Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4866 del 01/03/2010

Cassazione civile sez. I, 01/03/2010, (ud. 26/01/2010, dep. 01/03/2010), n.4866

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.L.V., elettivamente domiciliato in Roma, via Monte Zebio

32, presso l’avv. PUBLIO FIORI, che lo rappresenta e difende per

procura in atti;

– ricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI

ROMA, PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI ROMA,

P.G., nella qualità di tutore di D.L.V.,

D.L.A., D.L.S., C.R., C.F.,

C.A., M.G., A.A.M.;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 1721/07, in

data 12 aprile 2007;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26

gennaio 2010 dal relatore, cons. Stefano Schirò;

udito, per, il ricorrente, l’avv. Publio Fiori, che chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del sostituto procuratore generale, Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del

ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza n. 1721/07 del 12 aprile 2007 la Corte di appello di Roma rigettava l’appello proposto da D.L.V., nato a (OMISSIS), avverso la sentenza del Tribunale di Roma che, in accoglimento della richiesta del Pubblico Ministero, aveva dichiarato la sua interdizione.

A fondamento della decisione la Corte di appello di Roma così motivava:

1.a. dalle consulenze tecniche espletate in primo e in secondo grado era emerso che il grado di limitazione della capacità di intendere e di volere del D.L. era tale da giustificare la sua interdizione legale a norma dell’art. 414 c.c., non sussistendo comunque gli estremi per l’applicazione nei confronti dello stesso D.L. dell’istituto della inabilitazione, nè di quello dell’amministrazione di sostegno; sotto il primo profilo entrambe le consulenze espletate d’ufficio erano giunte alla medesima motivata conclusione sul piano clinico, rilevando che il D.L. era affetto da un disturbo mentale grave e cronico, individuato dal primo consulente in una forma di “schizofrenia disorganizzata con impoverimento della personalità” e dal secondo in un “disturbo schizoaffettivo misto”, tale da costituire per l’interessato severo impedimento alla cura dei propri bisogni e alla gestione dei propri interessi; in particolare il secondo consulente aveva ben illustrato la funzionalità del provvedimento interdittivo non solo alle esigenze di tutela e di oculata gestione delle risorse patrimoniali del D.L., ma anche a quelle di contenimento materiale e psicologico del paziente, rappresentate dai sanitari del Centro di Salute Mentale che lo aveva in carico e che erano i soli a occuparsi della cura della sua persona, sia sul piano dell’igiene personale, che delle sue necessità terapeutiche, versando il paziente medesimo in “scadute condizioni generali di salute, notevolmente in sovrappeso”, oltre che trascurato nella persona, tanto da indurre il consulente a segnalare la necessità di “un più efficace controllo del peso”, di “un controllo costante della pressione”, nonchè di “una attenta valutazione del trofismo degli arti inferiori”;

1.b. proprio tali esigenze, unitamente alla gravità dell’infermità da cui era affetto il D.L. ed alle conseguenze di tale infermità sulla sua capacità di gestire la propria vita personale e di relazione, inducevano ad escludere la sussistenza delle condizioni di parziale capacità di intendere e di volere costituenti il presupposto per una pronuncia di inabilitazione; non ricorrevano, peraltro, neppure i presupposti per l’applicazione dell’amministrazione di sostegno, prospettata dalla difesa dell’appellante nelle memorie autorizzate, in quanto lo scopo precipuo di tale istituto, volto ad affiancare e sostenere la persona nella cura dei suoi reali bisogni quotidiani e non solo a sostituirla nella gestione dei suoi interessi patrimoniali, rendeva necessario, da un lato, che le condizioni dell’eventuale beneficiario fossero tali che egli stesso chiedesse personalmente o quanto meno accettasse il sostegno, dall’altro che fosse già individuata, o almeno individuabile, la persona o le persone che potessero in concreto esercitare il mandato eventualmente loro conferito; nel caso di specie, invece, l’appellante neppure aveva indicato la persona da nominare, nè i concreti bisogni che l’amministratore di sostegno, meglio del tutore, avrebbe potuto aiutare a soddisfare, mentre non era dato comprendere l’interesse dei figli alla corretta gestione degli interessi patrimoniali del padre, che non fosse già tutelato dall’interdizione e dall’apertura della tutela; era anche emersa la inidoneità dei più stretti familiari del D.L. a farsi carico dei suoi bisogni concreti e non solo della gestione delle sue risorse economiche.

