Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4857 del 01/03/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 4857 Anno 2018
Presidente: AMENDOLA ADELAIDE
Relatore: SCRIMA ANTONIETTA

ORDINANZA
sul ricorso 20126-2016 proposto da:
BIONDI UMBERTO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
ANASTASIO II 80, presso lo studio dell’avvocato ADRIANO BARBATO,
che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALDO TURCONI;
– ricorrente contro
AGECO SRL, in persona dell’Amministratore unico, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA COSSERIA N.2, presso PLACIDI SRL di
ALFREDO e GIUSEPPE PLACIDI, rappresentata e difesa dagli avvocati
ALESSANDRO DAL MOLIN, ORNELLA ANTONIA DEL FRATE;
– con troricorrente avverso la sentenza n. 2004/2016 della CORTE D’APPELLO di
MILANO, depositata il 25/05/2016;

Data pubblicazione: 01/03/2018

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 20/09/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA
SCRIMA.
FATTI DI CAUSA
Umberto Biondi convenne in giudizio Ageco S.r.l. ed espose che:

porzione immobiliare, facente parte del Complesso RTA denominato
“Residence 13 Cime”, sito nel Comune di Santa Caterina di Valfurva;
2) nel rogito notarile era previsto, in aggiunta agli obblighi di garanzia
generalmente previsti, l’ulteriore impegno a garantire l’effettiva
destinazione residenziale dell’immobile; 3) Ageco S.r.l. aveva
dichiarato e garantito che i vincoli, di destinazione turistico
alberghiera ex art 6 e 8 L. 17/83 e quello nato in occasione della
concessione edilizia ai sensi della L. 36/88, gravanti sull’immobile,
dovevano essere considerati decaduti a norma di legge; garanzia
posta a condizione necessaria per la stipula dell’atto; 4) in data 27
agosto 2009 aveva ricevuto offerta irrevocabile di acquisto per
l’appartamento, oggetto di causa, dal sig. Rosso e la proposta era
stata sottoposta alla condizione che il Comune di Santa Caterina di
Valfurva certificasse e dichiarasse formalmente che i vincoli di
destinazione indicati nell’atto di compravendita fossero effettivamente
decaduti a norma di legge come dichiarato dalla originaria parte
venditrice Ageco S.r.l.; 5) l’offerta era stata accettata ma, in seguito
al rilascio del predetto certificato da parte del Comune, dal quale si
evinceva che un vincolo gravava ancora sull’immobile, la stessa
aveva perso efficacia.
Tanto premesso, l’attore chiese di: accertare e dichiarare che la
convenuta venditrice non aveva adempiuto l’obbligazione di garantire
la piena e libera proprietà dell’immobile oggetto di compravendita con
destinazione abitativa; accertare e dichiarare la piena ed esclusiva
responsabilità di parte convenuta in ordine alla mancata destinazione
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1) in data 6 luglio 2000 aveva acquistato dalla società convenuta una

abitativa dell’immobile compravenduto; accertare e dichiarare che,
alla data del 30 ottobre 2009, l’immobile non aveva la destinazione
abitativa garantita da Ageco S.r.l. e richiesta dal sig. Rosso per
l’acquisto; accertare e dichiarare che il contratto d’acquisto
intervenuto tra le parti Biondi-Rosso si era risolto in data 30 gennaio

dell’offerta irrevocabile di acquisto del 27 agosto 2009 del sig. Rosso
poiché l’immobile oggetto dell’offerta di acquisto condizionata non
aveva destinazione abitativa; con conseguente condanna della società
convenuta al risarcimento del danno in misura non inferiore alla
differenza tra il prezzo offerto di 280.000,00 euro, che sarebbe stato
incassato dall’attore, ed il prezzo da quest’ultimo pagato per
l’acquisto dell’immobile per l’importo di euro 52.500,00, somma
rivalutata in complessivi 63.345,95.
Si costituì in giudizio Ageco S.r.l., contestando le pretese
dell’attore.
Con sentenza n.10796/13 il Tribunale di Milano rigettò tutte le
domande del Biondi in quanto infondate e condannò l’attore al
pagamento delle spese di lite.
Avverso tale sentenza il Biondi propose appello.
Si costituì in quel grado del giudizio Ageco S.r.l., chiedendo che
l’appello fosse dichiarato inammissibile ex art. 348 bis cod. proc. civ.
e, in ogni caso, rigettato in quanto infondato.
La Corte di appello di Milano, con sentenza depositata in data 25
maggio 2016, rigettò l’appello e, per l’effetto, confermò la sentenza
impugnata; condannò l’appellante alle spese di quel grado di giudizio
e dichiarò la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte
dell’appellante, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato di
cuia n’art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115/20002 così come
modificato dall’art. 1 comma 17 della L. 24 dicembre 2012, n. 228.

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2009 per il mancato avverarsi della condizione di cui al punto 1)

Avverso la sentenza della Corte di merito Umberto Biondi ha
proposto ricorso per cassazione basato su un unico motivo, cui ha
resistito Ageco S.r.l. con controricorso.
La proposta del relatore è stata comunicata agli avvocati delle
parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di

RAGIONI DELLA DECISIONE
1.

