Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4862 del 24/02/2020

Cassazione civile sez. trib., 24/02/2020, (ud. 19/11/2019, dep. 24/02/2020), n.4862

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. ZOSO Liliana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. PAOLITTO Liberato – rel. Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sal ricorso 3022-2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATJRA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

C.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PROPERZIO 5,

presso lo studio dell’avvocato RICCIONI ALESSANDRO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CICALA CARLO;

– controricorrente –

e contro

P.S.R., Z.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 129/2013 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

ERESCIA, depositata il 07/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/11/2019 dal Tonsigliere Dott. PAOLITTO LIBERATO.

Fatto

RILEVATO

Che:

1. – con sentenza n. 129/65/13, depositata il 7 ottobre 2013, la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha rigettato l’appello dell’Agenzia delle Entrate avverso la decisione di primo grado che, a sua volta, aveva accolto l’impugnazione di un avviso di rettifica e liquidazione, nonchè di una cartella relativa all’iscrizione a ruolo (a titolo provvisorio) della relativa imposta dovuta, l’uno e l’altro atto emessi, ai fini dell’imposta di registro, in relazione al valore dei beni dichiarati in un contratto di compravendita del 27 dicembre 2007;

– il giudice del gravame ha rilevato che:

– doveva ritenersi ammissibile l’intervento volontario di C.D., trattandosi di responsabile (in solido) dell’imposta dovuta;

– la documentazione in prime cure tardivamente prodotta, ciò non di meno poteva essere utilizzata nel secondo grado del giudizio in quanto indicata dal contribuente;

– l’avviso di rettifica si fondava (esclusivamente) sui valori dell’Osservatorio del mercato immobiliare (O.M.I.) che, in quanto tali, potevano offrire (solo) elementi di valutazione indiziaria che, peraltro, l’amministrazione non aveva integrato (con dati probatori “di supporto”);

– l’esame delle ragioni di contestazione della cartella esattoriale, qual impugnata da Z.A., rimaneva assorbito nei rilievi involgenti l’infondatezza dell’azionata pretesa impositiva;

2. – l’agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di tre motivi;

– C.D. resiste con controricorso, illustrato da memoria;

– gli intimati P.R. e Z.A. non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. – col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, l’Agenzia ricorrente denuncia violazione, e falsa applicazione, del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 14 e 21, deducendo, in sintesi, che, – non ricorrendo un’ipotesi di litisconsorzio necessario, l’intervento in causa del responsabile solidale dell’imposta (il venditore), – che, peraltro, nemmeno aveva impugnato l’avviso di rettifica e liquidazione nei suoi confronti emesso, – si risolveva in un’attività processuale (intervento adesivo dipendente) incompatibile col processo tributario e, in buona sostanza, volta a conseguire “un’indebita rimessione nei termini d’impugnazione”;

– il secondo motivo, formulato anch’esso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, reca denuncia di violazione, e falsa applicazione, del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 32 e 58, sul rilievo che la perizia prodotta (tardivamente) in prime cure, dal terzo intervenuto, era stata illegittimamente acquisita nel giudizio di gravame in elusione del termine assegnato alle parti per la produzione di documenti in primo grado e in difetto di una specifica produzione in secondo grado (con l’atto di controdeduzioni);

– col terzo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Agenzia denuncia violazione, e falsa applicazione, della L. n. 88 del 2009, art. 24, del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, dell’art. 2697 c.c. assumendo, in sintesi, che gli interventi correttivi operati dal legislatore, quanto al rilievo del valore normale degli immobili ai fini dell’accertamento di maggior valore (L. n. 88 del 2009, art. 24), avevano inciso (solo) sulla disciplina dell’iva e delle imposte dirette, non anche ai fini dell’imposta di registro a cui riguardo i valori accertati dall’Osservatorio del mercato immobiliare (cd. O.M.I.) continuavano a rivestire la natura giuridica di presunzione legale a fronte della quale il contribuente ha l’onere di fornire prova contraria;

2. – il primo motivo di ricorso è destituito di fondamento;

– la Corte ha già avuto modo di rilevare che, in base ad una interpretazione costituzionalmente orientata del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, comma 3, nel processo tributario deve ritenersi ammissibile l’intervento adesivo dipendente dei terzi in fattispecie connotate da solidarietà tributaria (sia pur non paritetica; Cass., 12 gennaio 2012, n. 255); e detto principio è stato espressamente applicato dalla Corte alla fattispecie in trattazione che, com’è noto, è caratterizzata dalla solidarietà passiva paritetica che avvince le parti contraenti (D.P.R. n. 131 del 1986, art. 57, comma 1; v. Cass., 13 luglio 2017, n. 17279);

– va, del resto, rimarcato che, – come ben evidenziato dal giudice del gravame, – l’intervento in questione non ha comportato nè l’estensione del thema decidendum nè l’esercizio di poteri processuali autonomi, così che non si è affatto risolto in un’indebita rimessione in termine (così come una tale rimessione non può identificarsi con l’effetto espansivo esterno del giudicato, ex art. 1306 c.c., comma 2, sia pur a fronte della definitività dell’avviso di accertamento);

