Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4869 del 01/03/2010

Cassazione civile sez. I, 01/03/2010, (ud. 09/02/2010, dep. 01/03/2010), n.4869

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso iscritto al n. 10060 del R.G. anno 2009 proposto da:

V.J., elett.te domiciliata in ROMA via Chisimaio 42, presso

l’avv. FERRARA SILVIO che la rappresenta e difende giusta procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Prefetto di Roma e Ministro dell’Interno in persona del Ministro in

carica con l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO via dei Portoghesi 12

Roma che li rappresenta e difende per legge;

– controricorrenti –

Avverso il decreto del Giudice di Pace di Roma dep. il 18.2.2009 n.

183/09;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

9.2.2010 dal Consigliere Dott. Luigi MACIOCE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARESTIA Antonietta, che ha concluso per la remissione alla Corte

Costituzionale ed in subordine per l’accoglimento.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto 18/2/2009 adottato ai sensi del D.Lgs. 286 del 1998, art. 14, comma 5, il Giudice di Pace di Roma ebbe a convalidare per trenta giorni la proroga del trattenimento della cittadina nigeriana V.J. presso il Centro di (OMISSIS) sull’assunto che non era stata ancora completata la procedura di identificazione della straniera, procedura per la definizione della quale era stato disposto il convalidato trattenimento.

Per la cassazione di tale decreto di proroga la straniera ha proposto ricorso, notificandolo al Questore di Roma ed al Ministro dell’Interno il 21.4.2009 ed ivi articolando tre motivi di censura, ai quali si è opposta l’Amministrazione con controricorso del 25.5.2009. Con il primo motivo si denunzia la violazione di legge commessa con la adozione di un decreto di proroga D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 14, comma 5, de plano, in difetto di convocazione camerale dell’interessato assistito dal suo difensore e quindi in carenza della attivazione del contraddittorio.

Con il secondo motivo si denunzia la violazione dell’art. 5 della CEDU perpetrata con la proroga di una misura sostanzialmente detentiva in difetto di alcuna partecipazione dell’interessato e del suo difensore alla verifica della sussistenza delle condizioni per adottarla. Con il terzo motivo si solleva questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5, per violazione degli artt. 24, 111 e 117 Cost., essendo manifestamente fondato,ed in causa rilevante, il sospetto che le norme che consentano una proroga inaudita altera parte di una misura restrittiva della libertà personale siano contrarie alla Costituzione.

I motivi sono stati illustrati con memoria finale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Ritiene il Collegio che siano fondate le censure articolate nei primi due motivi del ricorso, dovendosi affermare, alla stregua delle considerazioni che appresso si espongono, che nelle disposizioni poste dal D.Lgs. n. 286 del 1998, e novellate in parte qua nel 2004, a regolare il trattenimento “pre – espulsivo” dello straniero nei centri preposti (e variamente denominati), disposizioni interamente richiamate in sede di disciplina del trattenimento dei richiedenti asilo e protezione umanitaria, fosse prevista la garanzia della difesa e del contraddittorio, espressamente per l’adozione dell’ordinanza di convalida ed implicitamente ma non meno certamente per remissione del provvedimento di proroga del trattenimento stesso.

Giova esporre la evoluzione della recente normativa in materia, la quale, lungi dal muoversi lungo un continuum di agevole interpretazione, è stata segnata dalla interazione delle norme di garanzia di fonte nazionale o mediatamente internazionale nei diversi settori del trattenimento pre espulsivo o umanitario.

Il trattenimento temporaneo “pre espulsivo” – dettato da ragioni di soccorso umanitario temporaneo, di identificazione dell’espellendo o di reperimento di idoneo vettore, in attesa dell’accompagnamento coattivo alla frontiera – venne regolato organicamente con l’art. 14, del citato T.U. del 1998 prevedendosi, per quel che occupa, che, adottato il provvedimento, il Questore del luogo di sede del Centro trasmettesse al Pretore competente entro 48 ore il provvedimento, che il Pretore, all’esito di convocazione dell’interessato in camera di consiglio, verificata la sussistenza dei presupposti convalidasse la misura (di durata pari a giorni venti) entro le 48 ore successive ed a pena di inefficacia, che la misura potesse dal Pretore essere prorogata, su richiesta del Questore, per non oltre dieci giorni, verificando la permanenza delle ragioni impeditive della esecuzione, che avverso i decreti di convalida e proroga potesse proporsi ricorso per cassazione.

