Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4868 del 28/02/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 4868 Anno 2014
Presidente: MIANI CANEVARI FABRIZIO
Relatore: BANDINI GIANFRANCO

SENTENZA

sul ricorso 5989-2012 proposto da:
ALESSANDRINI

RICCARDO

C.F.

LSSRCR41B09H542D,

elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA COLA DI
RIENZO 69, presso lo studio dell’avvocato BOER PAOLO,
che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente 2014
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contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE
C.F. 80078750587, in persona del legale rappresentante
pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale

Data pubblicazione: 28/02/2014

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati
CALIULO LUIGI, PREDEN SERGIO, CARCAVALLO LIDIA,
PATTERI ANTONELLA, giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 1019/2010 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza

del

21/01/2014

dal

Consigliere

Dott.

GIANFRANCO BANDINI;
udito l’Avvocato BOER PAOLO;
udito l’Avvocato PATTERI ANTONELLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

di BOLOGNA, depositata il 01/03/2011 r.g.n. 42/2003;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

era titolare di pensione di vecchiaia dal 1996;
nel corso della sua vita lavorativa aveva versato contributi sia in
favore della gestione coltivatori diretti mezzadri e coloni, sia della
gestione dell’assicurazione obbligatoria dei lavoratori dipendenti;
– il requisito contributivo era stato raggiunto senza necessità dei
contributi versati al fondo lavoratori dipendenti;
chiese che la pensione venisse ricalcolata senza considerare, per
ciò che ancora qui specificamente rileva, i contributi versati al fondo
lavoratori dipendenti.
Radicatosi il contraddittorio e sulla resistenza dell’Inps, il Giudice
adito respinse il ricorso.
La Corte d’Appello di Bologna, con sentenza del 4.11.20101032011, rigettò il gravame del pensionato.
A sostengo del decisum, sempre per ciò che ancora qui rileva, la
Corte territoriale osservò quanto segue:

il pensionato aveva maturato posizioni contributive dal 1°.1.1957

al 31.12.1963 nella gestione dei lavoratori autonomi Coltivatori Diretti
Mezzadri e Coloni (CDCM), dall’11.11.1963 al 31.12.1995 nella
gestione dell’Assicurazione Obbligatoria dei Lavoratori Dipendenti
(FPLD) e dal 1°.2.1981 al 31.12.1995 nella gestione dei lavoratori
autonomi Coltivatori Diretti Mezzadri e Coloni (CDCM);
3

Alessandrini Riccardo convenne in giudizio l’Inps e premesso che:

-

con riguardo al periodo successivo al 31.12.1980, esisteva

svolto contemporaneamente sia attività autonoma, che come
agricolo giornaliero;

la liquidazione della pensione de qua era stata operata sulla

scorta di tutti i contributi versati e/o accreditati nelle predette gestioni,
avendo il ricorrente continuato a lavorare sino al 31.12.1995;
– non era controverso in punto di fatto che:
1) ai fini della maturazione del diritto a pensione era sufficiente
considerare, per il periodo successivo al 31.12.1980 i contributi
versati in qualità di coltivatore diretto, determinando la
trasformazione di tali contributi la piena copertura annua (156 gg. : 3
= 52 settimane annue); 2) l’utilizzazione dei contributi versati al
Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti (FPLD) nel periodo dal
1°.1.1981 al 31.12.1995, per effetto della riduzione dell’attività
lavorativa e della conseguente minore retribuzione, aveva
comportato la liquidazione di una quota di pensione mensile inferiore
a quella che sarebbe risultata a seguito della «neutralizzazione» del
predetto periodo;

i principi enunciati dalla giurisprudenza costituzionale invocata

dal pensionato (segnatamente la sentenza della Corte Costituzionale
n. 264/1994), non conducevano all’accoglimento della domanda, in
quanto, a seguito della riforma del regime pensionistico attuata con il
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perciò doppia contribuzione (CDCM e FPLD) avendo il ricorrente