2. Avverso tale sentenza D.L.V. ricorre per cassazione sulla base di tre motivi.

All’udienza pubblica del 2 aprile 2009 la causa è stata rinviata a nuovo ruolo per consentire la notifica del ricorso nei confronti del Procuratore Generale presso la Corte di appello di Roma, contraddittore necessario, che nel giudizio di appello aveva chiesto l’accoglimento del gravame “anche in considerazione dell’entrata in vigore della legge istitutiva dell’amministrazione di sostegno”.

L’integrazione del contraddittorio è stata eseguita con ricorso tempestivamente notificato al Procuratore generale presso la Corte di appello di Roma il 5 maggio 2009 e depositato il 12 maggio 2009. Nessuno degli intimati ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il D.L. – denunciando violazione degli artt. 404, 405, 406, 407, 408, 409 e 410 c.c. – lamenta che la Corte di appello non abbia ritenuto sussistenti i presupposti per l’applicazione nei suoi confronti della misura dell’amministrazione di sostegno, senza tener conto delle importanti novità introdotte dalla L. n. 6 del 2004 – che hanno configurato l’interdizione come istituto di carattere residuale ed hanno introdotto altre misure di protezione destinate a limitare meno pesantemente l’autonomia e la libertà del soggetto debole – e omettendo di considerare che egli non è affetto da un’infermità totale, o comunque grave e costante nel tempo, e, dopo aver conseguito una laurea in storia e filosofia, ha lavorato per circa venticinque anni presso l’Istituto Nazionale di Statistica.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ancora violazione degli artt. 404, 405, 406, 407, 408, 409 e 410 c.c., e si duole che la Corte di appello abbia escluso la possibilità di far ricorso all’applicazione dell’amministrazione di sostegno in mancanza di una sua richiesta in tal senso e a causa della omessa indicazione, da parte sua, del nominativo della persona che avrebbe dovuto fungere da amministratore di sostegno e dei bisogni a cui tale amministratore avrebbe dovuto fare fronte.

Con il terzo motivo il D.L. lamenta vizio di motivazione in ordine alla decisione della Corte di appello di ritenere non applicabile, nel caso di specie, la misura dell’amministrazione di sostegno e di confermare il provvedimento di interdizione disposto dal Tribunale.

2. I tre motivi, che vanno opportunamente esaminati in modo congiunto essendo attinenti a questioni strettamente connesse, sono fondati e meritano accoglimento. Osserva il collegio che l’amministrazione di sostegno – introdotta nell’ordinamento dalla L. 9 gennaio 2004, n. 6, art. 3, – ha la finalità di offrire a chi si trovi nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi uno strumento di assistenza che ne sacrifichi nella minor misura possibile la capacità di agire, distinguendosi, con tale specifica funzione, dagli altri istituti a tutela degli incapaci, quali l’interdizione e l’inabilitazione, non soppressi, ma solo modificati dalla stessa legge attraverso la novellazione degli artt. 414 e 427 c.c.. Rispetto ai predetti istituti, l’ambito di applicazione dell’amministrazione di sostegno va individuato con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, ma piuttosto alla maggiore idoneità di tale strumento ad adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, in relazione alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa. Appartiene all’apprezzamento del giudice di merito la valutazione della conformità di tale misura alle suindicate esigenze, tenuto conto della complessiva condizione psico-fisica del soggetto da assistere e di tutte le circostanze caratterizzanti la fattispecie (Cass. 2006/13584; v. Cass. 2009/9628).

La Corte di appello di Roma – nell’affermare la necessità che, ai fini dell’applicazione della misura dell’amministrazione di sostegno, il destinatario del provvedimento abbia chiesto o accettato detta misura e nell’escludere che nel caso di specie ricorressero i presupposti per l’applicazione di tale istituto, in quanto l’appellante non aveva indicato la persona che avrebbe dovuto essere nominata, nè i concreti bisogni che l’amministratore di sostegno avrebbe potuto aiutare a soddisfare meglio del tutore, osservando inoltre che non era dato comprendere quale fosse l’interesse dei figli alla corretta gestione degli interessi patrimoniali del padre che non fosse già tutelato dagli effetti dell’interdizione e dell’apertura della tutela e che si doveva comunque tener conto della accertata inidoneità dei più stretti familiari del D.L. a farsi carico dei suoi bisogni concreti e non solo della gestione delle sue risorse economiche – non si è uniformata ai principi in precedenza enunciati in ordine ai presupposti per l’applicazione della misura dell’amministrazione di sostegno e si è invece riferita ad elementi di fatto che, alla stregua dei principi medesimi, non costituiscono ragioni idonee per escludere nel caso concreto il ricorso all’applicazione di tale misura.