La L. n. 189 del 2002, art. 13, aumentò a trenta giorni il tempo concesso per il primo trattenimento (convalidabile) ed altrettanto per la sua proroga.

Frattanto il legislatore, che nulla aveva previsto al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, commi 4 e 5, (regolanti casi e modalità di accompagnamento coattivo alla frontiera dell’espulso), ritenne, sul rilievo dell’incidenza della misura in executivis sui diritti garantiti dall’art. 13 Cost., di introdurre una convalida anche di tal misura con l’aggiunta dell’art. 13, comma 5 bis anzidetto. Ma la sommaria convalida inaudita altera parte delineata con il D.L. n. 51 del 2002, art. 2, attribuendone inopinatamente la competenza al P.M., e corretta in sede di conversione ad opera della L. n. 106 del 2002, con assegnazione della competenza al Tribunale in c.m., non resse al vaglio della Corte Costituzionale che, con sentenza n. 222 del 7.4.2004, rilevò il contrasto della disposizione con l’art. 13 della Costituzione anche laddove impingeva nel nucleo insopprimibile del diritto di difesa in materia di limitazione della libertà personale, quello di essere ascoltato dal giudice con l’assistenza del difensore.

La risposta del legislatore fu di pronto adeguamento, inserendosi per effetto del D.L. n. 241 del 2004, art. 1, conv. in L. n. 271 del 2004, un nuovo art. 13, comma 5 bis, nel T.U. del 1998, rispettoso delle garanzie della difesa nella convalida della misura coattiva di accompagnamento; ma si intese, altresì, riscrivere in termini più chiari e garantistici la regola della convalida del trattenimento pre espulsivo: venne infatti sostituito il solo art. 14, comma 4, del citato T.U., con la precisazione che l’udienza di convalida vedesse la partecipazione necessaria di un difensore e la audizione dell’interessato, se comparso. Nulla si ritenne di aggiungere o mutare sul regime della proroga, sui suoi tempi e sulla ricorribilità per cassazione dell’uno e dell’altro provvedimento.

In tempi assai recenti, infine, il regime del trattenimento ha ricevuto una incisiva nuova regolamentazione nei tempi e nelle condizioni: la L. 15 luglio 2009, n. 94, art. 1, comma 22, ferme restando le regole di cui all’art. 14, commi 4 e 6, ha riscritto la disciplina delle condizioni e dei tempi della proroga (ferma la sua prima concedibilità in giorni trenta) prevedendo che la permanenza delle condizioni di difficoltà di rimpatrio dello straniero possa portare ad una prima proroga (concessa dal giudice di pace) pari a giorni sessanta e, rimanendo immutata la difficoltà nonostante il compimento di ogni ragionevole sforzo, pari ad altri giorni sessanta, pervenendo ad un trattenimento complessivo di giorni 180 (dei quali 30 in regime di prima convalida e 150 per effetto di tre proroghe).

Parallelamente alla concitata evoluzione normativa del trattenimento pre espulsivo (evoluzione imposta dal radicale incremento degli afflussi migratori) vi è stata una evoluzione anche nella disciplina del trattenimento a scopo di asilo od “umanitario”. Il legislatore, radicalmente modificando le linee della procedura di riconoscimento dell’asilo di cui al D.L. n. 416 del 1989, art. 1, conv. in L. n. 30 del 1990, ebbe, con la L. n. 189 del 2002, art. 32, a delineare la procedura semplificata di riconoscimento e, per quel che occupa, a statuire il trattenimento eventuale (nei C.I.E.) o necessario (nei C.P.T.A.), commi 1 e 2, per trenta giorni, rinviando al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, per le modalità afferenti la convalida e disponendo che la proroga potesse essere richiesta per ulteriori trenta giorni. Una normativa di dettaglio, anche relativamente alla durata della permanenza del richiedente asilo, venne poi posta con il D.P.R. n. 303 del 2004, emanato come regolamento di attuazione secondo il disposto del D.L. n. 416 del 1989, art. 1 bis, comma 3, introdotto dalla citata L. del 2002, art. 32: nulla viene in tal regolamento previsto sulle modalità della convalida e della eventuale proroga del trattenimento in procedura semplificata di asilo.