dl.vo n. 503/92 e con la legge n. 335/1995, era da escludere

posto che, nel nuovo sistema, l’individuazione del periodo di
riferimento per la determinazione della retribuzione pensionabile non
persegue la finalità di garantire al lavoratore una più favorevole base
di calcolo per la liquidazione della pensione onde, rispetto al sistema
oggetto di sindacato nella pronuncia invocata (che prendeva invece
in considerazione per la determinazione della retribuzione
pensionabile solo l’ultimo periodo lavorativo), non appare dare luogo
a risultati palesemente irrazionali o comunque contrari ai principi
costituzionali (di adeguatezza della prestazione previdenziale e della
proporzionalità con il livello retributivo conseguito o con la qualità e la
quantità di lavoro prestato) che regolano la materia.
Avverso la suddetta sentenza della Corte territoriale, Alessandrini
Riccardo ha proposto ricorso per cassazione fondato su un unico
motivo e illustrato con memoria.
L’Inps ha resistito con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo, denunciando violazione dell’art. 16 legge n.
233/90, anche in relazione alla sentenza della Corte Costituzionale
n. 264/1994 e del principio di irriducibilità del livello virtuale di
pensione raggiunto nel corso del rapporto di lavoro, il ricorrente
deduce che non esiste un limite alla contribuzione da neutralizzare,
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l’esistenza di un contrasto con gli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione,

dovendo quindi essere neutralizzati tutti i periodi finali il cui computo

virtualmente conseguito prima della maturazione del diritto a
pensione, purché la contribuzione residua garantisca il requisito
contributivo richiesto per il tipo di pensione da liquidare.
2. Osserva il Collegio che, con la sentenza n. 264/1994, la Corte

Costituzionale ha enunciato il principio secondo cui, posta la
discrezionalità del legislatore nell’operare scelte in ordine alla
individuazione del periodo di riferimento per la determinazione della
retribuzione pensionabile, risulta palesemente contrario al principio
di razionalità – implicante l’esigenza di conformità dell’ordinamento a
valori di giustizia e di equità – che dall’applicazione del meccanismo
previsto dal nostro sistema previdenziale per la determinazione di
tale retribuzione, il quale stabilisce che questa sia costituita dalla
quinta parte della somma delle retribuzioni percepite durante il
rapporto di lavoro (oppure corrispondenti o a periodi riconosciuti
figurativamente o a eventuale contribuzione volontaria), risultante per una presunzione di maggior favore verso il lavoratore – dal solo
ultimo periodo lavorativo di 260 settimane, consegua, nel caso in cui
in tale lasso di tempo debbano venire ricompresi periodi di
contribuzione obbligatoria di importo notevolmente inferiore alla
contribuzione precedente (e non utili per l’anzianità contributiva
minima) una diminuzione del trattamento pensionistico del soggetto
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comporta una riduzione del trattamento pensionistico già

rispetto a quello che gli sarebbe spettato se non avesse dovuto

eventualità, infatti, oltre che irragionevole e ingiusto, incide sul
principio di proporzionalità tra pensione e quantità e qualità di lavoro
prestato e sulla garanzia previdenziale, di cui, rispettivamente, agli
artt. 36 e 38 della Costituzione.
Conseguentemente

la

Corte

Costituzionale

dichiarò

costituzionalmente illegittimo l’art. 3, ottavo comma, legge 29 maggio
1982, n. 297, nella parte in cui non prevede che, nel caso di
esercizio durante l’ultimo quinquennio di contribuzione di attività
lavorativa, meno retribuita, da parte del lavoratore che abbia già
conseguito la prescritta anzianità contributiva, la pensione liquidata
non possa essere comunque inferiore a quella che sarebbe spettata,
al raggiungimento dell’età pensionabile, escludendo dal computo, ad
ogni effetto, i periodi di minore retribuzione, in quanto non necessari
ai fini del requisito dell’anzianità contributiva minima.
Con la successiva sentenza n. 388/1995, il Giudice delle leggi,
sempre con riguardo alle modalità di liquidazione delle pensioni
previdenziali, ha ancora precisato e sottolineato che la
discrezionalità del legislatore nella scelta, ad esso riservata, del
criterio di individuazione del periodo di riferimento della retribuzione
pensionabile, incontra un limite intrinseco nella esigenza – fondata
sui valori di giustizia e di equità connaturati a principi sanciti dagli
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effettuare dette diverse contribuzioni; il verificarsi di una tale

