Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4866 del 01/03/2018


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Cassazione civile, sez. II, 01/03/2018, (ud. 23/11/2017, dep.01/03/2018),  n. 4866

Fatto

 

Con ricorso del 10 dicembre 2011, formulato ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 22, la s.p.a. Filanto proponeva opposizione avverso l’ordinanza-ingiunzione n. 155/Area 3^ Ter/2011/Dep emessa dal Prefetto di Bari il 10 novembre 2011, con la quale era stata disposta la confisca di n. 1083 cartoni contenenti calzature, suole e tomaie (di proprietà della stessa ricorrente e) trasportati da un autoarticolato di proprietà della “Trans-Speed ShpK” con riferimento all’infrazione amministrativa di cui al D.Lgs. n. 286 del 2005, art. 7, comma 2 e della L. n. 289 del 1974, art. 26, comma 2, deducendo la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 13, cit. D.Lgs. n. 286 del 2005, art. 7 e della indicata L. n. 298 del 1974, art. 26, oltre che del principio di buona fede oggettiva e di tutela dell’affidamento e dell’apparenza;

che, nella costituzione dell’opposto Prefetto, il Tribunale di Bari, con sentenza n. 1641/2012, rigettava la proposta opposizione, e che tale decisione veniva confermata, sul gravame avanzato dall’originaria opponente, dalla Corte di appello di Bari con sentenza n. 1504 del 2013, mediante la quale il giudice di secondo grado respingeva tutte le doglianze dell’appellante sul presupposto che il primo giudice aveva fatto buon governo dei principi in materia, escludendo la dedotta contraddittorietà e/o superficialità della motivazione della decisione di prime cure.

Diritto

CONSIDERATO

che:

avverso la suddetta sentenza di appello ha proposto tempestivo ricorso per cassazione la s.p.a. Filanto (in persona del legale rappr. p.t.), articolato in tre motivi, al quale ha resistito con controricorso l’intimato Ufficio Territoriale del Governo di Bari;

che, in particolare, con il primo motivo la società ricorrente ha dedotto la falsa ed erronea applicazione ed interpretazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione alla L. n. 689 del 1981, art. 13, comma 2 e art. 20, comma 5 e al D.Lgs. n. 286 del 2005, art. 7, comma 2 e della L. n. 298 del 1974, art. 26,comma 2, stante la vigenza del “principio di personalità dell’illecito amministrativo” di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 3 (elemento soggettivo della propria azione od omissione cosciente e volontaria), oltre che in ordine al difetto di prova e alla conseguente violazione dell’art. 2697 c.c., comma 1;

che, con la seconda censura, la stessa ricorrente ha denunciato il vizio di omessa ed insufficiente motivazione sul fatto fondamentale e decisivo della controversia circa l’imputazione “concorsuale” dell’addebito alla stessa e, quindi, della sua “responsabilità” in ordine alla violazione materialmente commessa dal vettore straniero che aveva prodotto all’autorità doganale italiana documenti “debitamente compilati e vidimati in dogana” ma risultati, successivamente, falsi o contraffatti, dei quali non poteva essere scoperta (“ex ante”) la relativa falsità, usando l’ordinaria diligenza;

che, con la terza doglianza, la ricorrente ha prospettato un ulteriore vizio di omessa od insufficiente valutazione delle risultanze processuali e, comunque, per mancata assunzione della prova testimoniale richiesta da essa ricorrente sia in primo che in secondo grado e – di fatto – disattesa da entrambi i giudici di merito, senza adottare sul punto alcuna espressa motivazione o giustificazione, circa la mancata istruttoria della causa, in tal senso deducendo anche la nullità del procedimento per error in procedendo in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

che, in effetti, malgrado la formale scomposizione del ricorso nei richiamati tre motivi come indicati nella sua premessa (v. pagg. 2-3), lo svolgimento del percorso logico-giuridico confutativo della sentenza di appello impugnata è complessivamente riferito alla censura (pacificamente ammissibile) – correlata a plurime violazioni o false applicazioni di leggi – riportata come prima, nel mentre le altre due doglianze non risultano poi propriamente sviluppate e, in ogni caso, sono state rivolte ad assunti vizi di omessa od insufficiente motivazione avendo come riferimento la precedente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (non più applicabile con riguardo ai ricorsi formulati per l’impugnazione delle sentenze pubblicate dopo l’11 settembre 2012, ai sensi del D.L. n. 82 del 2012, art. 54, comma 3, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012 e la sentenza in questione risulta pubblicata 14 novembre 2013), senza porre, invece, riferimento al solo “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione” (come ora consentito dal novellato dell’art. 360 cit., comma 1, n. 5), che è stato, invero, affrontato dal giudice di secondo grado;

