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione
apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”,
nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”
(Cass., S.U., n. 8053 del 2014).
Nel caso in esame la motivazione non solo esiste come parte
grafica del documento, ma le ragioni svolte permettono certamente di
riconoscerla come giustificazione del decisum.
Il motivo, del resto, ipotizzt oneri deduttivi che in materia non
sono invece configurabili. La giurisprudenza di questa corte insegna
infatti che le norme dei regolamenti comunali edilizi e i piani
regolatori sono, per effetto del richiamo contenuto negli artt.
872 e 873 c.c., integrative delle norme del codice civile in materia di
distanze tra costruzioni, sicché il giudice deve applicare le richiamate
norme locali indipendentemente da ogni attività assertiva o
probatoria delle parti, acquisendone conoscenza, o attraverso la sua
scienza personale o attraverso la collaborazione delle parti, o
attraverso la richiesta di informazioni ai comuni (Cass. n.
25501/2014; n. 14446/2010; n. 17692/2009; n. 12561/2002; n.
4372/2002; n. 12103/1998; n. 1047/1998; n. 3820/1997).
Quanto all’ulteriore rilievo dei ricorrenti, relativo alla mancata
indicazione dell’epoca di costruzione dei manufatti, la relativa censura
pone un problema diverso, riguardante l’identificazione dello
-5-

rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sé, come risulta

strumento urbanistico applicabile ratione temporis. In altre parole si
censura la sentenza per aver ravvisato la violazione della normativa
sulle distanze sulla base di un certo strumento urbanistico, di cui ha
dato per scontata l’applicabilità, in assenza di deduzioni di parte che
consentissero di collocare l’attività di edificazione sotto la vigenza di

nella deduzione di omesso esame di un fatto, che non rispetta i
dettami previsti dall’art. 360, comma primo, n. 5 (come riformulato
dal legislatore del 2012), in quanto non ne evidenzia il carattere
controverso. A questo fine occorreva che i ricorrenti precisassero il
“dato”, testuale o extratestuale, da cui risultava l’esistenza del fatto e
il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) esso fu oggetto di
discussione tra le parti (Cass., S.U., n. 8053/2014).
3. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano violazione dell’art.
2697 c.c., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c.
La corte d’appello, in merito all’epoca di costruzione e
all’esistenza dello strumento urbanistico locale, avrebbe posto a base
della decisione l’accertamento compiuto dal consulente tecnico
d’ufficio, sollevando così l’attore dall’onere di fornire la prova dei fatti
costitutivi della pretesa.
3.1. Il motivo è infondato. Come già anticipato, non risulta che
l’epoca di realizzazione dei fabbricati fosse controversa, essendoci nel
controricorso una pluralità di elementi letterali che lasciano intendere
che fosse invece pacifica. Pertanto, essendo il “fatto” non
controverso, il consulente non ha fatto altro che identificare lo
strumento urbanistico applicabile, consentendo al giudice di assolvere
al proprio compito di giudicare secondo diritto sulla domanda.
4. Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa
applicazione degli art. 111 Cost., 132, comma secondo, n. 4, e 156,
comma secondo, c.p.c. in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4,
c.p.c.
-6

_

quel medesimo strumento. Ma in questo senso la censura si traduce

La corte territoriale ha applicato il programma di fabbricazione
senza che l’attore ne avesse allegato l’esistenza e senza neppure
preventivamente accertarne la decorrenza e l’efficacia normativa,
attraverso la certificazione del segretario comunale prevista dall’art.
163 del r.d. 297 del 1911.

aspetti, la cui valutazione non poteva essere supplita dalla consulenza
tecnica, che non aveva svolto indagini circa l’efficacia dello strumento
urbanistico ritenuto applicabile.
4.1. Il motivo è inammissibile. Non risulta che la questione fu
eccepita nel giudizio di merito. Nel ricorso si richiamano ancora una
volta le deduzioni di parte riguardanti la mancata indicazione della
normativa applicabile e dell’epoca di costruzione dei fabbricati, che
preludono a una questione diversa.
Secondo la pronuncia di questa Suprema corte citata dagli stessi
ricorrenti a sostegno della censura (Cass. n. 6117/1993), «la
pubblicazione nell’albo pretorio del regolamento edilizio (che, nelle
controversie nascenti dalla violazione delle norme sulle distanze legali
da esso previste, il giudice ha il dovere di accertare in funzione della
dovuta verifica della effettiva efficacia delle norme giuridiche da
applicare al caso concreto) non deve risultare necessariamente dalla
certificazione del segretario comunale, prevista dall’art. 163 R.D. 12
febbraio 1911 n. 297 (contenente il regolamento per l’esecuzione
della legge comunale e provinciale) ma può anche essere desunta da
elementi indiziari, purché gravi, precisi e concordanti».
In una situazione processuale quale quella in esame,
caratterizzata dalla mancanza di contestazioni su questo aspetto, la
relazione del consulente tecnico, in cui si affermava che «all’epoca del
rilascio delle concessioni edilizia e della realizzazione delle opere, era
in vigore il programma di fabbricazione, che per la zona prevedeva

