Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4859 del 27/02/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 4859 Anno 2013
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: PAGETTA ANTONELLA

SENTENZA
sul ricorso 3524-2011 proposto da:
CAFFARI

PAOLO

CFFPLA50A27C3981,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DELLA BALDUINA 187, presso lo
studio dell’avvocato AGAMENNONE STEFANO, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato
BERGAMINI MARIA CRISTINA, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2012
3797

contro
VAPOR EUROPE S.R.L. 01653940369 con unico socio, in
persona del legale rappresentante pro tempore,

a

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE

Data pubblicazione: 27/02/2013

114, presso lo studio dell’avvocato VALLEBONA ANTONIO,
che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati
PELLACANI GIUSEPPE, DI MARCO TIBERIO, giusta delega in
atti;

controrícorrente

di BOLOGNA, depositata il 11/02/2010 r.g.n. 677/06;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 14/11/2012 dal Consigliere Dott. ANTONELLA
PAGETTA;
udito l’AvvocatoBERGAMINI MARIA CRISTINA;
udito l’Avvocato PELLICANI GIUSEPPE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

avverso la sentenza n. 1019/2009 della CORTE D’APPELLO

Paolo Caffari ha adito il giudice del lavoro di Modena chiedendo accertarsi la
illegittimità del licenziamento disciplinare per giustificato motivo intimatogli il 2
novembre 2002 dalla datrice di lavoro H.P. srl ( ora denominata Vapor Europe
s.r.l. ) . Il Tribunale, in parziale accoglimento della domanda ha accertato la
illegittimità del licenziamento ordinando la reintegra del ricorrente nel posto di lavoro
ed ha condannato la società datrice a corrispondere le retribuzioni globali di fatto
sino al maggio 2003, oltre accessori, previa detrazione della indennità sostitutiva del
preavviso. La decisione è stata riformata dalla Corte di appello di Bologna che in
accoglimento dell’appello incidentale proposto dalla società datrice di lavoro ha
rigettato la domanda del Caffari .
La Corte territoriale ha ritenuto che la istruttoria espletata aveva confermato
l’addebito contestato al lavoratore e cioè l’avere diffuso la notizia della prossima
chiusura della società e in particolare della struttura operativa di Colombaro presso
la quale il Caffari svolgeva la propria attività. Ha quindi osservato che tali notizie, in
quanto provenienti da un soggetto qualificato, per avere il Caffari, dipendente da oltre
un decennio dalla H.P. s.r.1., raggiunto un posto rilevante in seno alla società, per
non essere rimaste confinate all’ambito interno essendo giunte anche ai clienti,
avevano acquisito ” una più ampia potenzialità di effetti ” in ordine al danno di
immagine per la datrice di lavoro; ha soggiunto che l’eventuale attentato alla
credibilità di un’impresa, attraverso dichiarazioni non veritiere, costituiva fatto
idoneo a minare in radice il rapporto di fiducia ed affidamento che il datore di lavoro
ha diritto di nutrire verso il proprio personale e che la inspiegabilità delle ragioni che
avevano indotto il Caffari a diffondere tali notizie non attenuava ma, anzi,
aggravava la entità dell’illecito rendendo ineludibilmente compromessa la
prosecuzione del rapporto.
Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso Paolo Caffari sulla base di due
motivi ciascuno articolato in più profili.
La parte intimata ha resistito con controricorso.
Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ. .
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, comma
1, n. 3 , cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod.
proc. civ. , c on conseguente vizio di nullità della decisione ex art. 360 n. 4 cod.
proc. civ. nonché vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ai
sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. . Afferma che il giudizio della Corte
territoriale è stato fondato sulla acritica adesione alle tesi della società —appellante
incidentale – e su elementi privi di corrispondenza nel materiale probatorio. Assume
in particolare che la affermazione di particolare autorevolezza delle informazioni
sulla prossima chiusura dello stabilimento, in quanto provenienti da soggetto che da
decenni era dipendente in H.P. e che aveva conseguito una rilevante progressione in