che, ad avviso del collegio, il ricorso, così come delimitato, è fondato;

che, in effetti, con l’enucleato motivo fondante del ricorso incentrato sulle dedotte violazioni e/o false applicazioni del D.Lgs. n. 286 del 2005, art. 7, comma 2 e della L. n. 298 del 1974, art. 26, comma 2 (in correlazione con la L. n. 689 del 1981, art. 13, comma 2, e art. 20, comma 5), nonchè della citata L. n. 689 del 1981, art. 3 e dell’art. 2697 c.c., comma 1, la società ricorrente ha dedotto, in sostanza, la non addebitabilità ad essa della violazione amministrativa presupposta dall’ordinanza di confisca notificatale ed opposta, asserendo che la sentenza di appello sarebbe andata in contrasto con il principio di personalità dell’illecito amministrativo, sostenendo che, in particolare, la responsabilità – soprattutto ai fini della confisca – non avrebbe potuto essere ascritta, nella fattispecie, alla stessa società deducente, bensì alla società estera (Filanto Albania Sh.pk) da lei controllata, quale effettiva committente del contestato autotrasporto dall’estero;

che, prima di esaminare funditus la doglianza, appare opportuno riportare il testo delle due richiamate norme speciali contenute, rispettivamente, nella L. 6 giugno 1974, n. 298, art. 26, al comma 2 (recante “Istituzione dell’albo nazionale degli autotrasportatori di cose per conto di terzi, disciplina degli autotrasporti di cose e istituzione di un sistema di tariffe a forcella per i trasporti di merci su strada”), e nel D.Lgs. 21 novembre 2005, n. 286, art. 7, comma 2 (recante “Disposizioni per il riassetto normativo in materia di liberalizzazione regolata dell’esercizio dell’attività di autotrasportatore”), i quali così recitano:

a) L. n. 298 del 1974, art. 26, comma 2 (Esercizio abusivo dell’autotrasporto): Chiunque affida l’effettuazione di un autotrasporto di cose per conto di terzi a chi esercita abusivamente l’attività di cui all’art. 1 o ai soggetti di cui all’art. 46 della presente legge, è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire tre milioni a Lire diciotto milioni (ora da Euro 1.549,37 ad Euro 9.296,22);

b) D.Lgs. n. 286 del 2005, art. 7, comma 2 (Responsabilità del vettore, del committente, del caricatore e del proprietario della merce): Ferma restando l’applicazione delle disposizioni di cui alla L. 6 giugno 1974, n. 298, art. 26, commi 1 e 3 e successive modificazioni, nei confronti dei soggetti che esercitano abusivamente l’attività di autotrasporto, le sanzioni di cui alla L. 6 giugno 1974, n. 298, art. 26, comma 2, si applicano al committente, al caricatore ed al proprietario della merce che affidano il servizio di trasporto ad un vettore che non sia provvisto del necessario titolo abilitativo, ovvero che operi violando condizioni e limiti nello stesso prescritti, oppure ad un vettore straniero che non sia in possesso di idoneo titolo che lo ammetta ad effettuare nel territorio italiano la prestazione di trasporto eseguita. Alla violazione consegue la sanzione amministrativa accessoria della confisca delle merci trasportate, ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 20 e successive modificazioni. Gli organi di polizia stradale di cui al D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 12 e successive modificazioni, procedono al sequestro della merce trasportata, ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 19 e successive modificazioni;

