Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4857 del 23/02/2021

Cassazione civile sez. III, 23/02/2021, (ud. 16/09/2020, dep. 23/02/2021), n.4857

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

1370sul ricorso 36679-2018 proposto da:

T.T. SCARL, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI

APPENNINI, 46, presso lo studio dell’avvocato STEFANO ISIDORI,

rappresentato e difeso dagli avvocati IPPOLITO MATRONE, (OMISSIS);

– ricorrenti –

contro

EAV ENTE AUTONOMO VOLTURNO SRL, rapp.to e difeso dall’avvocato ERRA

ALFONSO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 4211/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 19/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/09/2020 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

con atto di citazione del 14 gennaio 2011, la società cooperativa T.T. a r.l. evocava in giudizio, davanti al Tribunale di Napoli, l’ente autonomo Volturno S.r.l. proponendo opposizione avverso il decreto ingiuntivo da questo notificatole per il pagamento della somma di Euro 217.210, oltre Iva, dedotto quale corrispettivo per l’utilizzo di cinque autobus, così come previsto nel contratto di usufrutto oneroso del 13 marzo 2008. A fondamento dell’opposizione deduceva che, ai sensi dell’art. 9 del capitolato tecnico che disciplina l’usufrutto, era prevista una garanzia di buon funzionamento dei veicoli per la durata di 24 mesi, che era attivabile solo dall’ente autonomo, aggiungendo che sin dall’ottobre 2008 la cooperativa aveva comunicato che i veicoli erano fermi per il mal funzionamento della parte elettronica. Insisteva per la revoca del decreto ingiuntivo e, in via riconvenzionale, per la risoluzione del contratto di usufrutto oneroso per grave inadempimento della concedente, oltre al risarcimento dei danni;

si costituiva la EAV S.r.l. rilevando che la opponente non aveva mai corrisposto il canone annuo e che la doglianza relativa alla mancata attivazione della garanzia di cattivo funzionamento dei veicoli era stata sollevata, per la prima volta, 15 mesi dopo la stipula del contratto, mentre l’art. 11 prevedeva che la usufruttuaria assumeva tutte le spese inerenti la ordinaria e straordinaria manutenzione;

con sentenza del 31 marzo 2017 il Tribunale di Napoli rigettava l’opposizione e le richieste riconvenzionali, qualificando il contratto come comodato d’uso oneroso e ritenendo anomalo che, sebbene il contratto prevedesse la possibilità di disdetta sino al 31 dicembre 2008 e nonostante la dedotta presenza di difetti sin dal primo momento, la società opponente non si era avvalsa della facoltà di recesso riconsegnando i mezzi;

avverso tale decisione proponeva appello la cooperativa T.T., lamentando di avere provveduto alla segnalazione di guasti già in data 15 settembre 2010 e le richieste di intervento per riparazione risalivano al 15 maggio 2009. Contestava la qualificazione del contratto dedotto in lite come comodato d’uso oneroso, lamentava la mancata considerazione che gli oneri relativi alla manutenzione straordinaria erano a carico del concedente e contestava la ricostruzione dei fatti asseritamente fondata su una errata valutazione del materiale probatorio. Si costituiva EAV contestando l’impugnazione;

la Corte d’Appello di Napoli, con sentenza delt 19 settembre 2018, rilevava che la prima richiesta di intervento risaliva al 15 maggio 2009, che l’appellante aveva rifiutato il pagamento del canone sin dal primo momento, non aveva dimostrato l’epoca di insorgenza dei difetti di funzionamento dei mezzi ricevuti in consegna, non aveva adempiuto agli oneri di manutenzione ai quali era tenuta per contratto, non aveva provato di non aver espletato tali oneri di manutenzione, per avere attivato la garanzia di buon funzionamento presso la produttrice dei mezzi, direttamente o tramite la concedente, secondo la procedura prevista dal capitolato tecnico. Per tali motivi il rifiuto di adempiere non poteva considerarsi improntato ai canoni di buona fede. Infine, la richiesta di chiamata in causa del produttore era generica, attesa la mancata specificazione delle domande che l’appellante avrebbe inteso proporre nei confronti del terzo. Conseguentemente rigettava l’appello;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione la T.T., società cooperativa a r.l. affidandosi a quattro motivi. Resiste con controricorso l’Ente Autonomo Volturno S.r.l.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si lamenta la violazione degli artt. 978 c.c. e ss., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 Le parti avevano concluso un contratto definito dal Tribunale come comodato. Al contrario, si tratterebbe di un contratto di usufrutto oneroso con applicazione della disciplina codicistica, che pone a carico del nudo proprietario le riparazioni ordinarie. Inoltre, come emergerebbe dei fatti di causa, i veicoli erano inefficienti già dal mese di ottobre 2008, pochi mesi dopo la stipula del contratto e per tale motivo avrebbero richiesto imponenti riparazioni. Poichè si trattava di veicoli nuovi, le opere necessarie per riattivare i mezzi fermi non rientravano certamente nella categoria delle manutenzioni ordinarie o straordinarie, ma in quella delle riparazioni di competenza del nudo proprietario;