Svolgimento del processo

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carriera, erano smentite dal fatto che il Caffari era stato assunto solo nel 1996 e che
non ricopriva funzioni dirigenziali non essendo neppure quadro ma solo impiegato di
VII livello; che non era stato provato che ai clienti fossero giunte, come ritenuto dai
giudici di secondo grado, notizie tali da allarmarli e creare problemi ( ed a riguardo
evidenziava che la diffusione delle informazioni ai fornitori ed all’esterno non aveva
costituito oggetto di addebito); che anche l’affermazione che il Caffari con l’atto di
appello aveva modificato la precedente posizione difensiva di negazione
dell’addebito era priva di riscontro; che era rimasta indimostrata la circostanza che
le previsioni del Caffari si erano rivelate tendenziose e nocive per gli interessi
dell’azienda; che in ordine alla ritenuta assenza di riscontri obiettivi alle affermazioni
del ricorrente lo stesso giudice aveva dato atto della chiusura della sede operativa di
Colombano per essere dislocata a Sassuolo ; che le deposizioni testimoniali avevano
confermato la mancanza di prova di molte delle affermazioni della Corte territoriale;
che in particolare non era stata valorizzata la deposizione del teste Lupetti di “segno
nettamente contrario ” a quelle degli altri testi sui quali era stata fondata la decisione.
Il motivo è infondato. Con esso parte ricorrente contesta l’accertamento operato dai
giudici di appello che deduce, in sintesi, non suffragato da adeguati riscontri
probatori . Si premette che la violazione degli art. 115 e 116 cod. proc. civ. è
apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di
cui all’art. 360, primo comma, numero 5), cod. proc. civ., e deve emergere
direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa,
inammissibile in sede di legittimità. ( Cass .14267 del 2006). Anche tuttavia a voler
superare la inadeguata prospettazione di parte ricorrente che deduce la violazione e
falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. con riferimento all’art. 360,
comma primo n. 3 cod. proc. civ., occorre considerare che secondo l’insegnamento
costante di questa Corte la denuncia del vizio di motivazione non conferisce al
giudice di legittimità il potere di riesaminare autonomamente il merito della intera
vicenda processuale sottoposta al suo vaglio bensì soltanto quello di controllare, sotto
il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico — formale, le
argomentazioni svolte dal giudice di merito al quale spetta in via esclusiva il compito
di individuare le fonti del proprio convincimento, controllarne l’attendibilità e
concludenza nonché scegliere tra le complessive risultanze del processo quelle
ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi,
dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti,
salvo i casi tassativamente previsti dalla legge ( tra le altre, v. Cass. n. 18119 del
2008; n.5489 del 2007; n. 20455 del 2006; n. 20322 del 2005; n. 2537 del 2004). Ai
fini dell’adeguata motivazione della sentenza, secondo le indicazioni desumibili dal
combinato disposto dagli artt. 132, secondo comma, n. 4, 115 e 116 cod. proc. civ., è
necessario che il raggiunto convincimento del giudice risulti da un esame logico e
coerente di quelle che, tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie,
siano state ritenute di per sé sole idonee e sufficienti a giustificarlo, mentre non si
deve dar conto dell’esito dell’ esame di tutte le prove prospettate o comunque
acquisite. ( Cass. 5243 del 2011),In conseguenza, il vizio di motivazione deve
emergere dall’esame del ragionamento svolto dal giudice di merito quale risulta dalla