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La corte d’Appello ha omesso qualsiasi motivazione su questi

[…}», costituisce idonea fonte di conoscenza dell’esistenza, vigenza e
contenuto precettivo della norma (cfr. Cass. 3820/1997).
5. Il quinto motivo denuncia violazione o falsa applicazione degli
art. 1362, 1366 c.c., nonché degli art. 111 Cost. e 132, comma
secondo, n. 4, c.p.c. in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4.

dovuto ravvisare l’esistenza di una rinuncia, da parte dell’attore, non
solo alla servitù, ma anche alla comproprietà del bene.
5.1. Il motivo è infondato. Fortunato Alfonso aveva dedotto di
avere firmato il documento nella convinzione che il cortile fosse di
proprietà esclusiva dei convenuti e che egli fosse solo titolare di una
servitù di passaggio, alla quale con quella stessa scrittura rinunciava.
Il tenore della scrittura, trascritta nel ricorso, conferma il
convincimento dell’altrui proprietà del cortile.
In una scrittura del genere vanamente si cercherebbero indici di
una volontà dell’attore di rinunciare a un diritto di comproprietà, che
egli non sapeva di avere. In verità i ricorrenti, nel momento in cui
ravvisano nella scrittura la rinuncia alla comproprietà, non
propongono una diversa interpretazione del negozio, ma pretendono,
sulla base della volontà del rinunciante espressa in quella scrittura, in
quanto riferita alla titolarità di un diritto incompatibile con la
proprietà, di portare l’errore del rinunciante all’estreme conseguenze,
assumendolo quale indice non di una situazione di fatto, ma di una
situazione di diritto.
6. Il sesto motivo denuncia violazione o falsa applicazione degli
art. 2733, comma secondo, c.c. e 115 c.p.c., in relazione all’art. 360,
comma primo, n. 5, c.p.c.
La sentenza ha negato l’usucapione del cortile nonostante l’attore,
in sede di interrogatorio formale, aveva ammesso di non averne il
possesso e ciò a partire dal 1961.

Nella scrittura del 9 marzo 1981, la corte d’appello avrebbe

6.1 II motivo è fondato. Nel ricorso è trascritto un passaggio della
comparsa di costituzione in appello degli attuali ricorrenti in cui si
accenna al fatto che il possesso del cortile risale al 1961, data della
divisione intervenuta fra l’attuale controricorrente Alfonso Fortunato e
Fortunato Giuseppe, al quale subentrò il figlio Giovanni e nel 1975, i

termini sopra descritti, è evidenziata anche dal consulente tecnico
(trascrizione a pag. 25 del ricorso) e in ultima analisi è ribadita da
Alfonso Fortunato anche in questa sede. Si legge infatti nel
controricorso: «Va peraltro sottolineato come gli odierni ricorrenti
siano succeduti nella comproprietà del cortile al padre, sig. Giovanni
Fortunato, deceduto il 28 gennaio 1975, onde essi avrebbero dovuto
dedurre, ma non hanno dedotto, la compiuta usucapione da parte del
loro dante causa, peraltro non possibile in quanto la divisione che
riconosceva la comproprietà era del 1961 (e per di più era stata
sottoscritta dal nonno e dal padre dei ricorrenti), né tampoco tale
usucapione poteva ritenersi compiuta dagli stessi ricorrenti, atteso
che alla data della citazione del 26 marzo 1994 non si era comunque
compiuto il ventennio dall’apertura della successione del padre».
Ciò posto la decisione della corte d’Appello incorre nell’errore
denunciato col presente motivo, avendo negato il possesso
ventennale in assenza di qualsiasi considerazioni delle pregresse
vicende a partire dalla data della divisione del 1961, certamente
idonee in astratto a giustificare una decisione diversa, in rapporto alla
possibile applicazione delle norme in materia di unione e accessione
nel possesso (art. 1146 c.c.).
7. L’accoglimento del sesto motivo comporta l’assorbimento del
settimo motivo (violazione e falsa applicazione degli art. 111 Cost.,
132, comma secondo, n. 4, in relazione all’art. 360, comma primo, n.
5, c.p.c.: la Corte d’appello avrebbe dovuto ravvisare nella scrittura la
costituzione di diritto di superficie sul cortile comune)
-9-

e anche

nipoti odierni convenuti. La successione degli eventi, nei medesimi

dell’ottavo motivo (violazione e falsa applicazione degli art. 111 Cost.,
132, comma secondo, n. 4, e 156, comma secondo, c.p.c. in
relazione all’art. 360, comma primo, n. 5, c.p.c.: la Corte ha
riconosciuto il diritto dell’attore alla demolizione della costruzione
realizzata sul cortile comune, ravvisando la violazione dell’art. 1102