2.1. Sotto il primo profilo, la Corte di appello, confermando l’interdizione del D.L. disposta dal Tribunale, non ha in alcun modo tenuto conto che, dopo l’entrata in vigore della L. n. 6 del 2004, e nell’ambito delle misure di protezione delle persone prive in tutto o in parte di autonomia, l’interdizione può trovare applicazione al maggiore di età o al minore emancipato, che si trovino in condizioni di abituale infermità di mente che li renda incapaci di provvedere ai propri interessi, quando ciò sia necessario per assicurare la loro adeguata protezione (art. 414 c.c.), dovendosi comunque perseguire l’obiettivo della minore limitazione possibile della capacità di agire, attraverso l’assunzione di provvedimenti di sostegno temporaneo o permanente (L. n. 6 del 2004, art. 1).

In particolare, la Corte di merito, disponendo l’applicazione nei confronti del D.L. della misura dell’interdizione, non ha in alcun modo valutato, come sarebbe stato suo compito, la conformità dell’amministrazione di sostegno alle esigenze del destinatario, alla stregua della peculiare flessibilità dell’istituto, della maggiore agilità della relativa procedura applicativa, nonchè della complessiva condizione psico-fisica del soggetto e di tutte le circostanze caratterizzanti il caso di specie.

2.2. Sotto altro aspetto, non costituisce condizione necessaria per l’applicazione della misura dell’amministrazione di sostegno la circostanza che il beneficiario abbia chiesto, o quanto meno accettato, il sostegno ed abbia indicato la persona da nominare, come invece affermato dalla Corte di merito. Infatti – indipendentemente dalla constatazione che nella specie il D.L., come risulta anche dalla sentenza impugnata, già nel corso del giudizio di appello ha manifestato, tramite il proprio difensore, la propria disponibilità ad accettare tale misura – a norma dell’art. 406 c.c., nel testo introdotto dalla L. n. 6 del 2004, art. 3, comma 1, il ricorso per l’amministrazione di sostegno può essere proposto, oltre che dallo stesso beneficiario, anche da uno dei soggetti indicati dall’art. 417 c.c., e dai responsabili dei servizi sociali e sanitari direttamente impegnati nella cura e nell’assistenza della persona, qualora a conoscenza di fatti tali da rendere opportuna l’apertura del relativo procedimento. Neppure rileva, ai fini dell’esclusione dell’applicazione della misura, il fatto che il beneficiario non abbia indicato la persona da nominare, atteso che, secondo il disposto dell’art. 408 c.c., in mancanza di tale indicazione, ovvero in presenza di gravi motivi, l’amministratore di sostegno può essere comunque nominato dal giudice tutelare. Del pari inconferenti sono i riferimenti da parte dei giudici di appello alla mancata indicazione, da parte del beneficiario, dei concreti bisogni che l’amministratore di sostegno dovrebbe aiutare a soddisfare, o la mancanza in capo ai figli di un interesse alla gestione del patrimonio del genitore, che non sia già tutelato dall’interdizione e dall’apertura della tutela. Infatti, ai sensi dell’art. 405 c.p.c., comma 5, nn. 3 e 4, è il giudice tutelare che, nel proprio decreto di nomina dell’amministratore di sostegno, indica l’oggetto dell’incarico, gli atti che lo stesso amministratore ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario e quelli che il beneficiario può compiere solo con l’assistenza dell’amministratore, fermo restando che nell’applicazione della misura deve aversi riguardo all’esigenze del beneficiario stesso, alla cui cura e ai cui interessi deve essere esclusivamente orientata la scelta dell’amministratore di sostegno (art. 408 c.c., comma 1).

3. Le considerazioni che precedono conducono all’accoglimento del ricorso, e all’annullamento della sentenza impugnata. Conseguentemente, poichè sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa deve essere rinviata ad altro giudice, che si individua nella Corte di appello di Roma in diversa composizione, che riesaminerà l’appello del D.L. alla luce dei principi di diritto in precedenza enunciati e regolerà anche le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per la decisione sulle spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 26 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2010

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