il motivo è inammissibile per una pluralità di ragioni. In primo luogo perchè la censura è dedotta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 ed è argomentata sulla base dei medesimi fatti della decisione impugnata. Siffatta censura non è consentita dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5 ricorrendo l’ipotesi di doppia conforme. In secondo luogo, la ricostruzione posta a sostegno del motivo presuppone la contestazione della qualificazione del contratto operata dal Tribunale e ribadita dalla Corte d’Appello in termini di comodato. Ma siffatta censura non compare tra le doglianze oggetto del primo motivo. In terzo luogo, la censura introduce una serie di elementi fattuali, dedotti in violazione l’art. 366 c.p.c., n. 6 poichè parte ricorrente si è limitata a richiamare “documenti di causa e altresì prove orali raccolte”, senza individuare la fase processuale nella quale tali mezzi istruttori sarebbero stati espletati, senza trascrivere i passaggi salienti, allegare i verbali di causa o comunque localizzare gli atti all’interno del fascicolo di legittimità;

con il secondo motivo si deduce la violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e il mancato esame di un fatto decisivo del giudizio rappresentato dall’individuazione della data della richiesta di primo intervento di manutenzione, erroneamente riferita al 15 maggio 2009. I Giudici di merito avrebbero erroneamente ritenuto non provata la circostanza di avere segnalato tempestivamente i guasti e di non avere dato avvio alla procedura di garanzia dei beni. Al contrario, la prova testimoniale avrebbe evidenziato che già nell’ottobre 2008 i veicoli non erano efficienti e non sarebbe stata presa in esame la circostanza dell’esistenza di trattative per una transazione con il produttore Iveco Bus e per la sostituzione dei veicoli;

il motivo è inammissibile per le medesime ragioni oggetto della precedente censura, trattandosi di contestazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, non consentita e introducendo una serie di elementi fattuali dedotti in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6;

con il terzo motivo si lamenta la violazione dell’art. 1460 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 Le doglianze della cooperativa erano state oggetto di un’eccezione ai sensi dell’art. 1460 c.c., rispetto alla quale il giudice di merito non avrebbe correttamente considerato che competeva alla parte opposta dimostrare di avere preventivamente adempiuto ai propri obblighi;

il motivo è inammissibile per le medesime ragioni oggetto dei precedenti (censura ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 inibita nell’ipotesi di doppia conforme) e non si confronta con la decisione impugnata, che ha espressamente preso in esame la questione, rilevando che la appellante (odierna ricorrente) era stata la prima ad essere inadempiente, per non avere corrisposto il canone sin dall’inizio;

con il quarto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la violazione l’art. 106 c.p.c. per assenza di pronunzia riguardo alla domanda di integrazione del contraddittorio. La Corte d’Appello avrebbe ritenuto generica la richiesta, senza considerare che la stessa risultava ben argomentata sin dalla citazione;

il motivo è inammissibile perchè dedotto in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, sia con riferimento all’omessa trascrizione dei passaggi salienti dell’atto di citazione relativi alla richiesta di chiamata in causa del produttore dei veicoli, che per la mancata allegazione e individuazione dell’atto all’interno del fascicolo di legittimità, sia con riferimento alla dimostrazione di avere reiterato compiutamente la richiesta davanti al giudice di appello, con la specifica indicazione, anche in quella sede, delle domande che la odierna ricorrente avrebbe inteso rivolgere al terzo chiamato;

ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315), evidenziandosi che il presupposto dell’insorgenza di tale obbligo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (v. Cass. 13 maggio 2014, n. 10306).

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore del controricorrente, liquidandole in Euro 6.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 16 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2021

 

 

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