Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4864 del 24/02/2020

Cassazione civile sez. trib., 24/02/2020, (ud. 19/11/2019, dep. 24/02/2020), n.4864

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. ZOSO Liliana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. PAOLITTO Liberato – rel. Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8812-2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona Direttore pro empore, elettivamente

domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

CAVE PICOZZI SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE AMERICA

93, presso lo studio dell’avvocato TULLI SIMONA, che la rappresenta

e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 471/2013 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

LATINA, depositata il 3/09/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dei

19/11/2019 dal Consigliere Dott. PAOLITTO LIBERATO.

Fatto

RILEVATO

Che:

1. – con sentenza n. 471/39/13, depositata il 30 settembre 2013, la Commissione tributaria regionale del Lazio ha (parzialmente) accolto l’appello di Cave Picozzi S.r.l. avverso la decisione di prime cure che, a sua volta, aveva parzialmente accolto l’impugnazione proposta dalla stessa contribuente avverso un avviso di rettifica e liquidazione dell’imposta di registro dovuta in relazione a contratto di compravendita registrato in data 3 agosto 2007;

– il giudice del gravame ha rilevato che:

– l’atto impugnato, – che aveva rideterminato (in Euro 731.565,00, quindi in Euro 3,15 al mq) il valore di terreno (dell’estensione di mq. 232.142 e) compravenduto per il pattuito prezzo di Euro 270.000,00 (Euro 1,16 al mq), – era già stato parzialmente rettificato dalla pronuncia di primo grado che detto valore aveva determinato in ragione di Euro 2,00 al mq.;

– a fronte degli appelli hinc et inde spiegati, il valore in questione doveva essere rideterminato in ragione di Euro 1,20 al mq, – ed in conformità ad una perizia prodotta in giudizio dalla contribuente, posto che: – l’avviso di rettifica si fondava su di una valutazione correlata “al valore obiettivo di beni similari senza però un riferimento adeguato alla realtà del bene compravenduto” (come già rilevato dalla gravata pronuncia della Commissione tributaria provinciale di Latina); – detta perizia di parte, “redatta a seguito di sopralluogo”, aveva evidenziato che, nella fattispecie, veniva in considerazione un terreno “classificato come “pascolo cespugliato (per la quasi totalità della superficie) e in parte minore come “uliveto””; – andava, pertanto, considerato “il valore medio tra il prezzo del “pascolo cespugliato” (0,97 Euro/mq) e il prezzo del “uliveto” (1,43 Euro/mq)”, con un valore finale pari ad Euro 1,20 al mq. che doveva ritenersi “congruo e corrispondente alla realtà immobiliare della zona”;

2. – l’agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di due motivi;

– resiste con controricorso Cave Picozzi S.r.l..

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. – col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Agenzia ricorrente denuncia violazione, e falsa applicazione, del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51 e 52, deducendo, in sintesi, che l’atto impugnato era stato fondato, quanto alla determinazione del valore venale del bene, su di un atto di compravendita indicato a titolo comparativo e su di una relazione di stima, atti, questi, entrambi idonei ad esprimere, in ragione dei loro elementi identitari (che, così, resistevano anche ai rilievi di controparte), l’effettivo valore in commercio dei terreni oggetto di compravendita;

– il secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, reca denuncia di insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ovvero di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, sul rilievo che, – avuto riguardo ai dati fattuali esposti nella motivazione dell’avviso di rettifica e negli atti postivi a fondamento (un atto di vendita indicato a titolo comparativo nonchè una relazione di stima tecnica), – la gravata sentenza aveva omesso l’esame di detti dati e, in particolare, della “assoluta analogia tra il terreno compravenduto dalla società il 25.07.2007 e quelli presi dall’Ufficio come termine di comparazione, compravenduti nell’anno 2006, quindi solo un anno prima.”;

2. – il primo motivo di ricorso è manifestamente destituito di fondamento;