Un intervento espresso venne invece formulato, con abrogazione delle norme testè citate, in sede di attuazione legislativa delle Direttive dell’Unione in materia: la direttiva 2004/83/CE venne attuata con il D.Lgs. 251 del 2007, che non rileva sul piano delle garanzie del procedimento, e la direttiva 2005/85/CE venne attuata dal D.Lgs. n. 25 del 2008, rilevante per quel che occupa, che ha abrogato (art. 40) le testè citate disposizioni legislative e regolamentari. Il decreto del 2008 ha quindi regolato (art. 21) i casi di trattenimento nei Centri sopra menzionati, disponendo che il provvedimento del Questore fosse soggetto all’osservanza delle modalità di cui all’art. 14, del T.U. (la durata di 30 giorni, la convalida, la proroga e la ricorribilità) con la precisazione che a trattenimento già in corso (e convalidato) potesse, ove attivata la procedura di cui all’art. 28, richiedersi al Tribunale in c.m. la proroga per ulteriori 30 giorni.

Il successivo D.Lgs. n. 159 del 2008, recante modificazioni al decreto delegato n. 25, nulla ha innovato per la parte che in questa sede rileva.

Delineato il quadro normativo dell’istituto in esame, attraverso le sue parallele e non lineari strade di evoluzione, giova anche rammentare che, sulla specifica questione sottoposta dal ricorso, questa Corte non ha mai avuto modo di pronunziare, se pur in due decisioni dell’anno 2006 ha delineato condizioni e rilevanza delle garanzie difensive in sede di convalida del trattenimento.

Nella sentenza n. 16216/08, infatti, si è rammentato che discende dal vigente quadro normativo che nel procedimento di convalida della misura di trattenimento in un CPTA lo straniero ha diritto all’assistenza da parte di un difensore di fiducia e che questi deve essere tempestivamente avvertito della relativa udienza e che l’audizione prescritta nei suddetti termini e modi di legge non può ritenersi soddisfatta da alcun altro atto equivalente, quale la presenza in udienza del difensore designato dal Giudice di pace. Nella sentenza n. 3268 dello stesso anno, d’altro canto, si precisa, come riportato nella massima redatta dall’Ufficio, che in tema di esecuzione dell’espulsione dello straniero, disciplinata dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, e con riguardo al procedimento di convalida del provvedimento del Questore di trattenimento temporaneo dello straniero presso un centro di permanenza, ove si denunzi una violazione delle regole dello stesso procedimento commessa dal giudice alla presenza del difensore del trattenuto, essa deve essere prospettata immediatamente a verbale dal difensore, e non può essere prospettata per la prima volta in sede di legittimità con il ricorso proposto avverso l’ordinanza conclusiva del procedimento, poichè la nullità sanata dal raggiungimento dello scopo,o sulla quale si sia registrata l’acquiescenza dell’interessato a dedurla, non si riflette sul provvedimento conclusivo del procedimento.

Con tale pronunziato emerge quindi la esigenza di riportare al corretto rapporto impugnatorio in sede di legittimità le violazioni al diritto della difesa commesse con il provvedimento o nella sede della convalida, rammentandosi che nessuna violazione è prospettabile alla Corte di legittimità se essa non sia stata eccepita o denunziata in sede di merito. Ed è tale principio che costituisce, come appresso si preciserà, una delle ragioni che fanno ritenere necessariamente prevista, alla doverosa lettura secundum constitutionem delle norme, una naturale applicazione delle garanzie di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 4, anche alla decisione sulla richiesta di proroga del trattenimento (tanto quello pre espulsivo quanto quello strumentale alla procedura semplificata).

Devesi premettere che sarebbe di solare evidenza la incostituzionalità della lettura della norma sulla proroga che facesse di essa un meccanismo di controllo officioso della richiesta, al di fuori delle garanzie della difesa nel regolare contraddittorio e con possibilità di audizione dell’interessato: i principii dettati dalla sentenza n. 222 del 2004 e prontamente recepiti dal legislatore del 2004, per i quali il contraddittorio è garanzia indefettibile le volte in cui il soggetto debba essere pur temporaneamente ristretto in stato di limitazione della libertà, non possono essere applicati per la convalida (di durata oggi non superiore a 30 giorni) e ignorati per la proroga, di altri 30 giorni per i trattenuti in richiesta di asilo, e che, nelle sue tre scansioni per il trattenimento pre espulsivo, perviene a giorni 150 di durata ulteriore.

L’incidenza evidente di tal interpretazione sull’art. 24 Cost., si accoppierebbe ad una macroscopica disparità di trattamento (art. 3 Cost.), ove si riservasse il pieno contraddittorio e l’adeguata difesa alla verifica delle condizioni di accesso alla misura e si affidasse al singolare colloquio cartaceo tra Amministrazione e giudice di pace il controllo della permanenza e dell’aggravamento delle condizioni autorizzanti la protrazione del vincolo (cfr. il testo vigente dell’art. 14, comma 4, con le modifiche apportate dalla L. del 2009).