che, nell’interpretazione di tali disposizioni normative, deve, in particolare, osservarsi che – in conformità al dettato del principio e criterio direttivo rinvenibile nella Legge Delega n. 32 del 2005, art. 2 – con il D.Lgs. n. 286 del 2005, citato art. 7, è stato esplicitamente introdotto il principio della responsabilità “soggettiva” per violazione delle disposizioni sulla sicurezza della circolazione sia a carico del vettore che a carico di una ulteriore classe di soggetti (committente, “caricatore” e proprietario delle merci) alle condizioni che tale loro responsabilità (soggettiva) sia “accertata” e che essi agiscano “nell’esercizio di una attività di impresa o di funzioni pubbliche”, con la conseguenza che l’uso dell’attributo “soggettiva” riferito alla suddetta responsabilità depone univocamente per una opzione contraria all’introduzione di una responsabilità di natura oggettiva e/o vicaria, sicchè deve escludersi, in via ermeneutica, l’ipotesi che il legislatore abbia inteso prevedere una forma di responsabilità per illeciti compiuti senza colpa e per illeciti compiuti da altri (e segnatamente da soggetti delle cui azioni un operatore dovrebbe rispondere per via di un rapporto di ausiliarietà nell’esecuzione del contratto ex art. 1228 c.c. o di subordinazione o parasubordinazione nell’organizzazione della propria impresa ex art 2049 c.c.);

che, inoltre, con riferimento all’ambito sanzionatorio amministrativo e specificamente in ordine all’interpretazione della norma generale di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 3 (contemplante la disciplina dell’elemento soggettivo), il legislatore ha imposto che, ai fini della configurazione della responsabilità per violazioni amministrative riconducibili a condotta attiva od omissiva, è richiesto, che l’autore abbia agito almeno con coscienza e volontà, sia essa dolosa o colposa;

che, alla stregua del citato D.Lgs. n. 286 del 2005, art. 2, con riferimento alle definizioni e ai ruoli attribuiti ai soggetti che si inseriscono nella c.d. “filiera del trasporto”, si intende per:

– vettore, l’impresa di autotrasporto iscritta all’albo nazionale delle persone fisiche e giuridiche che esercitano l’autotrasporto di cose per conto di terzi, ovvero l’impresa non stabilita in Italia, abilitata ad eseguire attività di autotrasporto internazionale o di cabotaggio stradale in territorio italiano che è parte di un contratto di trasporto di merci su strada;

– committente, l’impresa o la persona giuridica pubblica che stipula o nel nome della quale è stipulato il contratto di trasporto con il vettore;

– caricatore, l’impresa o la persona giuridica pubblica che consegna la merce al vettore, curando la sistemazione delle merci sul veicolo adibito all’esecuzione del trasporto;

che, sulla premessa della differenziazione dei predetti ruoli (e di quello del proprietario della merce oggetto di trasporto), è emerso, per quanto accertato in fatto nella sentenza impugnata, che il trasporto della merce poi sequestrata al porto di (OMISSIS) (ed oggetto dell’impugnata ordinanza di confisca) era stato commissionato dalla società di diritto albanese Filanto Albania sh.pk. (controllata – per effetto del possesso di quote del relativo capitale sociale dalla controllante Filanto s.p.a.-Italia, proprietaria e destinataria del carico in territorio italiano) ad un vettore albanese, il cui autista, al momento della verifica della regolarità del trasporto internazionale da parte della locale Guardia di finanza all’atto dello sbarco (dopo essere partito da (OMISSIS), in territorio albanese) nel porto di Bari, era stato trovato in possesso di un permesso autorizzativo che, solo all’esito di un più approfondito successivo controllo (non essendone accertabile la falsificazione prima facie), era risultato contraffatto, ragion per cui si era provveduto alla contestazione della violazione conseguente alla mancanza di autorizzazione (per difetto di titolo autorizzativo al trasporto internazionale) e al contestuale sequestro della merce trasportata, a cui aveva fatto seguito (in risposta al ricorso in opposizione ai sensi dell’art. 19 della legge n. 689/1981 da parte della Filanto s.p.a. Italia, proprietaria della merce stessa) l’emanazione – da parte del Prefetto di Bari – dell’ordinanza di confisca nei confronti dell’attuale ricorrente, in applicazione del combinato disposto dei già menzionati del D.Lgs. n. 286 del 2005, art. 7, comma 2 e della L. n. 689 del 1981, art. 20;

che, in particolare modo, con la sentenza qui impugnata, la Corte di appello di Bari – confermando l’impostazione motivazionale del giudice di primo grado ha ritenuto sussistente la responsabilità per omissione della predetta Filanto s.p.a. Italia sul presupposto che la stessa sarebbe stata tenuta ad adoperare una maggiore diligenza diretta precipuamente alla verifica, oltre che dell’iscrizione del vettore all’apposito albo, anche dell’autorizzazione al trasporto internazionale, ragion per cui non avrebbe potuto escludersi la sua responsabilità per effetto della sua allegata buona fede, configurandosi, quantomeno, un suo concorso nella realizzazione dell’illecito amministrativo a titolo di colpa omissiva;

