Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4868 del 28/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 28/02/2011, (ud. 19/01/2011, dep. 28/02/2011), n.4868

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – rel. Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

I.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

PRINCIPESSA CLOTILDE 7, presso lo studio dell’avvocato TROIAIO

RICCARDO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROSSO

RODOLFO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 451/2006 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 20/04/2006 r.g.n. 2166/04;

udita la relaziono della causa svolta nella pubblica udienza del

19/01/2011 dal Consigliere Dott. PIETRO ZAPPIA;

udito il P.M. in persona, del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Biella, depositato in data 3.5.2002, I.P., collaboratore UNEP presso il Tribunale suddetto, premesso che la propria attività lavorativa comportava la prestazione di un orario anche superiore alle dieci ore giornaliere, e rilevato che presso gli uffici dove svolgeva la sua attività non esisteva un servizio mensa, chiedeva, nei confronti del Ministero della Giustizia, il riconoscimento del diritto alla percezione dei cd. “buoni pasto” ai sensi della L. n. 550 del 1995, art. 2, comma 11, nonchè la dichiarazione del diritto a tale trattamento economico.

Con sentenza in data 18.12.2003 il Tribunale adito rigettava la domanda.

Avverso tale sentenza proponeva appello l’originario ricorrente lamentandone la erroneità sotto diversi profili e chiedendo l’accoglimento delle domande proposte con il ricorso introduttivo.

La Corte di Appello di Torino, con sentenza in data 16.3/20.4.2006, rigettava il gravame.

In particolare la Corte territoriale rilevava, in relazione alla posizione degli Ufficiali Giudiziari, l’insussistenza del presupposto della predisposizione di un particolare orario di lavoro e l’assenza di una esplicita disposizione normativa o pattizia che attribuisse agli stessi il diritto alla fruizione del richiesto buono pasto.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione I. P. con un motivo di impugnazione.

Resiste con controricorso il Ministero intimato.

Diritto

Col predetto motivo di ricorso si lamenta violazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione alla L. n. 550 del 1995, art. 2, comma 11, ed alla L. n. 334 del 1997, art. 3, comma 1, nonchè del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del 24.4.2002 relativo alle norme di raccordo per gli Ufficiali Giudiziari di cui all’art. 1, comma 2, del C.C.N.L. del Comparto Ministeri sottoscritto il 16 febbraio 1999 – Insufficiente motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5).

In particolare il ricorrente osserva che erroneamente la Corte territoriale aveva escluso il diritto al chiesto buono pasto assumendo che l’esistenza di tale diritto non poteva rinvenirsi nelle disposizioni di legge esaminate (L. n. 550 del 1996, art. 2, comma 11, ed L. n. 334 del 1997, art. 3, comma 1), e rilevando che solo il contratto collettivo avrebbe potuto attribuire il diritto a tale erogazione; ed osserva che il riferimento, operato dalla predetta L. n. 550 del 1995, art. 2, comma 11, alla contrattazione prevista dal Titolo 3^ del D.Lgs. n. 29 del 1993, non poteva che riferirsi alle eventuali modalità di erogazione, ma non alla creazione – siccome erroneamente ritenuto dalla Corte di merito – di un diritto che invece spettava ex lege.

Il ricorso non è fondato.

Le argomentazioni proposte dal ricorrente muovono in buona sostanza dall’assunto che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’appello, il diritto al chiesto buono pasto sorgeva immediatamente dalla legge ed era previsto nei testi normativi sopra indicati.

Ritiene il Collegio che la tesi svolta dal ricorrente non sia fondata. Ed invero in proposito deve rilevarsi che, alla stregua del criterio di interpretazione di cui all’art. 12 disp. gen., il quale impone di attribuire alla proposizione normativa da interpretare il senso fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, il contenuto delle disposizioni predette si appalesa sufficientemente chiaro, siccome confermato dalla lettura coordinata delle norme in questione che esclude ogni possibile dubbio interpretativo.

Le richiamate disposizioni di legge (L. n. 550 del 1995, art. 2, comma 11,) prevedono infatti il diritto alla percezione del buono pasto per quei dipendenti che abbiano attivato l’orario di servizio e di lavoro su cinque (o, alla stregua dell’interpretazione autentica fornita dalla L. n. 334 del 1997, art. 3, comma 2, anche su sei o sette) giornate lavorative e che non dispongano di servizi di mensa o sostitutivi.

In tali norme si fa pertanto riferimento sia alla turnazione che all’attivazione di un orario di lavoro, il che evidenzia la correttezza dell’interpretazione operata dalla Corte territoriale la quale ha rilevato come le disposizioni relative ai suddetti buoni mensa siano applicabili ai lavoratori dipendenti in genere in quanto siano tenuti all’osservanza di un preciso orario di lavoro avente carattere continuativo.

Siffatta interpretazione trova un obiettivo elemento di riscontro nel contenuto della circolare del Ministero della Giustizia in data 10.2.1998, indicata dallo stesso ricorrente, la quale al punto 3 lett. b) evidenzia come il buono pasto spetti “per ogni turno di servizio di almeno otto ore continue”, ribadendo tale principio laddove nello stesso comma rileva che “il servizio durante il turno deve essere reso in modo continuativo … senza intervallo o pause”.

E tale conclusione trova un ulteriore motivo di conferma nella valutazione della ratio legis, costituita dall’esigenza di sopperire alle necessità di quei dipendenti che, in base a numero di ore di prestazione lavorativa loro consecutivamente richiesta, si troverebbero nella impossibilità di consumare il pasto allontanandosi dai locali di lavoro.

Non viene quindi in rilievo, ai fini della esclusione del diritto di beneficiare del detto buono mensa, la non controllabilità del lavoro allorchè sia connotato dalle caratteristiche della flessibilità ed autonomia, nè assume rilevanza il numero delle ore di lavoro del dipendente che si trovi in tali condizioni, ma solo resistenza della possibilità in capo allo stesso di poter organizzare, in autonomia, la propria attività lavorativa non essendo astretto alla osservanza di una turnazione con servizio necessariamente continuativo durante il turno, e non realizzandosi quindi in tal caso le condizioni per l’attribuzione del chiesto buono.

Non potendo pertanto, alla stregua delle considerazioni in precedenza svolte, il diritto alla percezione dei buoni mensa ravvisarsi, per quel che riguarda gli Ufficiali Giudiziari, direttamente nella legge, appare corretta la determinazione della Corte territoriale la quale ha ritenuto che, in tal caso, occorre una specifica previsione nella contrattazione collettiva; pervenendo quindi, consequenzialmente, in assenza di alcuna previsione contrattuale – collettiva sul punto, al rigetto della domanda proposta.

Nè può ravvisarsi alcun profilo di illegittimità costituzionale in relazione all’art. 3 Cost, sotto il profilo della diversità di trattamento di soggetti in posizione sostanzialmente identica, dovendosi ritenere, per come detto, la diversità della posizione del dipendente costretto all’osservanza durante il turno lavorativo di un orario continuativo (che non gli consente quindi di consumare il pasto fuori dei locali di lavoro), rispetto a quella del dipendente che possa procedere ad una autonoma organizzazione del proprio orario lavorativo.

Il proposto gravame va pertanto rigettato.

Ricorrono giusti motivi, avuto riguardo alle peculiarità ed alla novità della questione proposta, per compensare interamente tra le parti le spese relative al presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese relative al presente giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2011

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