3. – il secondo motivo è inammissibile;

– in disparte che il giudice del gravame, – nel rilevare che la documentazione (tardivamente) prodotta in prime cure era stata indicata dal contribuente nell’atto di costituzione nel secondo grado del giudizio, – ha ritenuto ammissibile la produzione, in appello, di nuovi documenti (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58) uniformandosi, così, alla giurisprudenza della Corte (v., ex plurimis, Cass., 16 novembre 2018, n. 29568; Cass., 4 aprile 2018, n. 8313; Cass., 22 novembre 2017, n. 27774; Cass., 6 novembre 2015, n. 22776; Cass., 16 settembre 2011, n. 18907), rileva il Collegio che, – in ragione di quanto sopra esposto, – viene in rilievo, col motivo in trattazione, una censura rispetto alla quale la ricorrente difetta di interesse posto che il decisum del giudice di secondo grado si incentra (esclusivamente) sull’inidoneità della prova offerta dalla stessa parte, odierna ricorrente, senz’alcuna implicazione (e, quindi, valutazione) della perizia che, per l’appunto, si assume tardivamente prodotta; e, come in più occasioni rimarcato dalla Corte, il processo non può essere utilizzato in previsione della soluzione in via di massima o accademica di una questione di diritto in vista di situazioni future o meramente ipotetiche;

4. – anche il terzo motivo è destituito di fondamento;

– come in diverse occasioni la Corte ha rimarcato, i valori di mercato fondati sulle rilevazioni dell’Osservatorio del Mercato immobiliare (OMI) costituiscono (solo) uno strumento di ausilio ed indirizzo per l’esercizio della potestà di valutazione estimativa, strumento idoneo a condurre ad indicazioni di valori di larga massima e inidoneo ex se a rettificare il valore dell’immobile, tenuto conto che il valore dello stesso può variare in funzione di molteplici parametri quali l’ubicazione, la superficie, la collocazione nello strumento urbanistico, nonchè lo stato delle opere di urbanizzazione (cfr., ex plurimis, Cass., 17 ottobre 2019, n. 26376; Cass., 7 settembre 2018, n. 21813; Cass., 11 maggio 2018, n. 11439; Cass., 15 dicembre 2017, n. 30163; Cass., 11 agosto 2017, n. 20089); – in particolare si è, quindi, rilevato che la “L. n. 88 del 2009, art. 24, comma 5, (legge comunitaria 2008), ha modificato il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 (così come l’omologo D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, in materia di IVA), eliminando le disposizioni introdotte dal D.L. n. 4 luglio 2006, n. 223, art. 35 convertito dalla L. 4 agosto 2006, n. 248: ciò a seguito di un parere motivato del 19 marzo 2009 della Commissione Europea, la quale, nell’ambito del procedimento di infrazione n. 2007/4575, aveva rilevato l’incompatibilità, in relazione specificamente all’IVA, ma con valutazione ritenuta estensibile dal legislatore nazionale anche alle imposte dirette, di tali disposizioni con il diritto comunitario. E’ stato così ripristinato il quadro normativo anteriore al luglio 2006, sopprimendo la presunzione legale (ovviamente relativa) di corrispondenza del corrispettivo effettivo al valore normale del bene, con la conseguenza che tutto è tornato ad essere rimesso alla valutazione del giudice, il quale può, in generale, desumere l’esistenza di attività non dichiarate “anche sulla base di presunzioni semplici, purchè queste siano gravi, precise e concordanti”: e ciò, deve intendersi, con effetto retroattivo, stante la finalità di adeguamento al diritto comunitario che ha spinto il legislatore nazionale del 2009 ad intervenire (v. Cass. 21/12/2016, n. 26487; Cass. 26.9.2014, n. 20419; cfr. anche circ. Agenzia entrate 14 aprile 2010, n. 18).” (così Cass., 11 maggio 2018, n. 11439, cit.);

– correttamente, pertanto, il giudice del gravame ha rilevato l’insufficienza dei dati probatori posti a fondamento dell’atto impugnato, dati, questi, che si risolvevano, per l’appunto, nei valori OMI senz’alcuna integrazione idonea a supportarne le corrispondenti valutazioni di massima;

5. – le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza dell’Agenzia ricorrente nei cui confronti non sussistono, però, i presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale (D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater), trattandosi di ricorso proposto da un’amministrazione dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, è esentata dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (cfr., ex plurimis, Cass., 29 gennaio 2016, n. 1778; Cass., 5 novembre 2014, n. 23514; Cass. Sez. U., 8 maggio 2014, n. 9938; Cass., 14 marzo 2014, n. 5955).

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore di C.D., delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 5.000,00, oltre rimborso spese generali di difesa ed oneri accessori, come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 19 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2020

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