che il principio giuridico affermato dalla Corte barese in relazione allo svolgimento della vicenda fattuale così come ricostruita non è meritevole di adesione, dal momento che – proprio in relazione alla diversità dei ruoli esercitati nella filiera del trasporto internazionale e all’individuazione delle condotte in concreto esigibili anche in correlazione alla necessaria sussistenza dell’elemento soggettivo da parte dei differenti potenziali concorrenti – nella fattispecie non poteva ritenersi che fosse esigibile, da parte della Filanto s.p.a. (quale proprietaria e destinataria della merce), una diligenza così incisiva fino a potersi da essa pretendere di dover controllare la regolarità del documento di trasporto utilizzato dal vettore albanese al momento della partenza dall’estero, la cui attività di trasporto per il trasferimento del carico in Italia era stata commissionata direttamente da una società estera (ancorchè collegata, sul piano economico-commerciale, con quella di destinazione) con apposita convenzione formale ad una ditta di autotrasporti che era risultata regolarmente iscritta all’Albo nazionale dei trasportatori in conto terzi in Albania;

che, perciò, con riferimento alla specifica fattispecie, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte territoriale in merito alla ravvisata responsabilità (anche) della ricorrente in ordine all’accertata contraffazione del titolo autorizzativo al trasporto internazionale, deve, invece, rilevarsi che la Filanto s.p.a. Italia avrebbe dovuto considerarsi – in ragione della sua qualità (ed in difetto di un puntuale riscontro diretto a comprovare il contrario in relazione alla concreta vigilanza eventualmente adottata anche sulla specifica condotta attuata dal vettore straniero) – esente da colpa, dovendosi ritenere non onerata, in concreto, all’osservanza del peculiare obbligo di controllare “ex ante” le modalità operative dell’esercizio del trasporto (internazionale, nella specie), emergendo, in via ordinaria, l’estraneità del “proprietario” della merce rispetto alla violazione imputabile al vettore (e, al limite, al diretto committente in concorso) in ordine all’utilizzazione di titolo di trasporto poi rivelatosi contraffatto;

che, dunque, la disposizione di cui al D.Lgs. n. 286 del 2005, art. 7, comma 2, non pone a carico del proprietario della merce, del committente del trasporto e del vettore una (reciproca) responsabilità per fatto altrui, poichè essi – in dipendenza del rispettivo ruolo svolto e degli specifici obblighi di vigilanza loro incombenti – rispondono ciascuno per fatto proprio, sicchè la relativa responsabilità resta regolata dai principi generali in materia di sanzioni amministrative e, in particolare, da quello della responsabilità almeno per colpa, sancito – per l’appunto – dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 3, principi ai quali il legislatore non ha inteso derogare anche nella speciale materia della disciplina degli autotrasporti (cfr., per opportuni riferimenti in un’ottica costituzionale, Corte Cost., ordd. nn. 3/1989 e 118/2011);

che, di conseguenza, deve essere enunciato il principio di diritto secondo cui la sanzione accessoria della confisca (cui al D.Lgs. n. 286 del 2005, art. 7, comma 2 e della L. n. 689 del 1981, art. 20) non può – in difetto della sussistenza dell’elemento soggettivo (almeno) della colpa – essere considerata legittima ove applicata al proprietario della merce (destinatario, in via generale, di tale misura accessoria, ove prevista obbligatoriamente) nei cui confronti non sia emerso che abbia partecipato all’affidamento del trasporto al vettore abusivo o che si sia comportato in modo specificamente negligente rispetto all’accertamento della regolarità del trasportatore (non essendo, tuttavia, esigibile tale obbligo di vigilanza, da parte dello stesso, fino al punto di dover per la sua qualità – provvedere anche all’accertamento del possesso, da parte dell’autotrasportatore, delle prescritte autorizzazioni);

che, in definitiva, il ricorso deve essere accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Bari che, nel conformarsi – ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2 – al su riportato principio di diritto (ai fini della decisione della controversia), provvederà a regolare anche le spese della presente fase di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra Sezione della Corte di appello di Bari.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 23 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2018

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