Ma non ritiene il Collegio che siffatta conclusione debba essere attinta sulla base della lettura delle norme sopra esposte nè che, pertanto, la strada della rimessione alla Corte Costituzionale, come proposto con il terzo motivo del ricorso, sia la strada obbligata: a tanto non si perviene – infatti – là dove sia possibile una lettura secundum constitutionem delle norme, una lettura che la disamina attenta e sistematica delle norme stesse consente senza difficoltà.

1) Un primo rilievo si impone all’evidenza: il legislatore delegato del 1998 (art. 14, comma 4, nella sua prima stesura), ben prima di alcun intervento “repressivo” della Corte Costituzionale (infatti attingente l’area dell’accompagnamento coattivo, ab initio lasciata senza garanzie) e dell’intervento “integrativo” del 2004 (dettato da esigenze di omologazione delle garanzie vecchie e nuove), ebbe chiara la percezione della necessità che la decisione sulla privazione temporanea della libertà di locomozione dello straniero dovesse essere disposta solo provvisoriamente dall’Amministrazione ma che essa dovesse essere in realtà accordata dal giudice, all’esito di un procedimento camerale e sentito l’interessato. In questa logica legislativa, sin dall’inizio improntata all’osservanza del noto canone della civiltà giuridica, deve necessariamente ascriversi l’intera disciplina, comprensiva della proroga della stessa condizione di trattenimento ed anch’essa bisognevole di un provvedimento del giudice. E se la legittimità della “detenzione” dello straniero è stata fondata su di un provvedimento adottato nel contraddittorio (audiatur et altera pars), nulla impedisce di ritenere che anche il successivo segmento di “detenzione” si sia ritenuto legittimo soltanto se verificato allo stesso modo, posto che il controllo della legittimità di una misura incidente sulla libertà personale non attenua il suo rigore, riducendolo da effettivo a cartaceo, sol perchè le condizioni di accesso alla misura sono state una volta verificate ed ignorando che si tratta comunque di verificare che l’esigenza di indagini sulla identità o la permanente indisponibilità del vettore offerte alla prima verifica del giudice (Cass. n. 5918 del 2002), tali siano rimaste con il decorrere dei primi trenta giorni.

2) Il fatto che il legislatore abbia materialmente collocato la disciplina delle garanzie nel solo art. 14, comma 4, non significa certo che abbia voluto escluderne l’estensione anche alla proroga contenuta nel comma 5, posto che tanto nel primo intervento del 1998, quanto nei successivi interventi del 2002, del 2004 e del 2009, nel comma 4, trova spazio la disciplina delle regole e nel comma 5, quella afferente la durata e che la proroga non poteva avere menzione altro che nel comma 5, sedes materiae “della” proroga e quindi “delle” proroghe.

3) Ma all’argomento anzidetto, di particolare rilievo perchè attinente alla significatività della collocazione della previsione, devesi giustapporre un altro argomento di sistema, non meno decisivo, quello attinente la necessaria omogeneità dei provvedimenti chiesti al giudice (già il Pretore, quindi il Tribunale in c.m. e poi il Giudice di pace), non essendo configurabile una scelta dichiarata per un provvedimento assunto in sede camerale contenziosa, in prima fase, e quindi, un decreto inaudita altera parte in seconda fase, vieppiù non potendo il legislatore ignorare che nel nostro ordinamento processuale civile non esistono provvedimenti decisori e definitivi (quale è la proroga, difatti assoggettatata a ricorso per cassazione) che siano adottati senza alcun contraddittorio. Lo strumento del decreto de plano è infatti apprestato per le tutele cautelari, provvisorie, monitorie in un’ottica di assicurazione provvisoria di effetti, mai disgiunta dal contraddittorio successivo, necessario od eventuale. Non è dato riscontrare un provvedimento del giudice civile che, conoscendo di diritti soggettivi limitati dall’Amministrazione, a tanto provveda in via definitiva senza alcun contraddittorio. Tampoco esiste un provvedimento del giudice penale che convalidi od autorizzi un restringimento della libertà personale in difetto delle ridette garanzie. Non si scorge, pertanto, alcuna plausibilità nell’ipotizzare che il legislatore del 1998 dopo aver rettamente correlato la prima misura restrittiva al procedimento in contraddittorio, disinvoltamente (fantasiosamente) abbia affidato la seconda e le successive ad una pura invenzione giuridica, quella di un decreto de plano di merito e definitivo sconosciuto tanto al processo civile quanto al processo penale.