artt. 3 e 38 della Costituzione – che, nella fase successiva al

contribuzione (qualunque ne sia la natura: obbligatoria, volontaria o
figurativa) sia destinata unicamente ad incrementare il livello di
pensione già consolidatosi, senza mai poter produrre l’effetto
opposto di compromettere la misura della prestazione
potenzialmente maturata in itinere.
La Corte Costituzionale ha dunque espressamente sancito il
principio che la contribuzione acquisita nella fase successiva al
perfezionamento del requisito minimo contributivo non può tradursi
nel detrimento della misura della prestazione pensionistica già
virtualmente maturata (cfr, ex plurimis, Cass., n. 29903/2011),
Dalla portata del suddetto principio è però agevole desumere, a
contrariis,

l’inapplicabilità della neutralizzazione dei periodi

contributivi che concorrano ad integrare il requisito necessario per
l’accesso al trattamento pensionistico (cfr, ancorché in fattispecie
diversa da quella in esame, Cass., n. 27879/2008).
Il che è quanto si è verificato nel caso che ne occupa, ove, in
presenza di un’attività lavorativa mista (ossia autonoma e di lavoro
dipendente), i periodi con versamento coevo di contribuzione sia alla
gestione dei lavoratori autonomi Coltivatori Diretti Mezzadri e Coloni
(CDCM) che alla gestione dell’Assicurazione Obbligatoria dei
Lavoratori Dipendenti (FPLD) hanno concorso alla maturazione del
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perfezionamento del requisito minimo contributivo, l’ulteriore

requisito contributivo minimo, cosicché la contribuzione di cui è stata

successiva al perfezionamento di tale requisito minimo e, come tale,
destinata unicamente ad incrementare il livello di pensione già
consolidatosi.
Ed invero, come è stato già affermato dalla giurisprudenza di questa
Corte (cfr,

ex plurimis,

Cass., nn. 18569/2008; 11193/2009;

17237/2010), su un piano generale il regime dell’assicurazione
obbligatoria per invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, pur
articolandosi in diverse gestioni, ha struttura unitaria, configurandosi,
in relazione ad ogni assicurato, un rapporto assicurativo
previdenziale unico, in base al quale l’assicurato può conseguire la
liquidazione d’una sola pensione, mediante la valorizzazione dei
contributi versati nelle varie gestioni, anche se con modalità diverse,
di talché l’art. 16 legge n. 233/90 risulta funzionale al semplice
coordinamento della gestione ordinaria e delle gestioni speciali
nell’ambito dell’unitario regime di assicurazione generale
obbligatoria, caratterizzato da regole di base uniformi e ormai anche
da ampia omogeneità riguardo alle tecniche operative di dettaglio.
Il motivo di ricorso non può dunque trovare accoglimento, previa
correzione della motivazione della sentenza impugnata nei termini
testé indicati.

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richiesta la neutralizzazione non può ritenersi riferibile ad una fase

Attese le ragioni del decidere, risulta manifestamente irrilevante

memoria illustrativa) dell’art. 3, comma 8, legge n. 297/82, in
connessione con l’art. 3 e con l’art. 13 dl.vo n. 153/69, che, nel
dilatare oltre il quinquennio l’arco temporale di riferimento per
determinare la retribuzione pensionabile senza ribadire il principio di
irriducibilità della pensione, avrebbe violato gli artt. 1, 35, 36 e 38
della Costituzione.
3. In definitiva il ricorso deve essere rigettato.
La complessità delle questioni trattate e l’assenza di specifici e
consolidati precedenti di legittimità, consiglia la compensazione delle
spese.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.
Così deciso in Roma il 21 gennaio 2014.

l’eccezione di incostituzionalità (prospettata dal ricorrente con la

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