Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4859 del 28/02/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 4859 Anno 2014
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: MANNA ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 11304-2009 proposto da:
DADI

PAOLO C.F.

DDAPLA59B10F715M,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA NICOTERA 29, presso lo
studio dell’avvocato CATELLI MARCO, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato SAVELLI
CLAUDIO, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013

contro

3644

AGENZIA DELLE ENTRATE (UFFICIO DI RIMINI), in persona

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ga e rappresentante pro tempore, rappresentata

e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso

Data pubblicazione: 28/02/2014

cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI
PORTOGHESI, 12;
– controricorrente –

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avverso la sentenza n. 94OO7 della COMM.TRIB.REG.
di BOLOGNA, depositata il 17/03/2008 R.G.N. 715/2007;

udienza del 11/12/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIO
MANNA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI che ha concluso
per l’inammissibilità e in subordine rigetto del
ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

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R.G. n. 1130409
Ud. 11.12.13
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 19.12.05 la Commissione tributaria provinciale di Rimini
rigettava il ricorso di Paolo Dadi contro l’avviso di irrogazione di sanzioni relative
all’omessa registrazione sui libri paga e matricola del dipendente Enrico Baschetti.

Con sentenza depositata il 17.3.08 la Commissione tributaria regionale di
Bologna, in parziale accoglimento dell’appello del Dadi, disponeva che la sanzione
fosse calcolata in base alla nuova e più favorevole disciplina contenuta nel d.l. n.
223/06, convertito in legge n. 248/06, rigettando nel resto l’impugnazione.
Per la cassazione della decisione d’appello ricorre Paolo Dadi affidandosi a tre
motivi.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1- Con il primo motivo si denuncia il difetto di giurisdizione in quanto la Corte
cost., con sentenza n. 130/08, dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 2 d.lgs. n.
546/1992 nella parte in cui includeva nella giurisdizione della Commissioni
tributarie controversie, come quella di specie, aventi ad oggetto la cognizione su
sanzioni amministrative di natura non tributaria comunque irrogate da uffici
finanziari, poiché tale giurisdizione è consentita soltanto se ha natura tributaria il
rapporto sottostante.
Il motivo è infondato.
È pur vero (cfr., ex aliis, Cass. S.U. n. 19495 del 16.7.08) che il principio della
perpetuatio iurisdictionis di cui all’art. 5 c.p.c., secondo cui i mutamenti di legge
intervenuti nel corso del giudizio non assumono rilevanza ai fini della giurisdizione,
la quale si determina con riguardo alla legge vigente al momento della proposizione
della domanda, si riferisce esclusivamente all’effetto abrogativo determinato dal
sopravvenire di una nuova legge e non anche all’effetto di annullamento dipendente
dalle pronunce di incostituzionalità, che impediscono al giudice di tenere conto
della norma dichiarata illegittima ai fini della decisione sulla giurisdizione, ma ciò
vale purché sulla giurisdizione non si sia formato il giudicato (o non siano decorsi i
termini di prescrizione o decadenza stabiliti per l’esercizio di determinati diritti).
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IXia STifén c. Agenzia delle Entrata

Nel caso di specie, avendo il giudice di primo grado pronunciato nel merito,
implicitamente affermando la propria giurisdizione, senza che quest’ultima sia stata
contestata in appello, trova applicazione l’altro principio, sempre affermato da
questa Corte Suprema, secondo il quale la relativa questione è ormai coperta da

giudicato implicito (cfr. Cass. n. 19475/12; Cass. S.U. n. 24883/08; Cass. n.
19792/2001; Cass. S.U. n.. 27531/2008).

2- Con il secondo motivo si lamenta omessa motivazione da parte della gravata
sentenza circa l’eccezione, sollevata come motivo d’appello, di nullità dell’avviso
impugnato, per violazione dell’art. 3 legge n. 241/90 e dell’art. 7 dello statuto del
contribuente, in quanto non motivato circa le modalità di calcolo adottate per la
determinazione delle sanzioni irrogate.
Il motivo è inammissibile perché non autosufficiente, non contenendo la
trascrizione del motivo di impugnazione che si assume come non esaminato, né
risultando allegato l’atto d’appello.
Ad ogni modo ogni censura a riguardo sarebbe assorbita dalla riforma statuita
dalla sentenza d’appello circa il calcolo delle sanzioni irrogate, che la Commissione
tributaria regionale di Bologna ha disposto doversi effettuare in base alla nuova e
più favorevole disciplina contenuta nel d.l. n. 223/06, convertito in legge n. 248/06.

3- Con il terzo motivo si prospetta violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,
2700, 2727 e 2729 c.c., anche in riferimento all’art. 24 Cost., avendo l’impugnata
sentenza estrapolato dal verbale di accertamento ispettivo dell’INPS solo la parte
relativa alla data di assunzione della lavoratrice, trascurando che i verbali ispettivi o
formano piena prova relativamente all’intero accertamento o non lo sono per nulla,
a maggior ragione quando il datore di lavoro vi abbia fatto acquiescenza senza
riserve.
Il motivo è infondato.
Secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte Suprema, i verbali redatti
dagli ispettori del lavoro o dai funzionari degli enti previdenziali (al pari di quelli
redatti dagli altri pubblici ufficiali) fanno piena prova, fino a querela di falso,
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unicamente dei fatti attestati nel verbale di accertamento come avvenuti alla
presenza del pubblico ufficiale o da lui compiuti, mentre la fede privilegiata
certamente non si estende alla verità sostanziale delle dichiarazioni ovvero alla
fondatezza di apprezzamenti o valutazioni del verbalizzante (cfr., ex aliis, Cass.

S.U. n. 12545/1992 e Cass. n. 17355/2009).
In particolare, per quanto concerne la verità di dichiarazioni rese da terzi al
pubblico ufficiale, la legge non attribuisce al verbale alcun valore probatorio
precostituito, neppure di presunzione semplice, sicché il materiale raccolto dal
verbalizzante deve essere liberamente apprezzato dal giudice, il quale può valutarne
l’importanza ai fini della prova, ma non può mai attribuirgli il valore di vero e
proprio accertamento addossando l’onere di fornire la prova contraria al soggetto
sul quale non ricade (Cass. n. 1786/2000, n. 1786, n. 6110/1998; n. 3973/1998; n.
6847/1987).
Dunque, sussistendo soltanto nei limiti anzidetti l’idoneità probatoria dei verbali
ispettivi, non può pretendersi — contrariamente a quanto sostenuto da parte
ricorrente — che le dichiarazioni raccolte dai pubblici ufficiali debbano essere
accolte o disattese nella loro interezza, senza alcuna possibilità di quel differenziato
vaglio critico da parte del giudice che, invece, è stato compiuto in prime cure (circa
la decorrenza dell’assunzione) e confermato dall’impugnata sentenza.
Per il resto, le censure di parte ricorrente finiscono con il trasmodare in critiche
all’apprezzamento di merito delle risultanze istruttorie, il che non è consentito in
sede di legittimità.

4- In conclusione, il ricorso è da rigettarsi.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la
soccombenza.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare le spese del giudizio di
legittimità, liquidate in euro 3.000,00 (tremila/00) per compensi professionali, oltre
spese prenotate a debito.
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Atta Sujen c. Agenzia delle Entrate)

Così deciso in Roma, in data 11.12.w)

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