base a una clausola della scrittura del 1981). L’accoglimento del sesto
motivo comporta l’assorbimento anche dell’undicesimo motivo
(violazione o falsa applicazione degli art. 111 Cost. e 345 c.p.c. in
relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c., con il quale i
ricorrenti censurano la sentenza per avere ritenuto nuove le domande
con le quali gli attuali ricorrenti, per il caso, poi verificato, che la corte
d’appello avesse ritenuto comune il cortile, avevano chiesto la
restituzione delle prestazioni in favore di Alfonso Fortunato previste
nella scrittura del marzo 1981).
8. Con il nono motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa
applicazione dell’art. 342 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma
primo, n. 4, c.p.c.
La sentenza è censurata per avere ritenuto inammissibile l’appello
incidentale degli attuali ricorrenti per mancanza dei motivi specifici
dell’impugnazione.
Costituendosi dinanzi al tribunale, i convenuti avevano denunciato
la violazione delle distanze da parte dell’attore, chiedendone la
condanna alla demolizione di quanto costruito. La domanda non fu
oggetto di specifico esame in primo grado, perché il tribunale ritenne
che le costruzioni senza l’osservanza delle distanze furono
reciprocamente consentite con la scrittura del 9 marzo 1981, così
come eccepito dai convenuti.
Essa fu riproposta dai convenuti con appello incidentale, il quale
sul punto aveva carattere subordinato, per il caso, poi verificato, che
la corte d’appello avesse ritenuto inefficace il reciproco consenso.

10 –

c.c., senza considerare l’assenso alla costruzione dato dall’attore in

8.1. Il motivo è fondato. Attore e convenuti avevano
reciprocamente lamentato la violazione delle norme sulle distanze e il
giudice di primo grado aveva rigettato le reciproche domande sulla
base di un argomento comune a entrambe, argomento che il giudice
d’appello ha ritenuto infondato.

l’eccezione accolta dal primo giudice, non avevano altro onere
deduttivo se non chiedere che le contrapposte posizioni fossero
valutate unitariamente, qualora la corte fosse andata in contrario
avviso rispetto al primo giudice.
In aggiunta a tale rilievo, già sufficiente a giustificare
l’accoglimento del motivo, la corte d’Appello avrebbe dovuto
verificare, di là dalle qualificazioni di parte, se la subordinazione
esplicita che emergeva dall’appello non riflettesse una originaria
subordinazione della relativa domanda già dal primo grado. Invero la
deduzione che la realizzazione delle opere era stata preventivamente
autorizzata era destinata a operare reciprocamente, per cui
paralizzava anche la domanda di demolizione proposta dai convenuti.
In questa prospettiva essa sarebbe rimasta assorbita
dall’accoglimento dell’eccezione di reciproco consenso, in guisa che la
riproposizione non richiedeva l’impugnazione incidentale della
sentenza.
9. Con il decimo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa
applicazione degli art. 901, comma primo, c.c. in relazione all’art.
360, comma primo, n. 3, c.p.c. Violazione o falsa applicazione degli
art. 111 Cost., 132, comma secondo, n. 4, in relazione all’art. 360,
comma primo, n. 4, c.p.c.
La corte d’appello ha imposto la regolarizzazione delle luci senza
considerare che esisteva una scrittura che non solo ne consentiva
l’apertura, ma ne indicava anche le caratteristiche.

In tale situazione processuale i convenuti, i quali avevano dedotto

9.1 Il motivo è inammissibile. Non è denunciata una violazione di
legge, ma un omesso esame di fatto decisivo, tuttavia la denuncia
non ha i requisiti ex art. 360, comma primo, n. 5, c.p.c., in quanto
non indica dove e in che termini l’esistenza della regolamentazione
difforme dalla previsione legale fu sottoposta al giudice d’appello

10. In conclusione sono da accogliere il sesto e il nono motivo,
mentre vanno rigettati i motivi dal primo al quinto e il nono motivo;
sono assorbiti il settimo, l’ottavo e l’undicesimo motivo.
Si impone in relazione ai motivi accolti la cassazione della
sentenza, con rinvio alla corte d’Appello di Salerno in diversa
composizione, che provvederà a nuovo esame attenendosi ai principi
di cui sopra e regolerà le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
accoglie il sesto e il nono motivo di ricorso; dichiara assorbiti il
settimo, l’ottavo e l’undicesimo motivo; rigetta gli altri motivi; rinvia
alla corte d’Appello di Salerno in diversa composizione anche per le
spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda
Sezione civile, il 7 dicembre 2017.
Il Presidente
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i

Il Consigliere estensore.

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onario Giudiziart
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DEPOSITATO IN CANCELLERIA

Roma,

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MAR. 2018

(Cass., S.U., n. 8053/2014).

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