Il Collegio ha disposto la redazione dell’ordinanza con

motivazione semplificata.
2. Con l’unico motivo di ricorso, rubricato «Violazione e falsa
applicazione, con riferimento all’art. 360 n. 3 c.p.c da parte d’Appello
di Milano dell’art. 116 c.p.c. laddove ha ritenuto che le prove
documentali prodotte nel corso del giudizio di primo grado fossero
state correttamente interpretate dal Giudice di prime cure», il
ricorrente lamenta che il Tribunale, prima, e la Corte di merito, poi, si
sarebbero «limitati a considerare la dichiarata esistenza dei due
vincoli specificamente individuati da parte venditrice (quello di
destinazione turistico-alberghiera e quello, ai sensi della L. 36/88,
nato in occasione del rilascio della concessione edilizia) e la
successiva declaratoria che gli stessi “dovevano intendersi decaduti”»
e non avrebbero «adeguatamente considerato l’espressa assunzione
di responsabilità da parte della società venditrice, che lungi
dall’essere limitata alla intervenuta decadenza dei due vincoli
menzionati», si estenderebbe, a avviso del Biondi, «alla garanzia
della “piena e libera proprietà del bene con destinazione abitativa”».
Sostiene il ricorrente di non condividere l’affermazione della Corte
territoriale secondo cui «i suddetti vincoli, gli unici rilevabili dalla
lettura del contratto risultano effettivamente decaduti … . Non
evincendosi dal contratto alcuna ulteriore garanzia, relativamente agli
obblighi di altra natura, la Corte ritiene come già chiarito dal giudice
di primo grado, che “nessuno specifico impegno in ordine alla
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consiglio, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ..

decadenza da ulteriori vincoli risulta assunto dalla convenuta, come
evincibile dal predetto testo contrattuale, men che meno in ordine ai
vincoli di destinazione urbanistica dell’immobile oggetto di
compravendita”». Secondo il ricorrente, contrariamente a quanto
sostenuto dal Tribunale e fatto proprio dalla Corte di merito, la

venir meno dei vincoli indicati nell’atto ma, più in generale, in ordine
alla destinazione abitativa, come si ricaverebbe facilmente dal testo
dell’atto stipulato.
Ad avviso del ricorrente, la Corte di merito avrebbe, quindi,
erroneamente valutato la prova documentale costituita dall’atto
notarile. Assume, in particolare, il Biondi che l’art. 116 cod. proc. civ.
farebbe riferimento, per la valutazione della prova, al criterio del
prudente apprezzamento” sicché la discrezionalità del giudice nel
giudicare l’attendibilità dell’esito di una prova (o, per quanto qui
specificamente rileva, di valutare il contenuto e la portata di una
prova documentale) … non è una discrezionalità assoluta ma deve
essere esercitata in ossequio alla clausola generale formulata in
termini di “prudenza”, la quale rimanda a criteri di ragionevolezza del
giudizio, alla logica e al “buonsenso”». Sostiene il Biondi che il
giudice, per completezza, dovrebbe prendere in considerazione tutti
gli elementi di prova acquisiti al giudizio e non solo quelli che
confermano la versione dei fatti che egli ritiene attendibile ed
assume, altresì, che «una valutazione corretta delle prove, ovvero del
certificato di destinazione urbanistica posto in correlazione con le
pattuizioni contenute nel rogito» non avrebbe potuto che condurre
alla declaratoria dell’inadempimento di Ageco S.r.l..
2.1. Il motivo è inammissibile.
Ed invero questa Corte ha già affermato il principio, che va
ribadito in questa sede, secondo cui, in tema di ricorso per
cassazione, la deduzione della violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è
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garanzia non sarebbe stata assunta dalla venditrice solo in ordine al

ammissibile ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.,
ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una
risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa
indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”,
pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore

(come, ad esempio, valore di prova legale), nonché, qualora la prova
sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia invece
dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente
apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente
male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la
censura è consentita ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod.
proc. civ. Ne consegue l’inammissibilità della doglianza che sia stata
prospettata sotto il profilo della violazione di legge ai sensi del n. 3
dell’art. 360 cod. proc. civ. (Cass. 19/06/2014, n. 13960), come
avvenuto nel caso di specie.
Questa Corte ha pure, peraltro, precisato, che in tema di
valutazione delle risultanze probatorie in base al principio del libero
convincimento del giudice, la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è
apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di
motivazione di cui all’art. 360, comma 1, numero 5), cod. proc. civ.,
e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già
dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità
(Cass. 30/11/2016, n. 24434).
2.3. A quanto precede va aggiunto che il ricorrente, con il motivo
all’esame, peraltro glissando su affermazioni dirimenti del giudice del
merito, tende, in sostanza, ad una rivalutazione del merito, non
consentita in sede di legittimità.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di
legittimità, infatti, con la proposizione del ricorso per cassazione, il
ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno
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che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria

difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto
dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente,
atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al
sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo,
non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della

della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di
merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio
convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne
attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie,
quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (v. ex multis,
Cass., ord., 7/04/2017, n. 9097).
3. Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.
4. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in
dispositivo.
5.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il

versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1,
comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore
importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto
per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente
al pagamento, in favore della società controricorrente, delle spese del
presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.400,00 per
compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli
esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge; ai sensi
dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel
testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012,
n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento,
da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
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causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e

unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis

dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta
Civile – 3 della Corte Suprema di Cassazione, il 20 settembre 2017.
Il Presidente

(

Il Funzionario Giudizierio

DEFIDS1TATO IN CANCELLtrilA

Roma,

— i MAR. 201II
…….. …

422,L9,

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