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sentenza impugnata e può ritenersi sussistente solo quando in quel ragionamento sia
rinvenibile traccia evidente del mancato ( o insufficiente) esame di punti decisivi
della controversia prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero quando esista
insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non
consentire la identificazione del procedimento logico- giuridico posto a base della
decisione, mentre non rileva la mera divergenza tra valore e significato diversi che,
agli stessi elementi siano attribuiti dal ricorrente ed in genere dalle parti ( v., per
tutte Cass. S.U. n. 10345 del 1997 ). In altri termini, il controllo di logicità del
giudizio di fatto – consentito al giudice di legittimità — non equivale alla revisione del
“ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad
una determinata soluzione della questione esaminata in quanto siffatta revisione si
risolverebbe, sostanzialmente in una nuova formulazione del giudizio di fatto
riservato al giudice del merito e risulterebbe affatto estranea alla funzione assegnata
dall’ordinamento al giudice di legittimità.
Alla luce dei principi sopra richiamati le deduzioni di parte ricorrente con riferimento
all’accertamento e valutazione del materiale probatorio non sono idonee a
determinare la cassazione della decisione In particolare il fatto che il Caffari fosse
dipendente da soli sei anni della società e non, come affermato nella sentenza
impugnata, da decenni è circostanza che nell’economia della motivazione non assume
rilievo decisivo ; quanto al fatto che il Caffari non ricoprisse funzioni dirigenziali e
neppure di quadro si tratta di circostanza del tutto ininfluente posto che nella
decisione impugnata la valutazione di autorevolezza delle dichiarazioni del Caffari è
collegato soltanto al ” posto rilevante in seno alla società” e non allo specifico
svolgimento di funzioni dirigenziali o di quadro ; inammissibili poi in quanto intese a
sollecitare l’attribuzione di un significato probatorio differente rispetto a quello della
decisione, risultano poi le deduzioni relative alla valutazione di gravità e allarme
sociale che le notizie diffuse dal Caffari erano state ritenute idonee a procurare,
quelle relative alla effettività della chiusura e successivo spostamento dello
stabilimento di Colombano a Sassuolo e quelle attinenti alla mancata valorizzazione
della deposizione del teste Lupetti rispetto ad altre testimonianze che si assumono
più sfavorevoli.
Con il secondo motivo parte ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione di
legge, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 , cod. proc. civ. in relazione agli artt.
2119 cod. civ. e arti. 1 e 3 L. n. 604 del 1966 e la omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione con riferimento alla ritenuta lesione dell’elemento
fiduciario sulla base di circostanze che si assumono non veritiere.
Secondo parte ricorrente il giudice avrebbe formulato la propria valutazione con
riferimento alla giusta causa rilevante ex art. 2119 cod. civ. , laddove il licenziamento
risultava intimato in relazione al giustificato motivo soggettivo e quindi per un fatto
che già la parte datoriale aveva ritenuto connotato da minore gravità. Lamenta inoltre
la valorizzazione della risonanza esterna che avrebbero avuto le false notizie
circostanza questa estranea alla condotta oggetto di contestazione e l’omessa
considerazione dell’assoluta mancanza di danno.

Roma, camera di consiglio del 14 novembre 2012

Il motivo non è fondato. In primo luogo è da evidenziare la carenza di interesse del
Caffari a censurare la decisione per avere condotto la verifica di legittimità del
licenziamento con riferimento al parametro della “giusta causa” anziché del
“giustificato motivo soggettivo” ; invero la giusta causa di licenziamento ai sensi
dell’art. 2119 cod. civ. esige nel fatto addebitato profili di gravità oggettiva e
soggettiva maggiori rispetto a quelli richiesti in caso di licenziamento per giustificato
motivo soggettivo, per cui il Caffari non può dolersi che la condotta contestata sia
stata valutata sulla base di tale più rigoroso parametro normativo.
Le ulteriori deduzioni svolte ad illustrazione del motivo nel contestare la valutazione
di proporzionalità operata dalla Corte di appello, riproducono in parte le censure già
svolte con il primo motivo di ricorso in ordine alla mancanza di riscontri fattuali di
talune affermazioni contenute in sentenza ed alla inadeguata valutazione del
materiale probatorio per cui le stesse vanno respinte per le ragioni indicate
nell’esame del primo motivo di ricorso. Le residue censure che concernono la
valutazione di proporzionalità del recesso datoriale , in quanto intese a sollecitare
una diversa valutazione del materiale probatorio sono inammissibili.
Infine non assume la formulazione e consistenza del motivo di ricorso per cassazione
esimendo questa Corte dal relativo esame, la “riproposizione dei motivi di
impugnazione della sentenza di primo grado” effettuata da parte ricorrente ” per
quanto occorra” ai fini dell’accoglimento delle proprie ragioni.
Consegue l’integrale rigetto del ricorso.
Le spese sono liquidate secondo soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di cui € 50,00
per esborsi e € 2500,00 per compensi professionali , oltre accessori.

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