4) Argomento di chiusura è, poi, quello ricavabile dall’art. 14, comma 6, disposizione rimasta immutata negli undici anni dalla sua prima introduzione, per il quale contro i decreti di convalida e proroga di cui al comma 5, è proponibile ricorso per cassazione. Se il ricorso, pur nella sua area sindacatoria più ristretta dell’impugnazione per violazione di legge, presuppone una devoluzione limitata agli errores in procedendo ed in judicando commessi dal primo giudice, non si può configurare una impugnazione in sede di legittimità avverso un decreto de plano che non sia, cioè, adottato all’esito di una udienza nella quale siano dal difensore addotti errori procedurali o prospettata la inesistenza delle condizioni autorizzanti il restringimento e sui quali, soltanto, può essere chiamata a pronunziare la Corte di legittimità (cfr. la citata Cass. n. 3268 del 2006), a meno di non voler configurare il comma 6 in discorso come la prima disposizione che abbia voluto fare del giudizio di cassazione un giudizio di merito di tipo oppositorio nel quale poter eccepire per la prima volta tardività o nel quale poter nel merito discutere della inesistenza in fatto delle ragioni per un ulteriore trattenimento dello straniero (sia in attesa di espulsione sia per le lungaggini della procedura di esame della richiesta di protezione). Ma poichè la scelta di sistema, esplicita nella disposizione in disamina, di omologare sotto il segno della diretta ricorribilità per cassazione i decreti di convalida e di proroga, appare eloquente della consapevolezza dell’unicità e “normalità” del ricorso per cassazione (Cass. n. 647 del 2001 e n. 3454 del 2002), ne discende, ancora una volta, che la scelta di una unica modalità impugnatoria è eloquente della scelta di una unica modalità di decisione del provvedimento da impugnare.

5) Nè ostacoli alla interpretazione secundum constitutionem qui formulata possono rinvenirsi nel tenore dell’art. 14, comma 4, evidentemente costruito in termini di verifica (convalida) di una misura già adottata ed interinalmente efficace. Giova pervero rammentare che il ruolo del giudice di pace in sede di convalida non è certo quello di verificare la legittimità di un atto amministrativo bensì, come sempre avviene nei procedimenti di opposizione a ordinanza o misura amministrativa assegnati alla cognizione del giudice ordinario, quello di accertare le condizioni per la limitazione del diritto soggettivo del destinatario (o per la imposizione di una sanzione a suo carico). Se è dunque questo il quadro, è agevole rilevare che il termine per l’inoltro della richiesta di convalida e degli atti (48 ore dalla adozione del provvedimento) non può essere esteso alla proroga posto che, in tal caso, stante la attualità del trattenimento, il tempo di invio della richiesta e degli atti è individuato in via automatica in relazione al termine di scadenza della misura in atti ed al rispetto del successivo termine di 48 ore. Si intende dire che la richiesta di proroga e gli atti che la corredano devono pervenire all’Ufficio del giudice di pace nel rispetto del termine di cui al comma 4, e cioè in tempo utile perchè, usando di detto termine per la convocazione dell’originario (o sostituito) difensore e dello stesso interessato, per la tenuta dell’udienza camerale nonchè per la redazione del decreto motivato, il giudice possa depositare il decreto di proroga entro le 48 ore dalla ricezione della richiesta (Cass. n. 9002 del 2000) ma prima della scadenza del termine ex lege assegnato a suo tempo con la convalida.

Alla luce delle esposte considerazioni, ritenendo applicabile alla proroga di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, commi 5 e 6, e successive modificazioni, nonchè a quella di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 21, comma 2, e successive modificazioni, la prima spettante al Giudice di pace e la seconda al Tribunale in c.m., le garanzie ed i termini procedimentali di cui all’art. 14, comma 4, del Decreto del 1998, e con i limiti cennati al capoverso che precede, devesi cassare il decreto emesso de plano nella specie dal Giudice di Pace di Roma il 18/2/2009, pervenendo alla cassazione senza rinvio del provvedimento ai sensi dell’art. 382 c.p.c., comma 3, (più non potendo essere prorogata la misura di trattenimento a suo tempo disposta).

La assoluta novità della questione impone di compensare le spese del giudizio tra la ricorrente e le soccombenti Amministrazioni.

P.Q.M.

Cassa il decreto impugnato senza rinvio e compensa per intero tra le parti le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2010

 

 

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