– a fronte degli oneri probatori gravanti sulle parti del rapporto d’imposta in contestazione, la gravata sentenza non ha affatto violato le disposizioni normative oggetto della censura spiegata dall’Agenzia;

disposizioni, queste, che non identificano nei presupposti del potere di rettifica (D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, comma 3) atti a contenuto probatorio vincolante in sede giudiziale;

– come, di vero, ripetutamente rilevato dalla Corte, la posizione paritaria che le parti assumono davanti al giudice tributario, – a sua volta chiamato a verificare la fondatezza della pretesa impositiva con esame (nel merito) del rapporto giuridico che vi è implicato, – non consente di attribuire (anche) alla relazione di stima utilizzata dall’Ufficio un’efficacia dimostrativa ex se (o quale atto pubblico, quanto al suo contenuto), indipendentemente, dunque, dall’effettiva idoneità persuasiva (per certezza e concludenza dei dati evidenziati) delle fonti di prova addotte all’interno di un processo che, per la sua struttura, ammette un maggior spazio di operatività delle prove cosiddette atipiche (v., ex plurimis, Cass., 8 maggio 2015, n. 9357; Cass., 6 febbraio 2015, n. 2193; Cass., 25 giugno 2014, n. 14418; Cass., 23 febbraio 2011, n. 4363; Cass., 13 aprile 2007, n. 8890; Cass., 12 aprile 2006, n. 8586; Cass., 30 maggio 2002, n. 7935);

– il giudice del gravame, in definitiva, e senza violare le disposizioni dalla ricorrente evocate, ha bilanciato i dati probatori hinc et inde offerti al giudizio, operando una tipica valutazione di concludenza delle fonti di prova in relazione ai fatti costitutivi della pretesa tributaria ed a quelli volti ad infirmarne l’efficacia;

3. – il secondo motivo è, invece, inammissibile;

3.1 – il motivo di ricorso in esame va ricondotto alla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (secondo il cui disposto rileva, ora, l'”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”), qual conseguente alla novella di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134 (novella applicabile nella fattispecie, posto che la gravata è stata pubblicata il 30 settembre 2013), e la riformulazione di detta disposizione codicistica deve essere interpretata “come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione; pertanto, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza ” della motivazione.”; e si è, in particolare, rimarcato che la censura di omesso esame di un fatto decisivo deve concernere un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), così che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass. Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053 cui adde, ex plurimis, Cass., 29 ottobre 2018, n. 27415; Cass., 13 agosto 2018, n. 20721; Cass. Sez. U., 22 settembre 2014, n. 19881);

3.2 – con lo spiegato motivo, – che, peraltro, alcuna censura articola in relazione allo (specifico) accertamento svolto dal giudice del gravame quanto alle (articolate) caratteristiche del terreno in questione nè individua il fatto decisivo (e, in tesi, diversamente risolutivo) in quanto tale idoneo ad incidere sull’inferenza probatoria tratta in relazione a dette caratteristiche, – la ricorrente finisce col sollecitare un (mero) riesame del materiale probatorio versato nel processo e, così, una rivalutazione dei dati probatori (in tesi) confermativi dell’accertamento di maggior valore dei terreni in contestazione; laddove, com’è evidente, il giudice del gravame ha assolto al compito, a lui riservato, di valutare le fonti di prova offerte dalle parti e di selezionarne la rilevanza in funzione della relativa attendibilità e concludenza (siccome prove ritenute idonee a dimostrare i fatti in contestazione);

4. – le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza dell’Agenzia ricorrente nei cui confronti, però, non ricorrono i presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, trattandosi di ricorso proposto da un’amministrazione dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, è esentata dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (cfr., ex plurimis, Cass., 29 gennaio 2016, n. 1778; Cass., 5 novembre 2014, n. 23514; Cass. Sez. U., 8 maggio 2014, n. 9938; Cass., 14 marzo 2014, n. 5955).

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia ricorrente al pagamento, in favore di Cave Picozzi S.r.l., delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 6.000,00, oltre rimborso spese generali di difesa e oneri accessori, come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 19 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2020

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